Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-03-2011, n. 5735 Eccezioni nuove

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 17 novembre 1999 C. C. (così riportato il nome del resistente in tutti gli atti difensivi prodotti in sede di legittimità, anche in quelli di controparte) proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Roma, avverso al decreto ingiuntivo n. 10565/99 (notificato in data 11.10.1999), con il quale il Presidente del Tribunale di Roma gli ingiungeva il pagamento della somma di L. 15.783.950, in favore di P.G., per le prestazioni professionali svolte da quest’ultimo in ordine al progetto di ristrutturazione ed ampliamento del fabbricato sito in (OMISSIS), commissionato dallo stesso ingiunto. L’opponente eccepiva preliminarmente la prescrizione del diritto vantato ex art. 2956 c.c., n. 2, essendo stata l’attività professionale espletata negli ultimi mesi del 1992, terminata il 13 maggio 1996, giorno in cui veniva definitivamente accertata, presso l’8^ Ripartizione del Comune di Roma, l’inutilizzabilità del progetto redatto dal P., pur avendo quest’ultimo seguito la pratica fino al 28.6.1996 (come risulta dai verbali redatti presso l’Ufficio comunale), allorchè veniva dal committente sollevato pubblicamente dall’incarico. In via subordinata, nel merito, deduceva che non erano state detratte da professionista le somme già percepite per L. 4.130.000; inoltre, eccepiva la intervenuta risoluzione del contratto d’opera professionale per inadempimento del progettista, con contestuale richiesta di restituzione delle somme versate. Infatti, il P. aveva redatto un progetto che prevedeva non la sola ristrutturazione dell’immobile esistente, come richiesto dalla committenza, ma anche il suo ampliamento e la sopraelevazione, con realizzazione di una fossa biologica per lo smaltimento delle acque reflue e con aumento della cubatura, non consentito dai regolamenti comunali nelle ipotesi in cui il manufatto esistente scaricava direttamente in fogna, come nel caso di specie. Non avendo il progetto del P. ricevuto la necessaria licenza comunale per realizzare le opere, l’opponente si era rivolto ad altro professionista, che aveva provveduto a redigere un nuovo progetto di ristrutturazione, radicalmente diverso dal precedente. Chiedeva, pertanto, la revoca del decreto opposto e svolgeva domanda riconvenzionale perchè venisse dichiarata la risoluzione del contratto d’opera professionale per esclusiva colpa dell’opposto.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dell’opposto, che deduceva l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione presuntiva ai sensi dell’art. 2959 c.c. per avere il debitore ammesso la mancata estinzione dell’obbligazione, nonchè la decadenza dell’opponente dall’azione in applicazione del combinato disposto degli artt. 2230, 2226 cpv. e 1668 c.c., il quale, peraltro, non aveva provveduto allo smantellamento dell’allaccio fognario abusivo esistente su fondo, come da accordi, il Tribunale adito, all’esito dell’istruzione della causa, dichiarava infondata l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo opposto, con condanna dell’opponente alle spese del giudizio.

In virtù di rituale appello interposto dal C., con il quale lamentava la mancata pronuncia e l’omessa motivazione del giudice di prime cure sull’eccezione di prescrizione del credito ai sensi dell’art. 2956 c.c., n. 2, nonchè la mancata detrazione degli acconti versati e l’errata pronuncia sull’onere della prova, oltre che sulla dimostrazione delle prestazioni svolte dal professionista (che si era limitato alla mera progettazione di massima), la Corte di Appello di Roma, nella resistenza dell’appellato, accoglieva l’appello e revocava il Decreto Ingiuntivo n. 10565/99, respingendo la domanda proposta dal P.; accoglieva, altresì, la domanda spiegata dall’appellante – opponente e dichiarata la risoluzione del contratto d’opera per inadempimento del professionista, condannando quest’ultimo alla restituzione della somma di Euro 2.132,97.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava, preliminarmente, l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dall’appellante stante il disposto dell’art. 2959 c.c. per avere lo stesso debitore riconosciuto la mancata estinzione dell’obbligazione.

Nel merito, affermava che non avendo nessuna delle parti fornito (nè richiesto) il minimo elemento probatorio a sostegno delle rispettive tesi, a fronte delle contestazioni svolte dall’appellante sulla utilizzabilità del progetto in questione, che apparivano obiettivamente fondate per le stesse ammissioni della controparte, doveva essere riferita a responsabilità professionale del P. la mancata utilizzabilità del progetto realizzato, giacchè spettava allo stesso fornire la prova di avere realizzato il progetto nella consapevolezza della sua inutilizzabilità in relazione alla situazione urbanistica della zona, in quanto ciò espressamente richiesto dal C., nonostante fosse stato reso edotto della situazione stessa. De pari avrebbe dovuto offrire la prova dell’impegno assunto dal C. a smantellare l’allaccio abusivamente realizzato.

Aggiungeva, inoltre, che l’eccezione di decadenza e prescrizione proposta dal P. con riferimento all’art. 2226 c.c. era inammissibile in quanto sollevata nella comparsa di costituzione in primo grado, non veniva riproposta nella comparsa conclusionale del giudizio di opposizione, nè nella comparsa di costituzione in appello, nonostante la sentenza impugnata non avesse minimamente affrontato la questione, per essere, poi, dedotta nella memoria di replica alla comparsa conclusionale avversaria in appello.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione il P., che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito con controricorso il C..

Ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c. parte resistente.
Motivi della decisione

Con il primo motivo – nel quale il ricorrente deduce varie censure riferibili ora all’art. 360 c.p.c., n. 3 ora al n. 5) della medesima norma – il P. lamenta il travisamento delle risultanze processuali, il difetto e l’omessa motivazione, l’insufficienza e la sua contraddittorietà su un punto decisivo della controversia, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 101 Cost., degli artt. 115 e 116 c.p.c. In particolare, il ricorrente assume che il giudice di secondo grado sarebbe incorso in palese travisamento delle risultanze processuali ed in difetto di motivazione per avere ritenuto pacifica la non utilizzabilità del progetto realizzato dal professionista, nonchè la circostanza che il contrasto del medesimo progetto con la normativa urbanistica fosse da riferire allo stesso P. e non già alla richiesta di concessione in sanatoria dell’allacciamento alla fognatura comunale del collettore di adduzione abusivo esistente sul terreno presentata dal C., fatto nuovo non imputabile al professionista. Inoltre, il ricorrente deduce l’erronea e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in quanto sarebbe spettato all’opponente dimostrare la responsabilità del professionista, essendo l’elaborato progettuale del P. ampio ed esaustivo, con previsione di un impianto di evapotraspirazione funzionale, rispondente al massimo zelo e scrupolo professionale che avrebbe consentito massima salvaguardia sia nell’ipotesi in cui l’immobile esistente non fosse stato materialmente dotato di collettore di scarico delle acque nere nella fognatura comunale, sia in quella in cui tale scarico esistesse materialmente, ma senza la prescritta autorizzazione.

Si tratta di censure tra loro strettamente connesse, in quanto nella sostanza la questione attiene all’accertamento della responsabilità professionale del P., e pertanto vanno esaminate congiuntamente.

Va, innanzitutto, osservato che sotto tale profilo, il problema da risolvere non è la utilizzabilità o meno del progetto realizzato dal P., ma se quel progetto, così come redatto, fosse o meno da riferire a specifiche richieste de committente ovvero ad iniziativa dello stesso professionista.

Così impostato il problema v’è da rilevare che il P., attore in senso sostanziale, ha proposto azione di adempimento nei confronti del C., avendo egli richiesto il pagamento del corrispettivo per l’opera prestata.

Per orientamento consolidato di questa corte, il criterio di riparto dell’onere della prova, applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento (ovvero per la risoluzione o il risarcimento del danno) si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. risulta a ruoli invertiti delle parti in lite, per cui il debitore eccepiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento (ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione) (v. Cass., Sez. 3^, 22 gennaio 2010, n. 3373). Del resto l’applicazione del principio dell’onere della prova – come regola residuale di giudizio -in virtù della quale, qualora le risultanze istruttorie non offrano elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione, determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi della propria pretesa.

In tal senso, dunque, correttamente la corte distrettuale – di fronte alle contrastanti tesi, sostanzialmente entrambe indimostrate (v. pag. 7 della sentenza impugnata) – ha ritenuto di fare ricorso al principio dell’onere della prova, attribuendo l’incombente al creditore, in linea con quanto sopra esposto.

Va interpretata in questa ottica anche l’affermazione della corte di merito circa la pacificità della inutilizzabilità del progetto di ampliamento dell’immobile di proprietà del C., realizzato dal P., che inserita nelle prima parte delle argomentazioni motivazionali, aveva la finalità propria di introdurre il giudizio sull’onere della prova, sviluppato poi nella parte successiva, così focalizzando il thema decidendum.

In altri termini, il giudice del gravame, anche attraverso detto incipit ha fatto buon governo della consolidata giurisprudenza di questa corte che affinchè un fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico, sì da essere posto a base della decisione ancorchè non provato, non è sufficiente la sua sola mancata contestazione, ma occorre, invece, che lo stesso sia esplicitamente ammesso dalla controparte ovvero che questa, pur non contestandolo in modo specifico, abbia impostato il proprio sistema difensivo su circostanze ed argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento.

E nella specie la linea difensiva del professionista, a seguito dell’eccezione della controparte, ha introdotto circostanze a giustificazione della mancata utilizzazione, in concreto, del progetto da parte del committente, senza però dimostrarle.

Le doglianze – come sopra riprodotte e nel loro complesso – sono, dunque, prive di pregio.

Con il secondo ed ultimo motivo il ricorrente deduce il difetto di motivazione e la violazione dell’art. 346 c.p.c. sull’eccezione di decadenza e prescrizione da lui proposta, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto non rispondente alle risultanze degli atti processuali ed ai principi logici la presunzione di rinuncia, stante, peraltro, a mancata contestazione da parte del resistente circa l’adempimento della sua prestazione professionale. La censura è infondata.

Costituisce insegnamento costante di questa corte che la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado, non ha l’onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame della domanda e delle eccezioni respinte, ritenute assorbite o comunque non esaminate con la sentenza impugnata dalla parte soccombente, essendo sufficiente la riproposizione di tali domande ed eccezioni in una delle difese del giudizio di secondo grado (così, tra le altre, Cass. 19 aprile 2002 n. 5721 ; Cass. 12 giugno 2001 n. 7879).

Nella specie è ben vero che il ricorrente era risultato vittorioso in primo grado con riguardo alla pronuncia sul quantum, avendo il Tribunale di Roma respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo, ma, rispetto a tale pronuncia, l’accertamento relativo alla fondatezza dell’eccezione di decadenza e prescrizione proposta dal P. rispetto all’azione del C. non si poneva in termini di consequenzialità, nè poteva considerarsi assorbita o implicitamente risolta in senso favorevole al ricorrente medesimo, visto che tale eccezione non era stata riproposta neanche nella comparsa conclusionale del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, oltre a non essere stata formulata nella comparsa di costituzione in appello (ma esclusivamente nella memoria di replica alla comparsa conclusionale avversaria in appello).

Come ripetutamente affermato da questa corte, la parte vittoriosa in primo grado, che abbia visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero taluni dei suoi sistemi difensivi, ha l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre la domanda od eccezioni respinte, onde superare la presunzione di rinuncia, e quindi la decadenza, di cui all’art. 346 c.p.c. (così, tra le altre, Cass. 17 dicembre 1999, n. 14267).

Orbene, essendo stata la linea difensiva del P. tutta incentrata sulla richiesta di rigetto dell’appello, che aveva ad oggetto sostanzialmente la questione del grave inadempimento del professionista per l’inutilizzabilità del progetto realizzato, la sola deduzione nel merito "di avere rilevato l’esistenza dell’allaccio alla fognatura comunale e di avere fatto presente al C. che ciò avrebbe impedito l’ampliamento dell’immobile. Il C., però, si sarebbe impegnato allo smantellamento dell’allaccio in questione, salvo, poi, a procedere alla sanatoria dello stesso, rendendo, dunque, inutilizzabile il progetto da lui realizzato", non può essere ritenuta idonea a manifestare – in modo esplicito e preciso – la volontà dell’appellato nel senso di volere riproporre l’eccezione di decadenza e prescrizione del committente dall’azione di responsabilità, ex art. 2226 c.c., comma 2.

Pertanto correttamente la corte di merito ha dichiarato inammissibile il motivo.

In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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