Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-01-2011) 04-02-2011, n. 4235 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 20 luglio 2010 emessa dal g.i.p. nel procedimento penale a carico di F.C., era stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere del F., indagato per i reati di cui agli artt. 600 bis, 600 ter e 609 quater, c.p., in relazione all’art. 609 septies c.p., per aver indotto alla prostituzione, o comunque compiuto atti sessuali in cambio di danaro o altra utilità con numerose ragazze minorenni, di età compresa tra 13 e 17 anni, e per averle altresì indotte a posare per foto pornografiche dallo stesso eseguite. In particolare – ha ritenuto il g.i.p. in punto di fatto che il F., accompagnatore di una locale squadra di calcio femminile giovanile, dopo aver conosciuto le ragazze sul sito internet Facebook, si faceva dare dalle stesse il numero di cellulare o il numero di altre amiche minorenni e con la scusa di accompagnarle o andarle a prendere in discoteca, le induceva a stare da sole con lui in macchina; spesso le faceva guidare senza patente ed approfittando della situazione le toccava dapprima sulle gambe con pizzicotti; poi, raggiunta maggior confidenza, anche sul seno, nelle parti intime, baciandole anche con la lingua in cambio di regalie quali patatine, caramelle, denaro che andava dai 30,00 ai 250,00 Euro a seconda della prestazione, scattando anche foto delle ragazze senza reggiseno od in atteggiamenti intimi in auto (in (OMISSIS) in poi).

2. Il tribunale di Bolzano, pronunciandosi in sede di riesame dell’ordinanza suddetta, ha accolto il ricorso dell’indagato con ordinanza del 10 agosto 2010 e per l’effetto ne ha ordinato l’immediata liberazione ove non detenuto per altra causa.

In punto di fatto il tribunale ha svalutato i verbali delle intercettazioni che, a causa delle loro ritenuta equivocità, non sono stati ritenuti idonei, sotto l’aspetto indiziario, ad essere utilizzati a fondamento della misura cautelare.

Il tribunale ha invece fatto riferimento alle registrazioni delle dichiarazioni di dodici ragazzine davanti al p.m. nella "sala specchio" (le altre ragazze minorenni all’epoca non erano state ancora sentite).

Da tali dichiarazioni – sempre secondo il tribunale – è emerso, in punto di fatto, che il F. trovava soddisfazione se le ragazzine, vestite con pantacollant o indossando calze di nylon, si trovano sedute al volante della sua autovettura dove, premendo l’acceleratore con il motore in folle, lo facevano rombare ed andare su di giri. La soddisfazione sessuale del F. consisteva nel fatto che contemporaneamente, in questa circostanza, gli era permesso di "tirare" i pantacollant o le calze di nylon delle ragazzine. Queste salivano volontariamente con lui in macchina perchè sapevano che egli per quelle "prestazioni" offriva denaro (tra 10,00 e 200,00 Euro) o altre regalie (ricariche carte SIM, acquisto di sigarette o un invito da Mc Donalds).

Le ragazzine hanno accettato al massimo di essere toccate sulla coscia in prossimità del ginocchio. Alcune ragazzine hanno anche accettato di essere toccate sulla parte interna della coscia, ma sempre soltanto in prossimità del ginocchio. Quando l’uomo, toccandole sulle cosce, si avvicinava alla parte intima, tutte quante lo bloccavano e lui non insisteva. Al F. piaceva anche che le ragazzine, oltre a pantacollant o calze di nylon, portassero gonne corte, cercando, nell’occasione, di convincerle a tirarsi su quanto possibile la gonna di modo che si potesse vedere la mutandina. Ad alcune chiedeva di abbassare un po’ la scollatura della maglia;

normalmente esaudivano il suo desiderio, ma senza proprio scoprire il seno. Una ragazzina però ha accettato che il F. le toccasse brevemente il seno. In questo caso – secondo il tribunale – non era configurabile solo un tentativo ex art. 56 c.p., ma l’atto sessuale era stato anche consumato, con il consenso della ragazzina; per il resto la condotta del F. sarebbe rimasta a livello di tentativo.

3. In merito alla valutazione giuridica della condotta del F. il tribunale ha ritenuto che, allo stato attuale delle indagini, soltanto un’imputazione era configurabile e precisamente quello dell’art 600 ter c.p., comma 2 e non già comma 1, che sottopone a sanzione penale gli atti sessuali con minorenni in cambio di denaro o di altra utilità e prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e la multa non inferiore a 5.164,00 Euro.

Pertanto, in ragione del disposto dell’art. 280 c.p.p., comma 1, secondo cui una misura cautelare coercitiva è consentita soltanto per delitti puniti con una pena nel massimo superiore a tre anni, il Tribunale del riesame ha ritenuto che era illegittima la custodia cautelare in carcere disposta dal g.i.p..

4. Avverso questa ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bolzano deducendo l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 600 bis c.p. essenzialmente sotto il profilo della difettosa nozione di "induzione alla prostituzione minorile".

Per configurarsi l’induzione alla prostituzione di cui all’art. 600 bis c.p., comma 1, – ha argomentato il p.m. ricorrente – non è necessario che il soggetto sia avviato ad avere rapporti a pagamento con una pluralità indiscriminata di persone, essendo sufficiente che l’agente convinca il minore a fare mercimonio del proprio corpo.

In ogni caso, ove anche si escludesse – come ha escluso il tribunale – la fattispecie dell’art. 600 bis, comma 1, sussisterebbe comunque l’aggravante di cui al comma 3 (minore che non abbia compiuto i sedici anni di età) che fa superare la soglia dei tre anni di reclusione per l’adozione di misure cautelari coercitive.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

2. Innanzi tutto, quanto al primo e più pregnante profilo di censura, si ha che, come ha correttamente dedotto il p.m. ricorrente, la condotta addebitata al F. rientra nell’art. 600-bis c.p., comma 1 e non già – come ritenuto dal tribunale nell’impugnata ordinanza – nel comma 2 della medesima disposizione.

In punto di fatto il tribunale, pur non tenendo conto delle risultanze delle intercettazioni, ha comunque ritenuto sussistenti i gravi indizi (ex art. 273 c.p.p.) di "atti sessuali" con minorenni (numerose ragazze di età compresa tra quattordici e diciassette anni, avendo il tribunale escluso, come parte offesa, l’unica ragazza infraquattordicenne del gruppo in riferimento alla quale l’imputazione faceva riferimento al più grave reato di cui all’art. 609 quater c.p.) così sussumendo nella sola fattispecie dell’art. 600 bis c.p., comma 2, i comportamenti abusivi a carattere sessuale, tenuti dal F., qualificati in linea di massima a livello di tentativo, ma in un caso anche come reato consumato.

Il tribunale ha accolto il ricorso dell’indagato avverso l’ordinanza del g.i.p. che gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere sul presupposto che la condotta del F. rientrasse nella meno grave fattispecie dell’art. 600-bis c.p.c., comma 2 e non già in quella del primo comma con la conseguenza che il titolo dell’imputazione, così riqualificata, non consentiva – ad avviso del tribunale – alcuna misura cautelare coercitiva in ragione del limite posto dall’art. 280 c.p.p., comma 1, che la prevede come possibile per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, e a maggior ragione non consentiva la custodia cautelare in carcere prevista per i delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a quattro anni ex art. 280, comma 2, cit.; nè l’art. 600 bis, comma 2, è previsto dall’art. 275 c.p.p., comma 3, modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2 conv., con modif., in L. 23 aprile 2009, n. 38, come fattispecie di reato tipicizzata come legittimante la custodia cautelare in carcere.

3. Orbene deve considerarsi che la fattispecie dell’art. 600 bis, comma 2 ha carattere marcatamente residuale come risulta all’evidenza dall’inciso "salvo che il fatto costituisca più grave reato", che si qualifica come clausola di sussidiarietà mirata a rendere residuale, appunto, l’applicazione della fattispecie rispetto ad altri reati che sanzionano più gravemente il fatto di chi compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica; laddove il comma 1 della medesima disposizione sanziona, con una pena più grave, il fatto di chi "induce" alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero – prosegue la stessa disposizione – il fatto di chi ne favorisce o ne sfrutta la prostituzione.

In comune le due fattispecie hanno la nozione di atti sessuali con un minore di anni diciotto in cambio di denaro o di altra utilità che può qualificarsi come "prostituzione minorile"; formulazione questa che costituisce infatti la rubrica che accomuna le due ipotesi di reato e che è centrata sulla sinallagmaticità tra atto sessuale e corrispettivo economico; cfr. Cass., sez. 3^, 4 luglio 2006 – 5 ottobre 2006, n. 33470, secondo cui anche un isolato atto sessuale retribuito è considerato atto di prostituzione per il fruitore della prestazione e, di conseguenza, per il minore, essendo questa definizione incentrata sull’elemento "retribuivo" – la controprestazione dell’atto sessuale – senza che siano richiesti l’abitualità della condotta o la pluralità di fruitori della stessa. Cfr. altresì Cass., sez. 3^, 15 aprile 2010 – 4 giugno 2010, n. 21335, che ha ritenuto che anche il singolo episodio di percezione del denaro o di altra utilità è idoneo ad integrarne gli estremi del reato di prostituzione minorile.

4. In disparte la fattispecie del favoreggiamento e quella dello sfruttamento della prostituzione minorile, che si distaccano maggiormente dall’ipotesi del mero compimento di atti sessuali con minore con controprestazione e che in questo giudizio non vengono in rilievo, l’elemento differenziale che vale a distinguere l’induzione alla prostituzione (art. 600 bis, comma 1) dalla mera sua fruizione (comma 2 della stessa disposizione) è costituito, appunto, da una condotta identificabile come "induzione".

Una prima puntualizzazione in proposito è già stata operata da questa Corte (Cass., sez. 3^, 4 luglio 2006 – 5 ottobre 2006, n. 33470, cit.) che ha affermato che per configurarsi l’induzione alla prostituzione, di cui all’art. 600 bis c.p., comma 1 non è necessario che il soggetto passivo sia avviato ad avere rapporti a pagamento con una pluralità indiscriminata di persone essendo sufficiente che l’agente convinca il minore a fare mercimonio del suo corpo. Quindi il reato può sussistere anche nel caso in cui il minore compia atti sessuali a fronte di una controprestazione soltanto con chi l’abbia indotto a ciò. Cfr. Cass., sez. 3^, 14 aprile 2010 – 14 maggio 2010, n. 18315, che ha ribadito che il reato di induzione alla prostituzione minorile è configurabile anche nel caso in cui il minore sia un soggetto non iniziato nè dedito alla vendita del proprio corpo, in quanto è sufficiente che l’agente ponga in essere una condotta idonea a vincere le resistenze di ordine morale che trattengono la vittima dal prostituirsi al fine di una qualsiasi utilità economica (conf. Cass., sez. 3^, 19 maggio 2010 – 9 luglio 2010, n. 26216, secondo cui anche la semplice dazione di denaro può essere sufficiente a persuadere un minore a consentire agli atti sessuali e può quindi costituire induzione).

5. Orbene, la linea di demarcazione tra le due fattispecie dell’art. 600 bis, commi 1 e 2 va tracciata tenendo conto del rilevato carattere residuale della fattispecie meno grave e della finalità complessiva della norma, introdotta dalla L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 2, comma 1, e rafforzata, nella tutela del minore, dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, art. 1 in attuazione dei principi della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York, ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176. Questa Corte (Cass., sez. 3^, 4 luglio 2006 – 5 ottobre 2006, n. 33470, cit.) ha già rilevato in proposito che, aderendo alla citata Convenzione, l’Italia – il cui ordinamento giuridico vede la tutela della gioventù inserita nell’art. 31 Cost., comma 2, – si è impegnata a proteggere i fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e di violenza sessuale ed, in particolare, ad adottare le necessarie misure per prevenire ed impedire l’induzione o coercizione di un bambino per coinvolgerlo in qualunque attività sessuale illegale; lo sfruttamento dei bambini nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illegali; lo sfruttamento dei bambini in spettacoli e materiali pornografici. Tali direttive giustificano una tutela penale più pregnante per i minori, rispetto agli adulti, perchè i primi sono soggetti manipolagli, inadeguati ad autodeterminarsi, facilmente influenzabili ed inducibili ad atti sessuali che possono avere ricadute negative, anche non emendabili, sul loro futuro sviluppo psicofisico.

Ciò porta, sul piano dell’interpretazione sistematica, ad identificare nella condotta di "induzione" qualsiasi comportamento che valga a spingere o solo ad incoraggiare il minore a compiere atti sessuali a fronte di una controprestazione che può essere costituita dall’elargizione di danaro o da qualsiasi altra utilità.

Nella fattispecie dell’art. 600 bis, comma 2 l’agente tiene un comportamento che è sì abusivo del minore, ma che è assolutamente neutro rispetto alla determinazione della volontà, pur immatura, di quest’ultimo di assentire al compimento di atti sessuali con controprestazione; il minore non è benchè minimamente sollecitato, o incoraggiato, o blandito perchè si determini al compimento dell’atto sessuale con controprestazione. Si è sottolineato in proposito che, con l’art. 600 bis, comma 2, il legislatore (sia quello della L. n. 268 del 1998 che, a maggior ragione, quello della L. n. 38 del 2006), per cercare di eliminare ogni forma di prostituzione minorile, ha introdotto una inedita fattispecie di reato sottoponendo a sanzione penale anche la mera condotta del "cliente" (Cass., sez. 3^, 4 luglio 2006 – 5 ottobre 2006, n. 33470, cit.).

Ma, ove invece l’agente partecipi, in maggior o minor misura, al processo volitivo del minore, sollecitandolo, o incoraggiandolo, o blandendolo, perchè compia atti sessuali in cambio di una qualche utilità vuoi con lo stesso agente, vuoi con altri, si configura l’"induzione" alla prostituzione minorile e quindi si ricade nella più grave fattispecie del comma 1. 6. Nella specie il tribunale ha correttamente inquadrato nel reato di "prostituzione minorile" la condotta del F., avendo colto, con valutazione di merito ad esso demandato, la connotazione sessuale delle azioni che le varie ragazze minori, pur consenzienti, subivano dal F. ed ha identificato le controprestazioni che potevano essere costituite da danaro o da varie regalie. Non ha però considerato che il circuito creato dal F. con ripetute azioni e con plurime ragazze minorenni, aveva determinato, in quell’ambiente di ragazze adolescenti (dove – si legge nell’ordinanza annullata dal tribunale – il F. era conosciuto come soggetto che in cambio di "particolari attenzioni a sfondo sessuale" era disposto ad elargire somme di danaro) una situazione oggettivamente incentivante della prostituzione minorile; tra quelle ragazze si sapeva che, se avessero voluto danaro o altri benefici equipollenti, c’era il F. che, in cambio della soddisfazione di alcune sue pulsioni sessuali, non particolarmente invasive, assicurava questa controprestazione. Si aveva allora che nel processo volitivo delle minori risultava un’interferenza del F. qualificabile in termini di induzione: il F. non era solo il fruitore di prostituzione minorile, ma anche l’alimentava con il fatto che la sua ripetuta offerta di controprestazioni in danaro o di altre utilità a numerose minori circolava tra le stesse, le quali quindi erano di fatto incoraggiate a procurarsi l’uno o le altre sol che si fossero determinate ad accondiscendere alle richieste del F..

Quindi, la condotta addebitata – a livello dei gravi indizi di cui all’art. 273 c.p.c. – al F. va correttamente inquadrata nell’art. 600 bis, comma 1 piuttosto che nel comma 2, sicchè, essendo prevista la pena della reclusione da sei a dodici anni e della multa da Euro 15.493,00 a Euro 154.937,00, risulta superata – diversamente da quanto ha ritenuto il tribunale – la soglia di pena minima che, ex art. 280 c.p.p., comma 2, consente la misura cautelare della custodia in carcere, e che più in generale, ex art. 280, comma 1, consente misure coercitive, ricadendosi inoltre nell’ipotesi dell’art. 275, comma 3, modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2 conv., con modif. in L. 23 aprile 2009, n. 38, che – anche dopo la pronuncia della Corte costituzionale infra cit. – tipicizza questa fattispecie di reato (diversamente da quella di cui all’art. 600 bis, comma 2) come titolo legittimante della custodia cautelare in carcere.

7. E’ assorbito l’altro profilo di censura del p.m. ricorrente che, in via subordinata, ha posto in evidenza che le minori abusate rientravano nella fascia di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni, sicchè per quelle infrasedicenni, ove pur si fosse ritenuta la fattispecie meno grave dell’art. 600 bis c.p., comma 2 comunque ricorreva l’aggravante – ad effetto speciale (ex art. 278 c.p.p.) – prevista dal comma 3 della medesima disposizione che faceva superare la soglia di pena prevista dal cit. art. 280 c.p.p. per l’adozione della misura cautelare.

8. Resta fermo – ben inteso – che – a seguito di C. cost. 21 luglio 2010 n. 265, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 275 c.p.p., comma 3, secondo e terzo periodo, come modificato dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, art. 2, conv., con mod., in L. 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui, nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli artt. 600-bis, comma 1 (prostituzione minorile), 609-bis (violenza sessuale) e 609-quater (atti sessuali con minorenne) c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure – il tribunale per il riesame dovrà comunque tener conto della possibilità di applicare misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere.

9. In conclusione il ricorso del p.m. va accolto con conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata e rinvio al medesimo tribunale di Bolzano per nuovo esame.
P.Q.M.

LA CORTE annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Bolzano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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