Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-12-2010) 04-02-2011, n. 4209 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 06/09/2010, il Tribunale di Napoli rigettava l’appello proposto da V.A. avverso l’ordinanza pronunciata in data 28/05/2010 con la quale il g.i.p. del Tribunale della medesima città aveva respinto la richiesta di revoca o attenuazione della misura cautelare in carcere.

2. Avverso la suddetta ordinanza l’indagato, con due separati ricorsi proposti dai suoi difensori, ha presentato ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 649 c.p.p. per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che sul punto, si era formato il c.d. giudicato cautelare contravvenendo alla giurisprudenza di legittimità;

2. violazione della L. n. 203 del 1991, art. 7 in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante senza alcuna motivazione;

3. Motivazione illogica in ordine alla ritenuta sussistenza della presunzione di pericolosità ed inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari;

4. difetto di motivazione in ordine: a) alla inidoneità degli elementi successivi all’applicazione della custodia cautelare in carcere esistenti al fascicolo ed addotti dalla difesa a sostegno dell’istanza di revoca o sostituzione della misura; b) alla sussistenza della gravità indiziaria in relazione alla persona del ricorrente.
Motivi della decisione

3. Entrambi i ricorsi nei termini in cui sono state dedotte le censure, sono infondati per le ragioni di seguito indicate. Va premesso che, oggetto della procedimento in esame, è la revoca o l’attenuazione della misura cautelare in carcere, sicchè i consolidati principi di diritto (ex plurimis Cass. 4042/1999 Rv.

214578 – Cass. 14236/2008 Rv. 239661) ai quale attenersi sono i seguenti:

– lo strumento della revoca delle misure cautelari, in quanto diretto a consentire la valutazione della sussistenza ex ante e della persistenza ex post delle condizioni di applicabilità delle misure, non giustifica, in relazione alla sua funzione, alcun limite alla verifica dell’attualità delle stesse, anche con riferimento ai soli fatti preesistenti all’adozione della cautela, dei quali può essere effettuato nuovo e diverso apprezzamento. Ne deriva che, nel caso di istanza dell’interessato, è imposto al giudice il dovere di esaminare qualsiasi elemento e questione attinente alla legittimità del mantenimento della misura;

– al giudice è impedito di entrare nel merito dell’istanza di revoca quando il controllo delle condizioni di applicabilità: 1) sia stato già in concreto effettuato e sul punto si sia formato il ed giudicato cautelare (per tale dovendosi intendere il giudicato attinente alle singole questioni e non al procedimento previsto dall’art. 299 c.p.p., che può essere sempre attivato dall’interessato): in tal caso, infatti, si applica il principio di cui all’art. 649 c.p.p.; b) sia stato già in concreto effettuato anche se la precedente decisione sia priva dell’effetto del giudicato: infatti, anche in tal caso, la suddetta decisione produce, nei confronti delle parti interessate, un’efficacia analoga a quella prevista dall’art. 666 c.p.p., comma 2, (secondo cui è inammissibile la proposta di incidente di esecuzione consistente nella mera riproposizione di una richiesta già rigettata basata sui medesimi elementi) il cui principio è di generale applicabilità;

– la ratto delle suddette preclusioni, che cristallizzano l’esito dei pregressi accertamenti, è, infatti, quella di evitare che l’interessato possa rinnovare continuamente la presentazione di istanze di revoca o di modifica dei precedenti provvedimenti, con il concreto effetto di determinare il venir meno del valore delle pronunce già adottate.

In punto di fatto, va osservato che il Tribunale:

– ha preso in esame l’istanza di revoca;

– si è fatto carico del contenuto dell’istanza e, motivatamente, dopo avere esaminato, punto per punto, la censura, ha rigettato l’appello dimostrando che tutte le doglianze erano identiche a quelle già disattese dal tribunale in sede di riesame della custodia cautelare (la cui decisione era ancora sub indice essendo stata impugnata avanti questa Corte).

Pertanto, deve concludersi che:

– la pretesa violazione dell’art. 649 c.p.p. è insussistente perchè, in ogni caso, la preclusione deriva dall’art. 666 c.p.p.;

– la dedotta illogicità della motivazione in ordine alle ragioni che avevano indotto il Tribunale a ritenere l’insussistenza della novità o sopravvenienza di motivi nuovi, è fuorviante. Il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, si è, infatti, correttamente limitato a rilevare che i motivi nuovi tali non erano perchè erano stati già trattati e respinti dal Tribunale del riesame limitandosi a ribadire la pregnanza degli elementi indiziali posti alla base dell’ordinanza di custodia cautelare. Il ricorrente, quindi, avrebbe dovuto dedurre che aveva addotto fatti nuovi o sopravvenuti (indicandoli espressamente) che giustificavano l’istanza di revoca e che il tribunale non aveva esaminato: il che non ha fatto;

– quanto alla presunzione di pericolosità ed inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari, va osservato che la questione della configurabilità della L. n. 203 del 1991, art. 7, è, come ha rilevato il Tribunale, la medesima di quella già sollevata e respinta dal Tribunale del riesame. Tanto basta, pertanto, per ritenere l’inammissibilità della doglianza diretta ad ottenere un giudizio di merito sulla proporzionalità ed adeguatezza della misura cautelare (giudizio, peraltro, sul quale il Tribunale, sia pure ad abundantiam, si è espresso negativamente), essendo ostativa la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. 4. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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