Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 04-02-2011, n. 4181 Farmaci e prodotti galenici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4/3/2010, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pisa, in data 8/5/2008, dichiarati prescritti i reati di cui alla L. n. 1127 del 1939, art. 88, per il residuo reato di ricettazione, riduceva la pena inflitta a C.C. a mesi otto di reclusione ed Euro 200,00 di multa e la pena inflitta a Ce.Lu. e C. B. a mesi quattro di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

I fatti si riferivano all’acquisto da parte degli imputati, esercenti la professione di farmacisti, di differenti quantitativi del principio attivo "Sildenafil citrato" (sostanza utilizzata dalla casa farmaceutica titolare del brevetto per la produzione del "Viagra"), dai medesimi utilizzato per preparazioni galeniche.

Avverso tale sentenza propone ricorso tutti e tre gli imputati per mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.

C.C. solleva tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce errata applicazione dell’art. 648 c.p. in relazione alla possibilità di qualificare in termini di ricettazione l’acquisto del principio attivo "Sildenafil citrato" e contraddittorietà della motivazione sul punto.

Al riguardo si duole che la Corte territoriale, nel respingere l’analoga questione sollevata con i motivi d’appello, ha reso una motivazione inconferente e contraddittoria. In diritto ribadisce che la condotta di acquisto del principio attivo da parte dell’imputato era in concorso necessario, anche se improprio, con quella di vendita, di cui al R.D. n. 1127 del 1939, art. 88, considerato dai giudici di merito il reato presupposto del delitto di ricettazione.

Di conseguenza la condotta ascritta all’imputato, comportando il concorso nel reato presupposto, non poteva integrare gli estremi della ricettazione. La motivazione adoperata dalla Corte per respingere l’eccezione di concorso nel reato presupposto – obietta il ricorrente – è illogica in quanto richiama il rapporto fra furto (delitto tipicamente monosoggettivo) e ricettazione che non si attaglia alla fattispecie in esame. Osserva, inoltre, che nella precedente formulazione della norma di cui alla L. n. 1127 del 1939, art. 88, applicabile ratione temporis alla fattispecie, era contemplata non la mera vendita, bensì lo "spaccio", termine più pregnante, che allude a condotte di intermediazione nella circolazione di beni la cui commercializzazione è vietata dalla legge, nelle quali non è possibile separare concettualmente l’approvvigionamento dalla vendita.

Con il secondo motivo deduce mancanza o manifesta contraddittorietà della motivazione in punto di sussistenza dell’elemento psicologico del reato di ricettazione. Al riguardo deduce che proprio il riferimento alle circolari emesse dalla Federfarma con le quali si avvertivano i farmacisti della necessità di rispettare i brevetti nelle produzioni galeniche è indicativo della confusione che vigeva sull’argomento fra i farmacisti, mentre il comportamento del C. al momento del sequestro dimostrava la sua buona fede.

Con il terzo motivo si duole della mancanza di motivazione in punto di quantificazione della pena.

Ce.Lu. solleva tre motivi di ricorso.

Con il primo motivo deduce mancanza o manifesta illogicità della motivazione per violazione ed erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p. Al riguardo eccepisce che la Corte territoriale ha fatto malgoverno dei principi che riguardano la formazione della prova indiziaria, facendo discendere la responsabilità dell’imputato, il quale lavorava come dipendente nella farmacia della madre, Ca.

B., dalla circostanza che "altrimenti le fatture del Sildenafil non sarebbero intestate anche a suo nome".

Tale indizio, che si riferisce ad una sola fattura per un totale di 5 grammi, difetterebbe dei requisiti della gravità e della precisione, in quanto la titolare della farmacia è conosciuta come dr.ssa Ca. – Ce., in quanto coniugata Ce..

Con il secondo motivo deduce violazione e/o erronea applicazione del disposto del R.D. n. 1127 del 1939, art. 1 eccependo che la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretare la cd. "eccezione galenica", non tenendo conto che soltanto nel 2005, con l’art. 68 codice della proprietà industriale, il legislatore ha posto un espresso divieto di utilizzazione dei principi attivi realizzati industrialmente per la preparazione estemporanea di medicinali nelle farmacie. Pertanto la norma del 2005, vietando ciò che prima era consentito, ha implicitamente confermato che, nel vigore della normativa precedente, l’esenzione galenica era da intendersi in senso proprio, cioè come esenzione, quantomeno del farmacista, dal rispetto della tutela brevettuale in caso di fabbricazione di galenici magistrali.

Con il terzo motivo deduce il vizio della motivazione, con riferimento all’accertamento dell’elemento soggettivo nel delitto di ricettazione, sotto molteplici profili. In particolare si duole della errata applicazione di norma di legge extrapenale, con riferimento all’art. 7, comma 2 del Decreto del Ministero della salute 18/11/2003, non vigente all’epoca dei fatti. Si duole inoltre del richiamo della Corte ad alcune circolari della Federfarma che mettevano in guardia i farmacisti dall’utilizzo nella preparazioni galeniche di principi attivi tutelati da brevetto, facendo rilevare che la circolare della Federfarma, che si riferisce proprio alla questione della preparazione galenica con Sildenafil citrato, reca la data dell’8 novembre 2001, successiva a quella dell’acquisto del principio attivo, oggetto di imputazione. Infine si duole che la Corte territoriale non abbia risposto alle ulteriori argomentazioni difensive circa l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato.

Ca.Ba. solleva due motivi di ricorso analoghi ai motivi due e tre dedotti da Ce.Lu..
Motivi della decisione

Il ricorso di Ce.Lu. è fondato nei limiti di cui si dirà.

Sono infondati i ricorsi di C.C. e Ca.Ba..

C.C..

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso il Collegio non condivide la, pur pregevole, tesi avanzata dalla difesa dell’imputato in ordine alla non configurabilità degli estremi della condotta punibile per il reato di ricettazione in virtù del concorso improprio dell’agente nella commissione del reato presupposto di vendita (o spaccio), di cui al R.D. n. 1127 del 1939, art. 88, del principio attivo protetto dalla tutela brevettuale. La norma di cui all’art. 648 c.p. contiene una clausola di riserva che esclude il reato di ricettazione nei casi in cui chi acquista o riceve la cosa abbia concorso nella commissione del reato da cui la cosa proviene.

Il tenore letterale della norma non lascia adito a dubbi che si riferisca all’istituto del concorso di persone nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p. Deve trattarsi, pertanto, di concorso in senso proprio.

Occorre che il compartecipante al quale non può essere ascritto il compimento della condotta legale tipica abbia posto in essere un qualsiasi concreto apporto causale all’attività criminosa dell’autore materiale, in guisa da consentire e agevolarne l’azione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6684/1985, Rv. 170009, Vio). Qualora l’atto illecito consista nella vendita (o nello spaccio), il semplice atto di acquisto della sostanza illecitamente posta in vendita non integra gli estremi del concorso, a meno che non risulti una istigazione, ovvero un previo concerto, che abbia determinato l’agente all’azione. Di conseguenza non è censurabile, sotto questo profilo, la sentenza impugnata in quanto la Corte territoriale legittimamente ha escluso il concorso non avendo riscontrato – attraverso un accertamento di fatto – che il C. abbia posto in essere un apporto causale che abbia determinato il fornitore alla vendita.

E’ infondato anche il secondo motivo in punto di eccezione galenica.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha chiaramente escluso che la portata della cd. eccezione galenica renda lecito una sorta di circuito parallelo delle sostanze brevettate. In proposito può essere richiamata una recente pronunzia di questa Corte (Sez. 3, Sentenza n. 2422 del 06/11/2008 Ud. (dep. 21/01/2009) Rv. 242012) che ha statuito quanto segue.

"occorre definire la portata della cd. eccezione galenica, introdotta dopo che la Corte costituzionale con sentenza n. 20 del 20.3.1978 aveva rimosso dall’ordinamento il divieto di brevetti per i medicamenti, previsto dall’ari. 14 della Legge – Invenzioni. Dopo questa sentenza costituzionale il D.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, art. 1, ha riformulato l’art. 1 Legge – Invenzioni, ridefinendo il contenuto del diritto di brevetto e introducendo come limiti al medesimo, e quindi escludendo dalla esclusiva brevettale, l’attività privata non commerciale, l’attività sperimentale e la preparazione galenica.

In relazione alla cd. eccezione galenica, il nuovo testo stabilisce esattamente che "la facoltà esclusiva attribuita al diritto di brevetto non si estende, quale che sia l’oggetto (…) alla preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica, e ai medicinali così preparati (art. 1, comma 3, lett. b) della suddetta Legge – Invenzioni). Scopo evidente della eccezione è di consentire al farmacista di preparare e vendere al paziente un medicinale brevettato con diverso dosaggio o con diverso eccipiente rispetto a quello del medicinale posto in vendita dal titolare del brevetto, per ogni caso in cui il paziente necessita appunto di un diverso dosaggio o è allergico all’eccipiente utilizzato per il medicinale commercializzato dal titolare del brevetto o dai suoi licenziatari. In questi casi, il diritto patrimoniale alla privativa a favore dell’inventore è sacrificato dal legislatore alla esigenza di tutelare il diritto alla salute del paziente.

Si comprende in tal modo perchè il legislatore ha posto condizioni e limiti precisi per l’integrazione della fattispecie derogatoria, richiedendo: a) la estemporaneità, nel senso che il medicinale galenico deve essere preparato dal farmacista per la specifica occasione; b) un limite quantitativo, nel senso che la preparazione deve essere fatta "per unità"; c) una garanzia sanitaria, nel senso che la preparazione galenica deve essere fatta nella farmacia dietro presentazione di ricetta medica (si parla perciò di prodotto galenico magistrale, per distinguerlo dal prodotto galenico officinale, che può essere confezionato in farmacia con o senza ricetta medica). In assenza di questi condizioni non si da eccezione galenica e conserva tutto il suo vigore la esclusiva brevettuale (v. anche Cass. Sez. 3A, n. 46859 del 10.10.2007, P.G e P.C. in proc. Marron, rv. 238683).

In conclusione, si deve osservare da una parte che la eccezione galenica magistrale, in forza dei requisiti richiesti (di estemporaneità, di quantità e di garanzia sanitaria), è confinata nell’ambito artigianale ed è esclusa dall’ambito industriale; e dall’altra parte che, proprio per la sua natura derogatoria, deve essere interpretata restrittivamente. La giurisprudenza di legittimità non presenta oscillazioni al riguardo.

II difensore sostiene che: a) la eccezione galenica può ritenersi esclusa nel caso concreto solo in forza della nuova formulazione datane dal D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, art. 68, (Codice della proprietà industriale), secondo la quale la esclusiva brevettuale "non si estende alla preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica e ai medicinali così preparati, purchè non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente"; b) peraltro l’aggiunta dell’inciso "purchè non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente" configura una innovazione legislativa, che non poteva essere applicata ai fatti commessi prima della entrata in vigore del codice anzidetto. Sul punto, questa Corte ha già avuto modo di osservare che "l’aggiunta è stata introdotta allo scopo di meglio tutelare il diritto di brevetto, considerato il proliferare dell’illegale commercio di principi attivi prodotti industrialmente" (Sez. 3A, Marton, già citata), e che "la nuova disciplina si limita sostanzialmente a confermare quanto già ricavabile dal dato testuale della norma precedente" (Sez. 3A, n. 25242 dell’8.5.2008, dep. 20.6.2008, Poli).

Quest’ultimo assunto giurisprudenziale deve essere condiviso e ribadito, giacchè, se è vero che la relazione governativa al D.Lgs. n. 30 del 2005 configura il predetto art. 68, come "una controlimitazione alla limitazione della preparazione galenica", è altrettanto vero che la stessa relazione sottolinea come le norme del capo 2 (in cui è contenuto l’ari. 68) siano state redatte secondo il criterio di "non mutare le disciplina in vigore se non negli strettissimi limiti consentiti dal legislatore delegante per ottenere il coordinamento delle disposizioni e la coerenza giuridica, logica e sistematica della intera disciplina"; e precisa che "quelle rarissime volte nelle quali si è ritenuto di modificare la disciplina vigente, lo si è fatto unicamente per ottenere l’effetto di una maggiore certezza dei rapporti giuridici senza mai perseguire un obiettivo d’innovazione che sarebbe stato incompatibile con i limiti della delega". Infatti, la L. 12 dicembre 2002, n. 273, art. 15, ha delegato il Governo a emanare uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale non a scopo innovativo (salvo che per alcuni aspetti istituzionali e amministrativi), bensì al fine di realizzare un "coordinamento, formale e sostanziale, delle disposizioni vigenti per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica" e di ottenere un "adeguamento della normativa alla disciplina internazionale e comunitaria intervenuta". Poichè in materia di eccezione galenica (ovvero di limitazione del diritto di brevetto, per riprendere la terminologia adottata nella rubrica del menzionato art. 68) non sono intervenute nuove discipline internazionali o comunitarie, si deve concludere che l’inciso di cui si discute non ha innovato la normativa esistente, ma si è limitato a esplicitare il carattere artigianale della eccezione galenica che l’interpretazione giurisprudenziale dell’abrogato art. 1, comma 3, Legge – Invenzioni aveva già messo in luce".

La pronunzia impugnata è coerente con l’insegnamento di questa Corte in materia di eccezione galenica e quindi sfugge ad ogni censura.

Per quanto riguarda le censure di vizio della motivazione in punto di accertamento dell’elemento soggettivo del reato, sollevate con il terzo motivo di ricorso, si ricorda che le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6A 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

Nella fattispecie il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale per accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo non presenta profili di illogicità manifesta. La Corte ha preso in considerazione gli argomenti sollevati dagli appellanti e li ha respinti sulla base di considerazioni che – per quanto opinabili – non appaiono palesemente illogiche o contraddittorie.

Infine è infondato anche il quarto motivo di ricorso in punto di quantificazione della pena, in quanto la Corte ha dato atto, sia pure con motivazione essenziale, delle ragioni di gravità del fatto che giustificano la conferma della pena inflitta in primo grado.

Ce.Lu..

E’ fondato il primo motivo di ricorso in punto di violazione dei principi che regolano la formazione della prova, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2.

Secondo l’insegnamento di questa Corte: "la valutazione della prova indiziaria comporta innanzitutto l’esame dei singoli elementi indiziari per apprezzarne la certezza e l’intrinseca valenza indicativa, quindi l’esame globale degli elementi ritenuti certi per verificare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi così da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 30448 del 09/06/2010 Ud. (dep. 30/07/2010) Rv. 248384).

Nella fattispecie la responsabilità dell’imputato, che non è titolare, nè responsabile della farmacia, di cui risulta dipendente, è stata affermata sulla base di una prova indiziaria dalla quale emergerebbe – come rilevato dal giudice di prime cure – che il Ce. non era "un mero collaboratore ma svolgeva un ruolo gestionale vero e proprio" (fol. 12). Gli indizi identificati dal primo giudice sono tre: – il rapporto parentale (la dr.ssa Ca. è madre del dr. Ce.); – la padronanza dei temi e delle problematiche trattate nel processo, come dimostrato nell’esame; – la stessa intestazione della fattura di acuiste che reca la dicitura Ca. – Ce..

La Corte territoriale ha respinto le contestazioni sollevate dall’imputato con l’appello con questa osservazione: "se il Ce. fosse stato estraneo alla gestione della farmacia, le fatture del Sidenalfil non sarebbero intestate anche a suo nome".

Di conseguenza l’intestazione delle fatture (rectius della fattura) sarebbe l’elemento (indiziano) determinante per la prova della responsabilità dell’imputato. Senonchè tale elemento indiziario presenta una notevole ambiguità dal momento che il fatto che la fattura riporti la dicitura "Farmacia Ca. – Ce." non equivale ad una intestazione personale della fattura.

Nella sentenza impugnata è omessa ogni valutazione sulla gravità e concludenza dell’elemento indiziano identificato.

Di conseguenza la sentenza impugnata, relativamente alla posizione del Ce., deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze che si atterrà al principio di diritto sopra indicato.

Ca.Ba..

Le censure sollevate dalla ricorrente in punto di eccezione galenica e di difetto dell’elemento soggettivo devono essere respinte per le ragioni compiutamente argomentate con riferimento al ricorso di Co.Ce..

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata relativamente a Ce.

L. e dispone trasmettersi gli atti ad altra Sezione della Corte d’Appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.

Rigetta i ricorsi di C.C. e Ca.Ba., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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