Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-03-2011, n. 5708 Opposizione all’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito della sentenza con cui la Corte d’appello di Roma aveva dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato dalla Banca di Roma s.p.a. a C.A. con lettera in data 11.5.1998 e il diritto di quest’ultima alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al 31.5.2000, data del compimento di 65 anni di età, condannando la datrice di lavoro al risarcimento del danno liquidato in misura pari alle retribuzione non percepite dall’1.6.1998 al 31.5.2000 oltre accessori per il ritardo e spese del giudizio, la Banca eseguì dei pagamenti e la C. notificò un atto di precetto per il pagamento dell’ulteriore somma di L. 53.921.782 ed eseguì un corrispondente pignoramento. La Banca propose opposizione al precetto e opposizione all’esecuzione. I relativi giudizi furono definiti dal Tribunale di Roma con sentenza del 20.11.2001 con cui esso annullò il precetto per la somma eccedente L. 21.881.302, dichiarò il diritto della procedente all’esecuzione nei limiti di tale somma e dichiarò inammissibile ogni altra domanda. In particolare il giudice rilevò che il precetto non era sorretto da titolo esecutivo per la parte eccedente la somma suddetta, perchè gli importi richiesti a titolo di differenza sul TFR (L. 13.022.238) e a titolo di indennità sostitutiva delle ferie e delle festività non godute non trovavano alcun riferimento nella statuizione della Corte d’appello. D’altra parte dovevano ritenersi estranee al giudizio di opposizione a precetto e all’esecuzione le questioni relative agli ulteriori crediti rivendicati dalla C., perchè la stessa nelle memorie di costituzione nei giudizi di opposizione non aveva proposto rituali domande riconvenzionale diretta all’accertamento dei crediti rivendicati e alla condanna della Banca al pagamento dei medesimi.

Con sentenza depositata il 27.1.2006 la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto dalla C., a cui, in connessione a varie vicende societarie, avevano resistito la Capitalia s.p.a. e la Banca di Roma s.p.a. (precisando la prima di avere prima ricevuto e poi trasmesso alla seconda la titolarità del rapporto relativo alla controparte).

La Corte, esposte le vicende processuali e la motivazione della sentenza di primo grado, ha osservato che le difese dell’appellante erano costituite sostanzialmente da una riproposizione delle tesi già sviluppate nel primo grado e non erano idonee a contrastare adeguatamente gli argomenti e le statuizioni della medesima sentenza.

Il gravame poteva ritenersi fondato in sostanza sulla dedotta erroneità della mancata valutazione della nota contabile in data 15.1.2001, proveniente dalla datrice di lavoro, di cui si era prospettato il mancato esame o la mancata attribuzione di valenza probatoria o efficacia esecutiva. Ma il giudice di primo grado correttamente ne aveva esclusa la rilevanza in mancanza di una domanda riconvenzionale che solo avrebbe potuto sostituire il titolo esecutivo azionato in sede esecutiva. Infatti nelle memorie di costituzione le domande volte all’accertamento del diritto di procedere ad esecuzione forzata per ragioni diverse e più ampie rispetto a quelle di cui al titolo esecutivo azionato non erano state proposte nella ritualità della domanda riconvenzionale, regolata dall’art. 416 c.p.c., comma 2. Nè erano fondate le censure sull’accertamento relativo alla portata della statuizione di condanna contenuta nel titolo esecutivo, condanna che andava distinta dalle statuizioni recanti meri accertamenti, prive di efficacia esecutiva.

La C. ricorre per cassazione con due motivi. Le intimate resistono con controricorso. Tutte le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2709 c.c., dell’art. 2733 c.c., comma 2 e dell’art. 2735 c.c., comma 1, e degli artt. 36, 132 disp. att. c.p.c., dell’art. 414 disp. att. c.p.c., n. 5, degli artt. 416 e 118 disp. att. c.p.c. Si sostiene che il giudice di appello abbia errato nel ritenere decisiva la disciplina processuale sulla proposizione delle domande riconvenzionale nel rito del lavoro, in quanto in realtà non aveva correttamente individuato la norma regolatrice del caso concreto.

Infatti nella specie una domanda di tale tipo sarebbe stata superflua ed irrituale, il thema decidendum essendo incentrato nella ritualità e tempestività dell’espressa istanza dell’opposta di esame e valutazione dell’invocata valenza processuale della già acquisita al giudizio (ex art. 414 c.p.c., n. 5) nota contabile depositata dalla Banca di Roma: tale risultanza istruttoria doveva far conseguire alla creditrice una diversa pronuncia valida come nuovo titolo esecutivo che sostituiva quello invalido ed a far motivare il rigetto dell’opposizione all’esecuzione e la condanna della Banca di Roma a quanto ancora dovuto.

Si osserva anche che la parte opponente-attrice in giudizio non aveva dedotto alcun titolo in giudizio e quindi, non essendo integrata l’ipotesi ex art. 36 c.p.c., non aveva onerato la controparte della proposizione di una domanda riconvenzionale, ed infatti l’attuale ricorrente con il primo atto successivo alla produzione di detto documento aveva chiesto al giudice di valutare la decisività di tale nota tale da giustificare la sostituzione del titolo esecutivo.

Peraltro si sostiene anche (a quanto pare in via alternativa: cfr. lett. D a pag. 72 del ricorso) che la sentenza posta alla base dell’esecuzione si risolveva in una pronuncia di condanna e costituiva titolo esecutivo anche nella parte in cui aveva dichiarato il diritto alla prosecuzione del rapporto.

Il secondo motivo, denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, in sostanza ripropone le stesse questioni sotto il profilo del mancato o inadeguato esame degli aspetti già prospettati.

Il ricorso, i cui due motivi vengono esaminati congiuntamente, stante la loro connessione, non è fondato.

Il giudice di merito, nel dare decisivo rilievo al contenuto del titolo esecutivo alla base della esecuzione forzata prospettata con il precetto e iniziata con il pignoramento, si è attenuto al principio di fondo che regola i procedimenti esecutivi, secondo cui l’esistenza del titolo esecutivo costituisce la condizione necessaria dell’esercizio dell’azione esecutiva (Cass. n. 9494/2007); con la conseguenza che il creditore procedente convenuto nel giudizio di opposizione può solo mediante proposizione di rituale domanda riconvenzionale agire al fine di conseguire un nuovo titolo esecutivo in aggiunta o in sostituzione di quello posto a base dell’esecuzione (Cass. n. 8399/2003), ma tale eventuale diverso titolo esecutivo può essere utilizzato solo in un’esecuzione diversa da quella iniziata (Cass. n. 7225/2006 e 9494/2007 cit.).

Deve quindi ritenersi priva di fondamento giuridico la tesi secondo cui dovevano avere rilievo ai fini dell’esecuzione in corso, ad integrazione del titolo esecutivo posto alla sua base, anche crediti ulteriori comprovati dalla documentazione prodotta dalla controparte.

Quanto alla tesi secondo cui la sentenza costituiva titolo esecutivo anche riguardo alla costituzione del rapporto, deve osservarsi che tale deduzione non ha incidenza riguardo al rilievo che la sentenza alla base dell’esecuzione non aveva provveduto riguardo a conguagli del TFR o indennità sostitutive delle ferie o delle festività.

Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio legale della soccombenza in favore di ciascuna delle due contro ricorrenti Capitalia s.p.a. e Banca di Roma s.p.a.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alle controricorrenti, liquidate per ciascuna in Euro 40,00 oltre Euro milleottocento/00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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