Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-03-2011, n. 5419 Contratto preliminare Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto Contratto preliminare Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto Contratto preliminare Esecuzione specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.D. nell’anno 1964 raggiungeva un accordo verbale con il costruttore S.G. per la costruzione da parte di quest’ultimo su di un lotto di terreno sito in (OMISSIS) di proprietà di esso C., di un edificio per civile abitazione a più piani. Il S., nel corso dell’edificazione della palazzina prometteva in vendita alcune unità immobiliari a più persone, ed in modo particolare con scrittura privata del 12.11.64 s’impegnava a vendere a D.M.F. uno dei due appartamenti siti al 5 piano. Successivamente nell’anno 1968 tale I.P.F., cedeva allo stesso d.M., con il consenso del S. e del C., un secondo contratto preliminare in data 25.9.68, relativo ad altre due unità immobiliari (due magazzini), siti al piano terra dello stesso edificio.

Il D.M. – che aveva conseguito la disponibilità dei beni in parola, dopo aver versato il prezzo pattuito – aveva sollecitato le controparti a formalizzare la vendita per atto pubblico. Sembra invero che nel frattempo il costruttore S. non aveva portato a termine la costruzione della palazzina per cui non aveva potuto procedere alla stipula degli atti di vendita non avendo la disponibilità giuridica del bene, che veniva ultimato dal C.; con quest’ultimo, quale proprietario per accessione dell’intero edificio che sorgeva nel lotto di sua proprietà, altri promissari acquirenti raggiungevano un accordo e stipulavano l’atto definitivo.

Il D.M. quindi, con citazione del 10.7.1989 conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Palermo gli eredi di C. D. (nel frattempo deceduto), il S. e l’ I. chiedendo l’emissione di una sentenza di trasferimento degli immobili suddetti ai sensi dell’art. 2932 c.c. e, in subordine, una pronuncia dichiarativa di acquisto per usucapione degli stessi, oltre al risarcimento dei danni per inadempimento dei contratti preliminari. I convenuti eredi di C.D., nel costituirsi contestavano la domanda avversa e in via riconvenzionale chiedevano la condanna dell’attore all’immediato rilascio dei cespiti immobiliari che ritenevano da lui abusivamente detenuti.

L’adito tribunale, all’esito dell’espletata istruttoria, pronunciava una sentenza non definitiva (n. 1525/95) con cui rigettava la domanda ex art. 2932 c.c. relativa all’appartamento del 5 piano, in quanto al rapporto obbligatorio nascente dal preliminare era rimasto estraneo il soggetto proprietario del bene (il C.); rigettava altresì la domanda relativa all’acquisto per usucapione dello stesso appartamento, ritenendo carente l’elemento soggettivo del possesso, dell’intenzione di tenere la cosa per sè (animus rem sibi habendi).

Lo stesso Tribunale, con la sentenza definitiva del 21.1.1998, accoglieva la domanda del D.M. relativamente alle altre due unità immobiliari di cui al preliminare del 25.9.1968, rilevando che ad esso aveva partecipato anche C.D.. Veniva altresì rigettata la domanda riconvenzionale degli eredi C. relativa all’ordine di rilascio da parte del D.M., dell’appartamento del 5 piano, in quanto non risultava da essi prodotto il titolo della proprietà su cui era sorto l’edificio. Le pronunzie erano appellate dal D.M. limitatamente al capo riguardante la domanda di usucapione di tale ultimo appartamento. I C. – I. proponevano appello incidentale per quanto concerneva in specie, la domanda di rilascio dell’appartamento del 5^ piano e per la mancata condanna del D.M. al risarcimento dei danni per detenzione sine titulo dello stesso immobile.

La Corte d’Appello di Palermo con sentenza n. 1349/06 depos. in data 28.12.2006 rigettava l’appello proposto dal D.M. per quanto riguardava la domanda di acquisto per usucapione della proprietà dell’appartamento del 5 piano, ritenendo che a seguito del contratto preliminare di compravendita egli aveva potuto acquisire la mera detenzione del bene e non il possesso ad usucapionem, sottolineando peraltro che non vi era stata alcun atto che avesse mutato la detenzione in possesso.

La stessa Corte, accoglieva invece l’appello incidentale dei C. – I. condannava il D.M. al rilascio dell’appartamento de quo in favore dei medesimi, nonchè al risarcimento dei danni per l’occupazione senza titolo da liquidarsi in separato giudizio.

Avverso la predetta sentenza il D.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di 8 mezzi. Resistono con controricorso i C. – I.; gli altri intimati non hanno svolto difese.
Motivi della decisione

il primo ed il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1140 c.c., art. 112 e 113 c.p.c., omesso esame ed omessa illogica e insufficiente motivazione.

L’esponente censura la sentenza laddove la Corte territoriale ha qualificato come detenzione anzichè possesso il potere di fatto da lui esercitato sull’immobile promesso in vendita.

Secondo l’esponente invece in presenza di un preliminare di vendita di cosa altrui, non necessariamente l’accipiens esercita sul bene una mera detenzione, potendo esercitare anche un possesso vero e proprio utile ai fini dell’usucapione: A suo avviso a tal fine occorre fare esclusivo riferimento all’elemento psicologico del possesso ( animus domini).

L’animus possidendi consiste in realtà nell’intenzione di comportarsi come proprietario, non nella convinzione di essere tale e non v’è dubbio che esso D.M. ha esercitato tale animus possidendi: ha avuto la piena disponibilità dell’immobile, che ha interamente pagato, lo ha regolarizzato urbanisticamente, lo ha ceduto in locazione, ha pagato i contributi condominali, anche per spese straordinarie. Le suesposte doglianze non sono fondate.

Giova sottolineare che la sentenza del tribunale ha ritenuto – senza impugnazione sul punto – che il contratto di cui si discute costituisse una promessa di vendita di cosa altrui. A fronte della definitività della sentenza su tale specifico punto, deve escludersi che il promittente venditore -costruttore dell’immobile sul terreno altrui – avesse trasferito il possesso (che non aveva) e che i promissari avessero acquistato un possesso, come invece sarebbe accaduto se fosse stato ravvisato nell’atto di vendita di un bene altrui qualificato dal venditore come proprio. A questo riguardo, questa S.C. ha invero stabilito (Cass. S.U. n. 7930 del 27/03/2008) che "nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile "ad usucapionem", salvo la dimostrazione di un’intervenuta "interversio possessionis" nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ.".

Con il terzo e quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1141, 2747 e 2748 c.c., art. 112 e 113 c.p.c., omesso esame ed omessa illogica e insufficiente motivazione.

Deduce che la Corte non ha adeguatamente valutato che con la scrittura privata del 1964 vi era stata un’interversione del possesso per causa proveniente da un terzo avendo il ricorrente esercitato un potere di fatto corrispondente al diritto di proprietà (la consegna del bene comprovata nella scrittura privata costituirebbe la prova del fatto proveniente dal terzo, idoneo a costituire tale atto d’interversione).

La doglianza non è fondata, non avendo il ricorrente provato – come sostiene la corte di merito – di avere operato il mutamento dell’originaria detenzione in possesso come previsto dall’art. 1141 c.c., comma 2, ciò evidentemente non potendo ravvisarsi nella scrittura privata del 1964 proprio perchè atto non idoneo trasferire il possesso trattandosi – come si è detto – di promessa di vendita di cosa a altrui, per cui il promittente venditore non può trasferire ad altri il possesso di un bene che non ha (nemo pluris iuris trasferre potest quam ipse habet).

Secondo la giurisprudenza di questa S.C. "il fatto proveniente dal terzo" che, ai sensi dell’art. 1141 c.c., comma 2, può costituire causa idonea ad operare il mutamento della detenzione in possesso non può consistere in un mero comportamento materiale, ma deve consistere in un atto che, indipendentemente dalla sua validità ed efficacia, sia diretto a trasferire al detentore il diritto corrispondente al possesso da questi vantato (Cass n. 26228 del 07/12/2006). Invero l’art. 1141 c.c. "non consente al detentore di trasformarsi in possessore mediante una sua interna determinazione di volontà, ma richiede, per il mutamento del titolo, o l’intervento di "una causa proveniente da un terzo", per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell’atto medesimo, compresa l’ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente, oppure l’opposizione del detentore contro il possessore, opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che extra giudizialmente e che consiste nel rendere noto al possessore, e cioè a colui per conto del quale la cosa era detenuta, in termini inequivoci e contestando ti di lui diritto, l’intenzione di tenere la cosa come propria. Lo stabilire se, in conseguenza di un atto negoziale ancorchè invalido, al detentore di un immobile sia stato da un terzo trasferito il possesso del bene: costituisce una indagine di fatto, riservata al giudice di merito, i cui apprezzamenti e valutazioni sono sindacabili in sede di legittimità soltanto per illogicità o inadeguatezza della motivazione" (Cass. n. 7090 del 29/07/1997). Le conclusioni di cui sopra comportano l’assorbimento delle ulteriori doglianze (motivi 5, 6 e 7 e 8, peraltro inammissibili per la non corretta formulazione dei relativi quesiti) che riguardano l’ordine di rilascio dell’immobile, laddove la Corte ritiene il D.M. mero detentore senza titolo, nonchè il risarcimento de danno per occupazione senza titolo.

In conclusione il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 3,200,00, di cui Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

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