Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-03-2011, n. 5739 Proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.A., in proprio e quale esercente la potestà sul figlio minore C.D., e Ca.Do., eredi tutti di C.V. e comproprietari per la quota di 1/3 di due immobili siti in (OMISSIS), appartenuti a C. G., padre di V., convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Ancona le comproprietarie T.A. e C.N., rispettivamente moglie e figlia di Ca.

G., per lo scioglimento della comunione.

Le convenute proponevano, a loro volta domanda riconvenzionale affinchè lo scioglimento della comunione avesse ad oggetto altri immobili affermati comuni, consistenti in costruzioni realizzate su terreni anch’essi appartenuti a C.G..

Le attrici replicavano eccependo l’usucapione di tali fabbricati, costruiti dal loro dante causa al tempo in cui questi conviveva con il padre.

Con sentenza non definitiva il Tribunale di Ancona, respinta l’eccezione di usucapione, disponeva la divisione, inclusi i beni controversi; quindi, con sentenza definitiva provvedeva all’assegnazione delle porzioni tra i condividenti.

Avverso entrambe le sentenze proponevano appello principale V.A. e C.D. e Do., e appello incidentale C.N., in proprio e quale erede di T.A., deceduta nelle more del giudizio.

La Corte d’appello di Ancona con sentenza del 24.1.2005 rigettava entrambe le impugnazioni.

Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte territoriale riteneva che gli appellanti, cui incombeva il relativo onere, non avevano fornito prova degli elementi costitutivi della possessio ad ucapionem, e dunque non solo del corpus, ma anche dell’animus, che nella specie non poteva ricavarsi in via presuntiva dalla mera utilizzazione degli immobili (due stanze, due cantine e un’officina meccanica) da parte del dante causa delle attrici, trattandosi di beni edificati sul suolo di proprietà del padre ed acquistati, pertanto, da quest’ultimo. L’utilizzazione di tali beni da parte del dante causa delle parti attrici non poteva essere considerata, in assenza di ulteriori elementi, indicativa di un intento di godere dei beni quale proprietario esclusivo.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorrono V. A., Do. e C.D., con tre mezzi di annullamento.

C.N. resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione i ricorrenti deducono "falsa applicazione dei principi di diritto e delle norme in tema di usucapione – violazione dei principi generali in materia di eccezione di usucapione – violazione e falsa applicazione dei principi di diritto e delle norme in tema di onere della prova – in particolare, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.".

La decisione di primo grado sarebbe errata, sostengono, nella parte in cui ha ritenuto che fosse onere delle parti attrici dimostrare i presupposti dell’acquisto della proprietà per usucapione, poichè non ha considerato l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la presunzione, posta dall’art. 1142 c.c., della continuità del possesso determina un’inversione dell’onere della prova, non essendo il possessore, sia che agisca come attore o resista come convenuto, tenuto a dimostrare la continuità del possesso, ma è onere della controparte, che neghi essersi verificata l’usucapione, provare l’intervenuta interruzione. Le stesse convenute in sede di comparsa di risposta ammettevano espressamente che i beni in contestazione erano stati goduti esclusivamente dalla sig.ra V.A. vedova C. e/o dai suoi figli, affermazione, questa, che costituisce vera e propria attestazione del prolungamento del periodo di godimento esclusivo da parte dei componenti il nucleo familiare di V., posto che a far data dal 1955 (anno di costruzione degli immobili) al (OMISSIS) (anno del decesso di C.V.) lapassessio ad usucapionem era stata esercitata anche dal medesimo capofamiglia.

Una volta ristabiliti i corretti termini di attribuzione dell’onere probatorio, risulterebbe trascurato dalla Corte d’appello, ad avviso delle parti ricorrenti, anche il principio, espresso da Cass. n. 3191/80, in base al quale ove l’autore di una costruzione eseguita con materiali propri sui fondo altrui abbia posseduto uti dominus la costruzione stessa per il tempo necessario ad usucapirla, l’acquisto della proprietà dell’opera per accessione, a favore del proprietario del fondo viene meno per il successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo, verificatosi in virtù dell’usucapione a favore del costruttore. In buona sostanza, si afferma, laddove fosse stata ritenuta fondata, l’eccezione di usucapione avrebbe impedito di ritenere sussistente la fattispecie dell’accessione, ai sensi dell’art. 934 c.c., come a torto hanno ritenuto i giudici di merito.

1.1. – Il motivo è manifestamente infondato, facendo mostra di non cogliere il senso della decisione del giudice d’appello e di equivocare la portata applicativa del precedente di legittimità invocato.

La Corte anconetana ha semplicemente rilevato che il fabbricato della cui usucapione si discute è stato realizzato da C.V., dante causa degli odierni ricorrenti, su suolo di proprietà del padre, G., e durante la vita di quest’ultimo, sicchè per dimostrarne usucapione sarebbe stato necessario provare non la semplice utilizzazione del bene, che attiene all’elemento oggettivo del possesso, ma anche il relativo animus possidenti, visto che l’acquisto del fabbricato (per accessione, ai sensi dell’art. 934 c.c.) in favore di C.G. non consentiva di ritenere tale godimento come indicativo di un possesso esclusivo.

In tale passaggio della sentenza impugnata non è ravvisabile alcuna violazione della regola sul riparto dell’onere probatorio, ma anzi la sua esatta applicazione, nè alcuna affermazione inerente al diverso e del tutto irrilevante problema dell’interruzione del possesso, atteso che in tanto può discutersi dell’interruzione e della relativa prova, in quanto sia previamente dimostrata l’insorgenza del possesso. Il che è esattamente quanto il giudice di merito ha, invece, escluso.

Ancor più erroneo, poi, è l’assunto per cui la giurisprudenza di questa Corte insegnerebbe che l’accessione sia esclusa dall’usucapione. Al contrario di quanto pretende la parte ricorrente, la corretta lettura del precedente innanzi richiamato (Cass. n. 3191/80) porta a concludere che l’usucapione della costruzione eseguita su suolo altrui non esclude l’accessione, ma semplicemente ne fa venir meno gli effetti a causa del successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo per usucapione da parte del costruttore, come del resto è fin troppo ovvio ed evidente sol che si consideri che l’accessione è un modo d’acquisto che si perfeziona ipso ture nel momento stesso in cui la costruzione viene ad esistenza, mentre l’usucapione congiunta del suolo e del manufatto costituisce un effetto che non può che verificarsi venti (o dieci, nel caso dell’art. 159 c.c.) anni dopo che l’accessione si è già verificata.

2. – Con il secondo motivo è dedotta la "violazione e falsa applicazione dei principi di diritto e delle norme in tema di possessio ad usucapionem – in particolare, violazione e falsa applicazione degli artt. 1141 e 1142 c.c.".

Anche ove si ritenessero condivisibili le considerazioni svolte dal giudice d’appello, la sentenza impugnata, sostengono i ricorrenti, è da ritenere comunque errata nel governo degli articoli citati. La Corte territoriale, premettendo che oltre all’esistenza del corpus gli attori avrebbero dovuto dimostrare anche l’animus possidenti, pur dando atto della possibilità di desumere quest’ultimo anche in via presuntiva dallo svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto dominicale, se queste già di per sè sono indicative, in chi le compie, di avere la cosa come propria, ha errato nell’accordare aprioristico valore alle mere deduzioni negative delle convenute in ordine all’esistenza di un fantomatico e non dimostrato compossesso, trascurando elementi di riscontro di carattere oggettivo e sicuramente indicativi dell’animus possidendi, esplicitati nell’atto d’appello, quali a) la circostanza che C.G. fosse coniugato con T.A. e convivesse con lei e la figlia N., e che sebbene proprietario di altre due abitazioni abbia egli soltanto coabitato con il figlio V. e la famiglia di lui, in due anguste stanzette, in un’officina meccanica e in un magazzino con bagno; b) il fatto che C.V. aveva instaurato e mantenuto nel tempo, legittimandola, la propria posizione di incontrastata signoria sull’officina, non solo permanendovi e lavorandovi quale titolare della ditta meccanica, ma anche installando sul piazzale ad essa antistante un distributore di carburante, e costruendo le due stanze al primo piano, sopra l’officina stessa, nonchè il magazzino col bagno e le due cantine.

2.1. – Il motivo è inammissibile, perchè a dispetto della sua titolazione investe – senza individuare uno specifico fatto controverso e decisivo non o non sufficientemente e logicamente esaminato – l’apprezzamento degli elementi di prova che sarebbero stati raccolti, e non già le norme degli artt. 1141 e 1142 c.c., la cui errata o falsa applicazione presupporrebbe come affermativamente risolto il problema primigenio del se e del come sarebbe sorto il possesso del dante causa dei ricorrenti, che è esattamente ciò che questi ultimi hanno di mira allorchè sollecitano un’inammissibile, in sede di legittimità, nuova valutazione dei fatti di causa.

3. – Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dei principi di diritto e delle norme in tema di domanda nuova, e in particolare denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda ex art. 936 c.c., comma 2 e l’omessa o insufficiente motivazione sulla rilevanza della richiesta ctu.

Si sostiene che la domanda ex art. 936, comma 2 sarebbe stata implicitamente proposta in primo grado (il giudizio è soggetto al rito previgente alla L. n. 353 del 1990) mediante la deduzione di un capitolo di prova sull’esecuzione del fabbricato da parte del dante causa dei ricorrenti, e la richiesta, contenuta in conclusionale, di rimettere la causa sul ruolo per nominare un c.t.u. al fine di valutare il costo dei materiali e della mano d’opera impiegata per la costruzione.

3.1. – Il motivo è manifestamente infondato, in quanto, come questa S.C. ha già avuto modo di osservare, una mera richiesta istruttoria, avendo solo carattere strumentale, non può equivalere od implicare una domanda specifica sul merito (Cass. n. 4365/80).

4. – In conclusione il ricorso è infondato e va respinto.

5. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese che liquida in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per spese vive, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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