Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-03-2011, n. 5768 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 13 luglio 2006, in parziale riforma di una precedente pronuncia del tribunale della stessa città, condannò in solido la Monetti & C. s.r.l. ed i sigg.ri R.F., F. e M.C. a corrispondere al Banco di Sicilia s.p.a. la somma di Euro 62.924,06, dovuta a saldo di un rapporto di conto corrente di cui la società M. era titolare ed in relazione al quale i sigg.ri R. e M. avevano prestato fideiussione.

Avverso tale sentenza questi ultimi hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, l’uno incentrato sulla pretesa violazione di norme in tema di fideiussione e di buona fede nell’esecuzione dei contratti, l’altro sulla pretesa violazione di norme in tema di interessi nel rapporto di conto corrente bancario.

Il Banco di Sicilia si è difeso con controricorso.
Motivi della decisione

E’ stata preliminarmente eccepita l’inammissibilità del ricorso per violazione della disposizione dettata dall’art. 366 bis c.p.c. L’eccezione appare fondata.

Posto, infatti, che la sentenza impugnata è stata pubblicata in epoca compresa tra il 2 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009, ne consegue che al ricorso risultano applicabili le disposizioni contenute nel citato art. 366 bis, introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, poi abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69.

A norma di detto articolo, l’illustrazione dei motivi di ricorso con cui sono stati dedotti errori di diritto e che appaiono perciò riconducibili alla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, avrebbe dovuto essere corredata, a pena d’inammissibilità, dalla formulazione di appositi quesiti di diritto. Siffatta prescrizione non è stata però rispettata, perchè nessun quesito di diritto è dato rinvenire nel testo del ricorso.

Si aggiunga che detto ricorso neppure contiene, con riferimento alle doglianze di omesso esame di punti decisivi della controversia, che i ricorrenti vorrebbero ricondurre alla previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quel momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, che per siffatta tipologia di censure è parimenti prescritto a pena d’inammissibilità dal citato art. 366-bis (in tal senso si vedano, tra le altre, Sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603, e Cass. 1 settembre 2008, n. 21955).

Da ciò l’inevitabile declaratoria d’inammissibilità, cui consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore dell’istituto di credito controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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