Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-12-2010) 04-02-2011, n. 4175 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P. 1. Con sentenza del 24/11/2009, la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza pronunciata in data 8/03/2007 con la quale il Tribunale della medesima città aveva ritenuto B. L. responsabile dei delitti di estorsione e tentata estorsione ai danni di C.F..

P. 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 629 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto la configurabilità del delitto di estorsione consumata in ordine alle dazioni effettuate dalla pretesa parte offesa C. F., non avendo, invece, considerato che si trattava di piccole quantità di denaro consegnate in modo spontaneo per un sentimento di pietà: il che portava, appunto, ad escludere il reato sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo;

2. violazione degli artt. 56 e 629 c.p. per avere la Corte ritenuto che nell’episodio del 17/07/2003 fosse configurabile un tentativo di estorsione. Invero, nel suddetto episodio non si poteva considerare raggiunta la prova del riconoscimento da parte del C. della voce del soggetto che gli aveva telefonato il precedente giorno (OMISSIS), nè era stato documentato che, in quell’occasione, lo sconosciuto aveva rivolto minacce e richieste di denaro. La Corte, inoltre, non avrebbe dovuto tralasciare tutte le risultanze dibattimentali nella ricostruzione di quanto avvenuto il (OMISSIS), emerse dall’esame della persona offesa, nonchè tutti i contrasti con quanto invece asserito dai militari che avevano operato l’arresto del B. e di tale Z. mai poi processato;

3. errata qualificazione giuridica per non avere la Corte territoriale derubricato il reato di estorsione in quello di truffa essendo stato il male ventilato come possibile ed eventuale. Infatti, il C. aveva chiarito che aveva svolto "il ruolo del "fratello buono" differenziandosi dal soggetto che, invece, avrebbe telefonato con tono minaccioso prospettando come possibili ingiusti danni (…) in definitiva, il pericolo agli occhi del C. poteva provenire dal "terzo" soggetto che aveva telefonato e non dall’appellante il quale si era sempre comportato in modo rispettoso".
Motivi della decisione

P. 3. Il ricorso, nei termini in cui è stato proposto è manifestamente infondato.

La Corte territoriale, con motivazione ampia ed accurata, ha ricostruito la vicenda per cui è processo in modo inequivoco giungendo alla conclusione che il ricorrente si era reso responsabile non solo delle estorsioni consumate ai danni del C. ma anche della tentata estorsione del giorno (OMISSIS) a seguito della quale i C.C., ai quali il C. aveva denunciato le minacce estorsive del B., lo avevano arrestato proprio in flagranza di reato avendogli trovato addosso anche le banconote che gli erano state consegnate dalla parte offesa.

La Corte territoriale ha puntualmente evidenziato i numerosi riscontri probatori (denuncia della parte offesa – testimonianza dei militari che avevano avuto occasione di ascoltare una telefonata minatoria – arresto in flagranza) ed ha confutato, in modo logico e coerente il "debole tentativo difensivo di minimizzare la portata della vicenda, come se la parte offesa non fosse stata minacciata e avesse consegnato i soldi solo per pietà o per elemosina". Le censure, quindi, riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. Pertanto, non avendo il ricorrente evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.

Non miglior sorte ha la doglianza in ordine alla pretesa derubricazione del reato in quello di truffa sia perchè il fatto così come ricostruito dalla Corte territoriale integra gli estremi del ritenuto reato di estorsione sia perchè, a tutto concedere, quand’anche si volesse seguire la tesi difensiva del "fratello buono e di quello cattivo", il reato sarebbe ugualmente configurabile ovvio essendo che il ricorrente, pur avendo rivestito il ruolo del "fratello buono", avrebbe pur sempre commesso, in concorso con il "fratello cattivo", il reato addebitatogli.

P. 4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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