Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-12-2010) 04-02-2011, n. 4216 Imputato dichiarazioni spontanee

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Milano confermò la sentenza 18.6.2009 del GIP del tribunale di Busto Arsizio, che aveva dichiarato gli odierni ricorrenti colpevoli dei reati di cui agli artt. 697 e 699 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, condannandoli alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa.

Gli imputati propongono ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 350 c.p.p., comma 7.

Lamentano che erroneamente la corte d’appello ha escluso la inutilizzabilità della chiamata in correità effettuata da S. E. senza le garanzie di cui agli artt. 64 e 65 c.p.p. per la ragione che si sarebbe trattato di inutilizzabilità non patologica e quindi non operante nel giudizio abbreviato. Al contrario, si tratta di inutilizzabilità patologica. Inoltre il riconoscimento fotografico è inidoneo perchè l’albo fotografico non è stato acquisito in atti.

2) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 perchè non sono sufficienti a provare la responsabilità le sommarie informazioni rese da vari soggetti che si fondano su conoscenze de relato. Mancano comunque validi riscontri alla chiamata in correità.
Motivi della decisione

Il primo motivo è infondato. Nella specie, infatti, si tratta di dichiarazioni spontanee rese dal S. alla PG ai sensi dell’art. 350 c.p.p., comma 7. Ora, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, "Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria sono utilizzabili in sede di giudizio abbreviato anche in mancanza dell’avvertimento di cui all’art. 64, comma 2, lett. c), previsto solo per l’interrogatorio e non per le dichiarazioni di cui all’art. 350 c.p.p., comma 7" (Sez. 3, 3.11.2009, n. 48508, Di Ronza, m. 245622; Sez. 3, 20.1.2010, n. 10643, Capozzi, m. 246590; Sez. 5, 19.1.2010, n. 18064, Avietti, m. 246865); "Le dichiarazioni rese spontaneamente alla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, a norma dell’art. 350 c.p.p., comma 7, non possono essere utilizzate nel dibattimento se non ai fini delle contestazioni, ma possono essere utilizzate pieno iure nel giudizio abbreviato, considerata la peculiare natura di tale rito, fondato su un giudizio allo stato degli atti" (Sez. 2, 19.9.2003, n. 37374, Busa, m. 227037; Sez. 6, 25.5.2004, n. 29138, D’Alise, m.

229457".

In ogni caso, è stato anche affermato il principio che "La nullità dell’interrogatorio del coimputato che renda dichiarazioni eteroaccusatorie, svolto senza le previste garanzie, non sì estende ai successivi interrogatori nei quali il medesimo soggetto, nel rispetto delle regole procedurali, confermi le precedenti dichiarazioni ancorchè richiamandole "per relationem" (Sez. 1, 10.12.2008, n. 8401, Martello, m. 242969). Nella specie – oltre a trattarsi di dichiarazioni spontanee e non di risposte ad un interrogatorio – il collaborante ha confermato le dichiarazioni stesse in sede di interrogatorio di garanzia, non limitandosi ad un richiamo per relationem, ma aggiungendo la precisazione che "quando i miei connazionali hanno visto arrivare i carabinieri mi hanno consegnato la droga e sono fuggiti".

Quanto ai riconoscimenti fotografici, la corte d’appello ha congruamente osservato che anche l’album C, come tutti gli altri, riporta solo le fotografie di "personaggi di interesse operativo" ed i due attuali ricorrenti sono in esso raffigurati e che comunque vi è certezza e convergenza delle individuazioni fotografiche, effettuate non solo dal S. ma anche da numerosi acquirenti.

Il secondo motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque infondato perchè la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto provata la responsabilità degli imputati ed ha ritenuto la sussistenza di validi riscontri alla chiamata in correità. Il motivo peraltro è anche generico perchè non viene nemmeno specificato quali sarebbero le sommarie informazioni che si fonderebbero su conoscenze de relato o si riferirebbero a periodi di tempo diversi o quali sarebbero gli accertamenti investigativi che sarebbero stati omessi. Inoltre, il giudice di primo grado, in particolare, ha osservato come la chiamata in correità aveva trovato riscontro nei risultati della perquisizione domiciliare e nelle dichiarazioni di numerosi soggetti che avevano ammesso di avere acquistato lo stupefacente dai prevenuti.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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