T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 01-02-2011, n. 180 Ordinanze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. La ricorrente è proprietaria di un edificio costruito nel 1959 in forza di un progetto approvato dal Comune resistente che prevedeva la realizzazione di un laboratorio artigianale delle dimensioni complessive di mt. 36,90 x 11,90 e la cui porzione sinistra era occupata dall’abitazione del proprietario, costituita da due piani fuori terra e da un piano interrato.

B. Nel corso dell’esecuzione dei lavori la porzione dell’immobile da adibire ad abitazione veniva realizzata sul lato destro del laboratorio, anziché su quello sinistro, sebbene fossero state rispettate tutte le previsioni dimensionali, volumetriche e di posizionamento del fabbricato sul lotto di pertinenza.

C. Il 5 aprile 1960 il Comune resistente rilasciava il certificato di agibilità dell’immobile de quo.

D. Il 7 dicembre 2004 la ricorrente presentava un’istanza di condono edilizio in relazione alla predetta difformità progettuale. La Commissione edilizia integrata esprimeva, quindi, parere favorevole che veniva comunicato alla ricorrente con nota del 6 agosto 2007.

E. Quindi con decreto n. 33 del 19 settembre 2007 l’Amministrazione comunale rilasciava il nulla – osta paesaggistico.

F. La ricorrente chiedeva, allora, chiarimenti in ordine alle ragioni per le quali l’Amministrazione comunale ritenesse la difformità denunciata con l’istanza di condono non ricompresa tra gli abusi di cui al n.6 ("opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume") della tabella C del D.L. n. 269/2003.

G. Con la nota impugnata il responsabile dell’Area Tecnica comunicava alla ricorrente di avere ritenuto il piano interrato e il piano primo della parte di immobile adibito ad abitazione inquadrabili nella tipologia n. 1 – "costruzione in assenza di titolo abilitante" – e il piano terra dell’abitazione e la porzione artigianale inquadrabili nella tipologia n. 3 – "ristrutturazione in assenza di titolo abilitante" – della richiamata tabella C. Da tale inquadramento discendeva la quantificazione delle relative oblazioni e dell’addizionale regionale, nonché degli oneri di urbanizzazione, in complessivi euro 64.942,26 (di cui 44.942,48 euro, a titolo di oblazione, e 19.432,26 euro, a titolo di contributo concessorio).

H. La ricorrente deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati:

1) per violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 32 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 92 della L.R. n. 61/1985, nonché per eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione e per travisamento dei fatti in quanto l’avere realizzato l’edificio in modo speculare rispetto al progetto autorizzato non lo fa diventare una nuova costruzione, come invece erroneamente sostenuto dall’Amministrazione comunale secondo la quale "il non aver realizzato il piano interrato e il piano primo dove erano stati autorizzati, ma in posizione totalmente diversa e non coincidente in nessun punto…consente di accertare che l’opera, nel suo complesso, non ha determinato un aumento di volume, ma questo non ha a che vedere con la classificazione dell’intervento come nuova costruzione";

2) per violazione dell’art. 32, comma 38, del D.L. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, e della L.R. n. 21/2004 poiché la ricorrente contesta la quantificazione dell’oblazione e degli importi richiesti in quanto le difformità oggetto di condono, certamente suscettibili di sanatoria, sono solo di tipo distributivo e non quantitativo e rientrano, quindi, nella tipologia contraddistinta dal n. 6 della tabella C. Ai sensi di tale numero sono sanabili gli abusi che non determinano aumento o diminuzione di volumetria e non devono essere di entità tale da comportare la creazione di un nuovo edificio o da concretare una totale difformità o una variazione essenziale, ai sensi degli artt. 31 e 32 del d.P.R. n. 380/2001. L’erroneità nella quantificazione della somma da corrispondere è ulteriormente dimostrata dalla mancata indicazione di quali sarebbero il volume eccedente o la superficie maggiore realizzati;

3) per violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, per eccesso di potere per difetto di istruttoria in quanto non è stato dato il preavviso di rigetto in relazione alla diversa qualificazione della tipologia di abuso oggetto del condono.

I. Con motivi aggiunti, depositati il 26 marzo 2010, la ricorrente ha impugnato il provvedimento n. prot. 2192 del 5 febbraio 2010 con il quale il Comune resistente annullava in autotutela il precedente diniego di condono recante il n. prot. 24440 del 21 dicembre 2009 ed emetteva un nuovo diniego basato sull’omesso versamento dell’oblazione.

La ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato, oltre che per i vizi derivati dal provvedimento oggetto del ricorso principale, anche per vizi autonomi:

1) per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 326/2003 e del relativo allegato 1 e della L.R. n. 21/2004, nonché per eccesso di potere, sotto i profili del difetto di istruttoria, della contraddittorietà, dell’incongruità, del travisamento, dell’illogicità e dell’irragionevolezza della motivazione poiché l’edificio di proprietà della ricorrente è stato realizzato nella vigenza della legge n.1150/1942, in forza della quale la licenza era necessaria solo per i fabbricati da realizzarsi all’interno del centro abitato. Quindi, non può ritenersi che gli interventi eseguiti sul fabbricato siano stati realizzati in difformità o in assenza dell’originario titolo non richiesto perché si tratta di edificio costruito in zona agricola e fuori dal centro abitato. Inoltre non vi è stata alcuna modifica della sagoma esistente e, quindi, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 non può parlarsi di nuova costruzione;

2) per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 326/2003 e della L.R. n. 21/2004, per eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà, per incongruità, per travisamento ed illogicità, per irragionevolezza, per carenza e insufficienza della motivazione, in quanto in forza del combinato disposto dei commi 26 e 27 dell’art. 32 della legge n. 326/2003 e dell’art. 3 della L.R. n. 21/2004 è possibile ottenere il condono solo per gli interventi edilizi minori per i beni soggetti a vincolo paesaggistico. Orbene, sia la Commissione Edilizia Integrata che l’Amministrazione comunale in sede di rilascio di nulla – osta paesaggistico esprimevano parere favorevole al condono sul presupposto che si trattasse di una tipologia di abuso ricompresa tra gli interventi edilizi minori (da 4 a 6). Contraddittoriamente poi il Comune riteneva l’abuso classificabile in parte sotto il n. 1 e in parte sotto il n. 3 della tabella C e come tale avrebbe dovuto considerarlo non suscettibile di sanatoria in quanto realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – ambientale;

3) per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 326/2003 e della L.R. n. 21/2004, per eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà, per incongruità, per travisamento ed illogicità, per irragionevolezza, per carenza e insufficienza della motivazione, in quanto l’art. 32, comma 37, della legge n. 326/2003 prevede il rigetto del condono se l’oblazione è stata determinata in forma dolosamente inesatta, cosa che non è avvenuta nel caso in esame;

4) per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 326/2003 e della L.R. n. 21/2004, per eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà, per incongruità, per travisamento ed illogicità, per irragionevolezza, per carenza e insufficienza della motivazione, in quanto in forza dell’art. 32 della legge n. 326/2003 la domanda di condono deve ritenersi accolta se l’Amministrazione non si pronuncia nel termine di due anni dalla data del 31 ottobre 2005. Nel caso di specie, peraltro, il nulla – osta paesaggistico era stato rilasciato il 19 settembre 2007, mentre il diniego è stato comunicato il 5 febbraio 2010, cioè a oltre 5 anni di distanza dall’istanza del 2004.

L. Con ulteriori motivi aggiunti, depositati il 20 luglio 2010, la ricorrente ha impugnato l’ordinanza n. 55/2010 con la quale le è stato ingiunto di demolire le opere non condonate.

La ricorrente deduce l’illegittimità anche di tale ultimo atto, oltre che per illegittimità derivata dai precedenti atti presupposti, anche sotto ulteriori autonomi profili:

1) per violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, della L.R. n. 63/1994 e dell’art. 92 della L.R. n. 61/1985, per eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà, per incongruità, per travisamento ed illogicità, per irragionevolezza, per carenza e insufficienza della motivazione, in quanto non è stato acquisito il previo parere della Commissione Edilizia Integrata con conseguente violazione anche dell’art. 92, comma 4, della L.R. n. 61/1985 giacché il Comune ha mantenuto alla Commissione le funzioni e i poteri anche in ordine ai provvedimenti emessi ai sensi del d.P.R. n. 380/2001;

2) per violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, della L.R. n. 63/1994 e dell’art. 92 della L.R. n. 61/1985, per eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà, per incongruità, per travisamento ed illogicità, per irragionevolezza, per carenza e insufficienza della motivazione in quanto il Comune irroga la sanzione più grave ritenendo l’immobile realizzato in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto al titolo edilizio originario, mentre nel caso di specie non vi è stata alcuna effettiva modifica della sagoma, ma solo un diverso orientamento del fabbricato;

3) per violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, per eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà, per incongruità, per travisamento ed illogicità, per irragionevolezza, per carenza e insufficienza della motivazione in quanto le opere abusive sono state realizzate dai fratelli Righetti, originari proprietari, mentre la ricorrente, avente causa del marito, è rimasta estranea all’abuso;

4) per violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, per eccesso di potere per difetto di istruttoria, per contraddittorietà, per incongruità, per travisamento ed illogicità, per irragionevolezza, per carenza e insufficienza della motivazione poiché manca del tutto la giustificazione della sussistenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità, nonostante il decorso di un notevole lasso di tempo dal 1959.

M. Con l’ordinanza n. 577 del 29 luglio 2010 il Collegio ha accolto la domanda di misure cautelari in considerazione del periculum insito nella demolizione e dell’intervenuta fissazione dell’udienza per la discussione del merito del ricorso.

N. Alla pubblica udienza del 18 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è fondato e va respinto per le seguenti motivazioni.

2. L’istanza di condono inoltrata dalla ricorrente ha ad oggetto la variazione di posizionamento del fabbricato sito in Comune di San Pietro in Cariano, via Don Cesare Biasi n. 3, posizionamento speculare rispetto a quello del progetto originariamente approvato e realizzato nel 1959 durante i lavori di costruzione.

3. Il Collegio ritiene di dovere in primo luogo procedere alla classificazione degli interventi oggetto dell’istanza di condono – se mere opere non valutabili in termini di volume ovvero interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione – giacché è proprio la detta classificazione che rappresenta il cuore della presente controversia, essendo data per pacifica da parte dell’Amministrazione resistente la condonabilità delle opere realizzate dalla ricorrente in quanto conformi agli strumenti urbanistici.

3.1. A tale riguardo non appare condivisibile, ad avviso del Collegio, l’assunto della ricorrente secondo il quale gli abusi riconducibili alle tipologie di cui ai nn. 1, 2 e 3 della tabella C allegata al D.L. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, non sono suscettibili di sanatoria se posti in essere in area assoggettata a vincolo.

3.2. Il condono delle opere realizzate in area assoggettata a vincolo è, infatti, possibile a patto che sussistano le tre seguenti condizioni: 1) non insistano su beni riconosciuti monumento nazionale; 2) il vincolo esistente non comporti l’inedificabilità assoluta; 3) le opere siano oggettivamente conformi alla normativa urbanistica vigente al momento dell’entrata in vigore del D.L. n. 269/2003. Con l’ulteriore precisazione che è sufficiente che anche solo una di queste condizioni non ricorra perché l’abuso non sia sanabile. Ovviamente, ai sensi dell’art. 32, comma 1, della legge n. 47/1985 "Fatte salve le fattispecie previste dall’articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso.".

3.2.1. Ne discende che non è possibile accedere alla tesi della ricorrente secondo la quale l’Amministrazione, una volta qualificato l’intervento oggetto dell’istanza come in parte di nuova costruzione e in parte di ristrutturazione, avrebbe dovuto dichiararlo non condonabile per la semplice ragione che l’abuso realizzato è riconducibile alla tipologia di cui ai nn. 1 e 3 della tabella allegata al D.L. n. 269/2003. Infatti, tale ultima circostanza, in base all’orientamento giurisprudenziale condiviso dal Collegio, non è di per sé sola ostativa al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria dovendo viceversa la P.A. verificare, in sede di esame della domanda di condono, la sussistenza delle altre condizioni richiamate in precedenza (cfr. in termini TAR Puglia, Bari, II, 1.7.2010, n. 2821).

3.2.2. Sulla scorta delle richiamate argomentazioni deve, pertanto, essere disattesa la censura sub 2 dei motivi aggiunti depositati il 26 marzo 2010.

4. Tanto premesso, nella fattispecie sottoposta all’esame del Collegio è pacifica, in quanto non contestata tra le parti, l’assenza di un aumento della volumetria del fabbricato oggetto del condono.

Ciò che, invece, viene contestato è la qualificazione dell’intervento eseguito in difformità rispetto all’originario progetto autorizzato, intervento che secondo il Comune resistente non può essere sussunto, come preteso dalla ricorrente, sotto la tipologia n. 6 relativa alle "opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie e volume".

4.1. Il Collegio ritiene condivisibile la prospettazione fatta propria dall’Amministrazione resistente negli atti impugnati dovendo effettivamente farsi rientrare gli interventi in relazione ai quali la ricorrente ha chiesto il condono, ai sensi della legge n. 326/2003, in parte tra quelli qualificabili come una nuova costruzione e in parte tra quelli qualificabili come di ristrutturazione edilizia.

4.1.1. Il piano interrato e il primo piano sono stati realizzati in una posizione totalmente diversa da quella ove erano stati autorizzati, non coincidendo quindi in alcun punto con il progetto originario. Tali interventi sono stati qualificati come una nuova costruzione, dovendosi intendere per tale anche il risultato di opere che modifichino un manufatto esistente in modo tale da realizzare un organismo edilizio diverso dal precedente per volumetria, sagoma e dislocazione nel lotto (cfr. Cons. Stato, V, 26.10.2006, n. 6399).

4.1.2. Osserva, infatti, condivisibilmente il Comune che, sebbene la posizione totalmente diversa degli interventi non abbia determinato un aumento di volume, ciò non vuol dire che l’intervento non vada automaticamente classificato come nuova edificazione poiché la volumetria approvata è stata realizzata con una sagoma completamente diversa rispetto a quella autorizzata in forza del progetto. 4.1.3. Con riguardo al piano terra va rilevato che una porzione dello stesso, indicata nel progetto approvato come destinata ad abitazione, è stata edificata come officina con differenze sia nelle murature interne (mancata realizzazione di tutti i muri interni, della soletta di copertura, delle scale) che nelle murature esterne (forometria e poggioli), mentre un’altra porzione, indicata nel progetto approvato come adibita a officina, è stata trasformata in abitazione con tutte le opere interne ed esterne necessarie per renderla compatibile con la nuova destinazione.

4.1.4. Tali interventi sono stati condivisibilmente qualificati dall’Amministrazione come di ristrutturazione, dovendosi intendere per tale l’intervento che alteri, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comporti l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e redistribuzione dei volumi (cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 14.5.2007, n. 3070; Tar Liguria, I, 11.7.2007 n. 1365).

4.2. Il Collegio, infine, non ritiene di potere accedere alla tesi della ricorrente secondo la quale il sedime e i prospetti del fabbricato coincidono con quelli del progetto originariamente approvato giacché l’unica differenza è data dal fatto che le abitazioni sono posizionate sul lato est anziché sul lato ovest dell’edificio. E, infatti, l’identità dell’area di sedime non è sufficiente da sola a far ritenere l’intervento oggetto dell’istanza di condono come una differente modalità di esecuzione del progetto originario non valutabile in termini di volume e superficie giacché a tal fine avrebbero dovuto coincidere non solo la volumetria, ma anche la sagoma dell’edificio, intesa come aspetto tridimensionale dello stesso.

4.3. Alla luce di tali considerazioni devono, quindi, essere disattese le censure sub 1) e 2) del ricorso principale.

5. Anche la censura sub 3) del ricorso principale concernente la violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 non è meritevole di accoglimento. L’omissione della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del privato infatti non rileva, ai sensi dell’art. 21 octies comma 2, primo alinea, della legge n. 241 del 1990, laddove il provvedimento, adottato in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti, non possa avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato. Peraltro, nel caso di specie, proprio nella nota impugnata prot. n. 3323 del 19 febbraio 2008 sono esplicate tutte le argomentazioni poste a fondamento della differente qualificazione, da parte dell’Amministrazione procedente, degli interventi oggetto dell’istanza di condono e viene, inoltre, prorogato di trenta giorni il termine assegnato alla ricorrente per consentire le necessarie verifiche e per produrre documentazione dei versamenti. Orbene, alla luce delle richiamate considerazioni, è evidente nel caso di specie l’assenza di qualsiasi lesione del diritto di partecipazione al procedimento e del diritto di difesa della ricorrente.

6. In forza della qualificazione dell’intervento oggetto della domanda di condono in parte come nuova costruzione e in parte come ristrutturazione, il Comune determinava, quindi, l’importo dell’oblazione e degli oneri in misura notevolmente superiore rispetto alla somma di 516,00 euro, corrisposta dalla ricorrente a titolo di oblazione e calcolata in forza della classificazione degli interventi come "opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie e volume".

6.1. Quindi con il provvedimento n. 2192 del 5 febbraio 2010, impugnato con i motivi aggiunti depositati il 26 marzo 2010, il Comune revocava in autotutela il precedente rigetto del condono (prot. n. 24440 del 21 dicembre 2009) e contestualmente emetteva un nuovo diniego basato sulla non congruità dell’istanza rispetto alle opere abusivamente realizzate "come dichiarate dallo stesso richiedente negli elaborati di progetto depositati il 3.7.2007" e sulla mancata integrazione dell’oblazione, nonostante l’espressa richiesta del 22 gennaio 2008 da parte dell’Amministrazione comunale. Il Comune riteneva, inoltre, che in considerazione della differenza tra l’oblazione effettivamente versata, pari a 516,00 euro, e quella definitivamente determinata, pari a 44.942,28, si dovesse presumere che la stessa fosse stata quantificata dalla richiedente in modo non veritiero e palesemente doloso.

6.2. Secondo la prospettazione della ricorrente il Comune resistente non solo ha errato nella qualificazione degli interventi oggetto dell’istanza di condono, ma non ha tenuto nel debito conto che tale intervento è stato realizzato nel 1959, cioè prima dell’entrata in vigore della legge n. 765/1967 in un’epoca nella quale il Comune di San Pietro in Cariano era privo di P.R.G. con conseguente inesistenza di violazioni urbanistico – edilizie anche in caso di difformità volumetriche.

6.2.1. Il Collegio non ritiene condivisibile siffatta prospettazione.

6.2.2. Dagli atti di causa emerge, infatti, che è stato presentato un progetto del fabbricato oggetto di causa in calce al quale è stata apposta la sottoscrizione del Sindaco e del Tecnico comunale dell’epoca, a titolo di autorizzazione per la sua realizzazione.

Rispetto al progetto originariamente autorizzato, il fabbricato è stato, tuttavia, edificato con un diverso orientamento – posizionamento della parte destinata ad abitazione rispetto a quella destinata ad officina.

6.2.3. Ora. secondo l’orientamento della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, è ragionevole ritenere che sia il soggetto che invoca la preesistenza dell’opera rispetto all’istituzione dell’obbligo della licenza edilizia (o, come in questo caso, rispetto alla sua estensione operata dalla legge 765/1967, trattandosi di immobile esterno al centro abitato laddove la legge n. 1150/1942 richiedeva la licenza edilizia solo per gli immobili ricadenti all’interno del centro abitato) a doverla provare.

Ma nel caso di specie ciò che viene contestato non è la realizzazione del fabbricato in forza di un progetto approvato, bensì la sua trasformazione (per diverso posizionamento e orientamento) che, secondo la ricorrente, sarebbe legittima in quanto avvenuta sotto la vigenza della legge n. 1150/1942, ai sensi della quale non era necessario chiedere alcun titolo edilizio per costruire al di fuori del centro abitato.

Ad avviso del Collegio, per contro, una volta presentato e approvato un progetto per la realizzazione di un fabbricato, sebbene al di fuori del centro abitato, anche sotto la vigenza della legge n. 1150/1942 quest’ultimo avrebbe dovuto essere edificato conformemente a quanto autorizzato.

Peraltro, nella fattispecie in esame può aggiungersi che la natura strutturale e funzionale delle opere finalizzate al diverso posizionamento/orientamento delle varie componenti dell’edificio induce a ritenere che l’operazione (ben lungi dal potersi qualificare alla stregua di una semplice modalità di esecuzione non valutabile in termini di superficie o di volume) richiedesse il rilascio di un nuovo titolo edilizio, non apparendo revocabile in dubbio che la variazione di posizionamento del fabbricato abbia comportato una modifica della sagoma – in quanto risulta invertito il posizionamento della parte di edificio adibita ad abitazione rispetto a quella adibita ad officina – dei prospetti e della distribuzione interna degli ambienti.

6.2.4. Alla luce delle suesposte considerazioni deve essere quindi disattesa la censura sub 1) dei motivi aggiunti depositati il 26 marzo 2010.

7. Vanno altresì disattese anche le censure sub 3) e sub 4) dei motivi aggiunti depositati il 26 marzo 2010.

7.1. Infatti in forza dell’art. 32, comma 37, della legge n. 326/2003 "il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 4, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell’imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l’occupazione del suolo pubblico entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l’adozione di un provvedimento negativo del comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l’oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all’articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n.47 e all’articolo 48 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.".

7.1.2. E’ evidente che nel caso di specie non si è formato il silenzio assenso, nonostante l’emissione del parere paesaggistico favorevole, giacché la ricorrente non ha provveduto a corrispondere le somme dovute a seguito della richiesta di conguaglio da parte del Comune per la differente qualificazione dell’intervento oggetto della domanda di condono.

7.1.3. Né, infine, appare dirimente per la legittimità del provvedimento gravato il richiamo alla dolosa determinazione dell’oblazione da parte della richiedente, giacché sono sufficienti a motivare il diniego il giudizio di non congruità dell’istanza rispetto alle opere come rappresentate nei progetti alla stessa allegati e il mancato pagamento dell’oblazione, come determinata dall’Amministrazione nella richiesta di conguaglio, anch’essa impugnata.

8. Devono essere, infine, respinti anche i motivi aggiunti depositati il 22 maggio 2010 con i quali è stata impugnata l’ordinanza di demolizione conseguente al diniego di condono.

8.1 Per tutte le ragioni già esposte devono, infatti, essere disattese le censure di invalidità derivata dai provvedimenti presupposti impugnati. Con riguardo, invece, alle censure concernenti i vizi autonomi dell’ordinanza di demolizione che possono essere trattati congiuntamente, una volta ribadita la corretta qualificazione da parte dell’Amministrazione dell’intervento abusivo in parte come nuova costruzione e in parte come ristrutturazione, va richiamato il costante e condivisibile orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione all’ordine di demolizione.

8.1.1. Secondo il rammentato orientamento tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati e, quindi, non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati; presupposto per la loro adozione è, infatti, soltanto la constatata esecuzione dell’opera in difformità dalla concessione o in assenza della medesima, con la conseguenza che tali provvedimenti, ove ricorrano i predetti requisiti, sono sufficientemente motivati con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’ interesse pubblico alla sua rimozione né, trattandosi di atti del tutto vincolati, è necessaria una comparazione di interessi e una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione (cfr. Cons. Stato, V, 7.9.2009, n. 5229; T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 20.10.2009 n. 1665; T.A.R. Campania, Napoli, IV, 23.12.2010, 27999; TAR Campania, Napoli, VI, 7.9. 2009, n. 4899; T.A.R. Campania, Napoli, VI, 8.10.2009, n. 5214.

8.1.2. Anche questo Collegio ha avuto modo di precisare che l’Amministrazione non dispone – a fronte degli illeciti edilizi – di alcun margine di discrezionalità e ha, quindi l’obbligo di intervenire con un atto repressivo, dovuto nell’an e vincolato nel suo contenuto, senza che su di esso possa influire alcuna comparazione tra interessi pubblici ed interessi privati.

9. Nulla va disposto in ordine alle spese in considerazione della mancata costituzione dell’Amministrazione resistente.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, depositati il 26 marzo 2010 e il 22 maggio 2010, come in epigrafe proposti, li rigetta.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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