Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09-03-2011, n. 5519 ICI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento ICI con il quale il Comune di Genova riteneva di dover determinare l’imposta con applicazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6, relativamente ad un immobile di interesse storico-artistico per il quale la proprietaria aveva intrapreso un importante intervento di ristrutturazione.

La Commissione adita, ritenuto che il Comune avesse correttamente operato, sollevava eccezione di legittimità costituzionale della norma applicata, evidenziando, da un lato, che la spesa sostenuta dalla contribuente non fosse indice di capacità contributiva, ma conseguenza necessitata di interventi manutentivi su immobile soggetto a vincoli storici e ambientali, e, dall’altro, che la norma discriminerebbe tra i contribuenti in ragione del possesso di un immobile che necessiti di onerosi interventi di manutenzione.

La Corte costituzionale, con ordinanza n. 6 del 2003, dichiarava la questione manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza, sottolineando come il giudice rimettente non avesse considerato l’esistenza di altra norma, il D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, specificamente riguardante la base imponibile per i fabbricati di interesse storico e artistico.

Riassunta la controversia, la Commissione Provinciale accoglieva il ricorso della contribuente affermando come la Corte costituzionale avesse sostanzialmente indicato a quale norma dovesse farsi riferimento nella fattispecie e il giudice d’appello, con la sentenza in epigrafe, confermava la decisione.

Avverso tale sentenza il Comune di Genova propone ricorso per cassazione con tre motivi. Resiste la contribuente con controricorso, illustrato anche con memoria, proponendo, con lo stesso atto, ricorso incidentale con due motivi.

Chiamata la causa innanzi alla Sezione Tributaria di questa Corte, il Collegio, con ordinanza n. 14363/10 del 5 maggio – 15 giugno 2010, ha disposto la rimessione della causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, innanzi alle quali la causa è, quindi, chiamata all’odierna udienza.

MOTIVAZIONE
Motivi della decisione

1. Preliminarmente occorre disporre la riunione del ricorso principale e del ricorso incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite, definita questione di massima di particolare importanza, è il rapporto di specialità tra le norme di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6, e al D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, rapporto che è "alla base della soluzione della questione coinvolta dal terzo motivo proposto nel ricorso principale (nella parte in cui censura violazione di legge)". Tale censura, infatti, denuncia la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6, per aver il giudice di merito escluso che la norma fosse applicabile nella fattispecie, risolvendo, invece, la controversia mediante l’applicazione del D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, nemmeno interpretando correttamente l’ ordinanza n. 6 del 2003 della Corte costituzionale.

3. La sostanza della controversia sta, quindi, nella individuazione della norma applicabile: se, cioè, ai fini della determinazione della base imponibile di un immobile di interesse storico-artistico, che sia oggetto di uno degli interventi di recupero di cui alla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lettere c), d) ed e), debba farsi riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6 o al D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5. 4. Il D.Lgs. n. 540 del 1992, art. 5, stabilisce quale sia la base imponibile dell’ICI e lo identifica nel valore dei fabbricati, delle aree fabbricabili e dei terreni agricoli posseduti dal contribuente.

Nel caso di specie la categoria che interessa è quella dei "fabbricati", relativamente ai quali, quando iscritti in catasto, il comma 2 della citata disposizione stabilisce che "il valore è costituito da quello che risulta applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1 gennaio dell’anno di imposizione, i moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dal primo periodo dell’art. 52, u.c., del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131". 5. La base imponibile è, tuttavia, determinata secondo una diversa regola allorchè su un fabbricato soggetto ad ICI si svolgano interventi di restauro e di risanamento conservativo, o di ristrutturazione edilizia o di ristrutturazione urbanistica. A definire quali siano questi interventi che "modificano" la regola di determinazione della base imponibile provvede la L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lettere c), d) ed e). Giusta tale norma:

– interventi di restauro e di risanamento conservativo sono "quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio";

– interventi di ristrutturazione edilizia sono "quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti";

– infine interventi di ristrutturazione urbanistica sono "quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale". 6. Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6, stabilisce, in tal modo, una diversa base di calcolo dell’imposta, che tiene conto di una particolare – e transitoria – situazione nella quale si trova il fabbricato, situazione che ne pregiudica la "normale redditività", giustificando il riferimento della base imponibile non più al fabbricato, ma al valore dell’area sulla quale il fabbricato insiste.

Stabilisce, infatti, la disposizione in esame che: "In caso di utilizzazione edificatoria dell’area, di demolizione di fabbricato, di interventi di recupero a norma della L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e), la base imponibile è costituita dal valore dell’area, la quale è considerata fabbricabile anche in deroga a quanto stabilito nell’art. 2, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato". 7. La norma ora esaminata si riferisce con tutta evidenza ad ogni fabbricato, che non sia altrimenti qualificato, ed è esclusivamente attenta ad una situazione "esterna", che non concerne una caratteristica o ad una qualità propria del fabbricato, ma esclusivamente la condizione temporanea nella quale un "comune" fabbricato si trovi allorquando vengano eseguiti i lavori descritti dalle ricordate dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e).

8. Qualora il fabbricato di cui si tratti sia soggetto ad un vincolo storico-artistico, secondo le disposizioni di cui alla L. n. 1089 del 1939, art. 3 (ed attualmente secondo le disposizioni cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10, e segg.), la base imponibile ai fini ICI è determinata da una apposita norma, il D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5 (convertito con L. n. 75 del 1993).

Tale norma stabilisce: "Per gli immobili di interesse storico o artistico ai sensi della L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 3 e successive modificazioni, la base imponibile, ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), è costituita dal valore che risulta applicando alla rendita catastale, determinata mediante l’applicazione della tariffa d’estimo di minore ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è sito il fabbricato, i moltiplicatori di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 2". Della norma in questione il legislatore ha dato una interpretazione autentica con la L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 6, stabilendo che "le disposizioni di cui al D.L. 23 gennaio 1992, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 1993, n. 75, si interpretano nel senso che, ai soli fini del medesimo decreto, tra le imposte dirette è inclusa anche l’imposta comunale sugli immobili (ICI)". 9. In questa prospettiva appare ineludibile verificare come sia regolata la tassazione degli immobili di interesse storico-artistico.

In proposito, ormai con orientamento consolidato, questa Corte ha affermato che la norma di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, "individua per gli immobili storico-artistici una sorta di regime tributario sostitutivo prevedendo non un’esenzione o una riduzione di imposta (secondo una fissata percentuale), bensì una peculiare modalità di imposizione astrattamente determinata senza alcun rapporto con il valore reale (locativo o fondiario) del bene tassato, dato che il reddito dei predetti immobili è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato" (Cass. n. 2332 del 2009, in motivazione).

Esaminando la lettera della norma, appare immediatamente evidente che l’oggetto dell’imposizione è individuato tout court negli immobili soggetti a vincolo storico-artistico, senza che sia aggiunta alcuna altra aggettivazione o qualificazione che autorizzi l’interprete a darne una specificazione, ulteriore rispetto alla qualità – carattere storico-artistico – che il legislatore ha ritenuto determinante al fine di sottoporre gli immobili in questione ad uno speciale regime impositivo, tanto più che la norma in questione espressamente dispone che tale regime si applica "in ogni caso". 10. La scelta del legislatore di far riferimento ad un criterio astratto – "in ogni caso il reddito… è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato" -, non consente all’interprete di introdurre una limitazione all’applicabilità della norma che ridurrebbe il valore dell’espressione "in ogni caso" utilizzata dal legislatore e svaluterebbe anche la qualità, il carattere storico-artistico dell’immobile, che rappresenta, nell’insindacabile scelta legislativa, l’unica ragione giustificatrice dell’applicazione di un regime impositivo speciale.

11. D’altro canto, come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 346 del 2003, la scelta del legislatore appare "tutt’altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9 Cost., comma 2". Ed è chiaro che questo "complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9 Cost., comma 2", non muta, nè nella sostanza, nè nella gravosità, a seconda della destinazione, ad uso abitativo o ad uso diverso, o anche della categoria catastale di classificazione dell’immobile che ne sia specificamente oggetto, costituendo gli immobili di interesse storico-artistico, sotto l’indicato aspetto, una categoria omogenea.

12. Nè può ritenersi irragionevole la scelta del legislatore laddove "prevede che il reddito imponibile sia in ogni caso determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato": ciò perchè "una volta esclusa… la comparabilità della disciplina fiscale degli immobili di interesse storico o artistico con quella degli altri immobili, la censura di irragionevolezza risulta priva di consistenza, in uno con quella, ad essa connessa, di violazione del principio di eguaglianza, essendo l’una e l’altra basate sull’erroneo presupposto della sostanziale omogeneità delle due categorie di beni". E evidente che la disomogeneità che distingue gli immobili di interesse storico o artistico, da un lato, dagli immobili che non siano tali, dall’altro, e che legittima il diverso trattamento fiscale degli uni e degli altri, prescinde necessariamente dalla destinazione d’uso ed anche dalla classificazione catastale che abbiano gli immobili di interesse storico o artistico, essendo tale destinazione, o classificazione, ininfluente al fine di determinarne l’appartenenza alla categoria "protetta". A tanto si aggiunge l’estrema difficoltà di una precisa determinazione del reddito degli immobili in questione "per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni". Da tali affermazioni si ricava che la ratio legis della disposizione di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, è data dalla necessità di tenere conto del fatto che i proprietari degli immobili appartenenti alla tipologia considerata dalla norma in questione debbono affrontare, nell’interesse pubblico alla conservazione dei beni culturali, costi di manutenzione, così rilevanti da rendere non sicuramente determinabile il reddito effettivo: una riprova può essere data dalla disposizione di cui alla L. n. 133 del 1999, art. 18, lett. c), che conferma il principio stabilito dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, per il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi della L. n. 1089 del 1939, art. 3, "inteso a tenere conto dei vincoli gravanti su di essi nonchè dell’interesse pubblico alla loro conservazione". Se ciò è vero, come è vero, ha affermato questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e conferma, "non avrebbe senso logico introdurre, all’interno dell’unitaria categoria degli immobili di interesse storico-artistico, una distinzione tra detti immobili secondo la loro destinazione d’uso o la loro classificazione catastale: nè l’interesse pubblico alla conservazione dell’immobile di interesse storico-artistico, nè i costi di manutenzione, finalizzati alla tutela di tale interesse, nè l’incertezza sulla determinazione del reddito effettivo che l’incidenza di tali costi causa, dipende (nè può dipendere) dalla diversa destinazione, abitativa o meno, o dalla diversa classificazione catastale dell’immobile. Sicchè limitare l’applicazione della disposizione di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 2, ai soli immobili di interesse storico-artistico destinati ad uso abitativo o a quelli classificati in una determinata categoria catastale (ad es. la categoria A), significherebbe introdurre nel sistema una distinzione non ragionevole – tenuto conto della ratto legis della norma speciale e optare, di conseguenza, per un’interpretazione della stessa norma che non sarebbe costituzionalmente orientata" (Cass. n. 14149 del 2009, in motivazione).

13. L’aver chiarito che la tassazione degli immobili di interesse storico o artistico, ai fini delle imposte sui redditi, non è ispirata ad una regola di "agevolazione", bensì ad una regola di "specialità", cioè all’istituzione di "un regime tributario sostitutivo" di quello ordinario, non può non aver conseguenze anche con riferimento alla tassazione dei medesimi immobili con riferimento all’ICI, anche alla luce della ricordata esistenza di una apposita disposizione – il D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5 (convertito con L. n. 75 del 1993) – che disciplina la tassazione dei predetti immobili ai fini ICI e della ricordata norma di interpretazione autentica – la L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 6 – di tale disposizione. In altri termini, anche ai fini ICI, la tassazione degli immobili risponde ad una regola "speciale" che istituisce un "regime tributario sostitutivo" di quello cui soggiacciono gli immobili che non abbiano quella particolare "qualità" – il vincolo di interesse storico o artistico -, costitutiva della ratio della specialità della disciplina.

14. Una ratio quest’ultima assolutamente diversa da quella che sorregge la regola stabilita dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 6, che fa riferimento, con tutta evidenza, ad una situazione "eccezionale (ma) transitoria", conseguente alla esecuzione su un immobile soggetto a "tassazione ordinaria" di particolari lavori (quelli specificati alla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e)). Si tratta, cioè, di una "eccezione (o agevolazione fiscale) interna" al regime ordinario di tassazione ai fini ICI degli immobili non altrimenti qualificati, che non può avere, per sua natura e collocazione, applicazione in altri "regimi di tassazione", che si caratterizzano per "specialità" propria, connessa ad una qualità specifica (e sostanzialmente intrinseca) dell’immobile (non da altri immobili posseduta) oggetto dell’imposta. Il "valore", ai fini della tassazione, di un immobile di interesse storico o artistico è considerato dalla legge "minore", con carattere permanente (stante la peculiare situazione "soggettiva" dell’immobile stesso, per i pesanti oneri manutentivi che il riconoscimento della specifica qualità comporta), e non "occasionalmente" per l’esecuzione di lavori, che diminuiscono temporaneamente (cioè fino alla loro ultimazione) il valore "ordinario" del bene: tanto più se si considera che il "valore diminuito" in ragione dello svolgimento dei lavori di cui si parla, sarebbe comunque "maggiore" di quello che la legge attribuisce, indipendentemente da ogni altra circostanza, all’immobile di interesse storico o artistico.

15. Sicchè deve affermarsi il seguente principio di diritto: "In materia di tassazione ai fini ICI degli immobili di interesse storico o artistico è applicabile esclusivamente la regola stabilita dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, comma 5, convertito con L. n. 75 del 1993, come interpretato dalla L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 6, anche qualora per tali immobili fossero effettuati interventi di restauro e di risanamento conservativo o interventi di ristrutturazione edilizia o interventi di ristrutturazione urbanistica, quali indicati dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), d) ed e)". 16. Poichè la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del suddetto principio, il ricorso principale deve essere rigettato:

resta assorbito il ricorso incidentale. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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