Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-03-2011, n. 5888 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Roma P.G., premesso di aver lavorato alle dipendenze della società Poste Italiane con inquadramento in area operativa, impugnava il licenziamento intimatogli con effetto dal 31-12-2001 all’esito della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24.

In particolare il ricorrente lamentava l’illegittimità dell’impugnato licenziamento per violazione delle norme procedurali poste a base della procedura di mobilità, l’illegittimità dei criteri di scelta, la omessa previsione di soluzioni alternative al licenziamento e il mantenimento in servizio di personale licenziabile.

La società si costituiva contestando la fondatezza della domanda e deducendo, tra l’altro, la completezza della comunicazione di avvio della procedura e la legittimità del criterio di scelta individuato nell’accordo del 17-10-2001.

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, con sentenza in data 27/1/2004, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente e, per l’effetto, condannava la convenuta a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno nella misura commisurata a tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento (1-1-2002) alla reintegra, nella misura di Euro 1.175,44 mensili, oltre rivalutazione e interessi.

La s.p.a. Poste Italiane proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda.

L’appellato si costituiva resistendo al gravame della società e proponendo appello incidentale in ordine alla misura della retribuzione mensile (quale parametro di calcolo del risarcimento) da determinarsi in Euro 1.547,29 e non nella misura indicata dal primo giudice.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata in data 23/6/2008, respingeva l’appello principale e in accoglimento dell’appello incidentale fissava la misura mensile del risarcimento del danno in Euro 1.547,29, confermando nel resto.

A sostegno della decisione la Corte di merito osservava che la lettera di avvio della procedura di mobilità doveva ritenersi carente con riferimento all’obbligo, previsto dalla citata L. n. 223, art. 4, comma 3, della indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali coinvolti nella procedura. Tale carenza finiva col ripercuotersi sulla concreta applicazione del criterio della vicinanza al pensionamento, astrattamente razionale e non di per sè discriminatorio, in quanto il criterio concordato si limitava ad individuare una categoria di personale eccedentario, indipendentemente dalla preventiva definizione della collocazione aziendale degli esuberi; ciò comportava la riferibilità della applicazione del criterio alla totalità del personale, coinvolgendo, quindi, nella programmata riduzione del personale, in contraddizione con le cause dichiarate della procedura, anche posizioni di lavoro per settori in cui non si registravano esuberi di dipendenti.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso con tre motivi, corredati dai quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., che va applicato nella fattispecie ratione temporis.

Il P. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, con otto motivi, anch’essi corredati dai quesiti di diritto.

La società, dal canto suo ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di controparte.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale la s.p.a. Poste Italiane, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, nonchè vizio di motivazione, sostiene che la Corte territoriale è pervenuta alla conclusione circa l’insufficienza della comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo per l’effetto di una errata interpretazione rigoristica della norma. Secondo la società il Giudice di appello, laddove ha ritenuto che la indicazione contenuta nella comunicazione iniziale dell’azienda delle qualifiche "quadro di 1^ livello e di 2^ livello", nonchè delle c.d. Aree professionali di inquadramento non integri la indicazione dei "profili professionali" del personale eccedente di cui alla citata L. n. 223, art. 4, comma 3, si sarebbe attenuta ad una concezione estremamente formalistica del precetto legale, trascurando il carattere atecnico e quindi generico dell’espressione "profilo professionale" e che l’adeguatezza della comunicazione si sarebbe dovuta valutare in relazione alle finalità che il legislatore le assegna.

Con il secondo e terzo motivo la società denuncia violazione e falsa applicazione della citata L. n. 223 del 1991, art. 5 e vizio di motivazione, con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità ed alla individuazione dei settori aziendali interessati alla procedura di cui all’art. 4 della medesima legge.

Il Collegio, esaminati unitariamente i motivi di ricorso per la connessione tra le diverse censure, li giudica fondati nei sensi e nei limiti delle considerazioni seguenti.

Devono essere, in primo luogo, richiamati i principi enunciati da questa Corte nell’interpretazione della L. n. 223 del 1991 e successive modificazioni (legge emanata sullo schema della direttiva Cee 1975/129, così come modificata dalla direttiva 1992/56):

a) come precisato da Cass. 12-10-1999 n. 11455 e dalle conformi decisioni successive (v, più di recente Cass. 84/2009, Cass. 4653/2009) la fattispecie del licenziamento collettivo per riduzione di personale ricorre in presenza dell’operazione imprenditoriale di "riduzione o trasformazione di attività o di lavoro" (art. 24), operazione che, da una parte, esclude dal suo ambito i licenziamenti dovuti a ragioni inerenti alla persona del lavoratore, per l’altra parte esclude anche i licenziamenti individuali per le stesse ragioni oggettive, ancorchè plurimi, qualora non siano presenti i requisiti di rilevanza sociale collegati agli indici previsti dalla legge (il numero dei licenziamenti ai sensi dell’art. 24, comma 1, oppure, indipendentemente dal numero, la circostanza che a licenziare sia un’impresa che ha ottenuto l’intervento pubblico della cassa integrazione guadagni, secondo la previsione dell’art. 4, comma 1);

b) la fattispecie di riduzione del personale regolata dalla L. n. 223 del 1991, non presuppone necessariamente una crisi aziendale, e neppure un ridimensionamento strutturale dell’attività produttiva, potendo il requisito della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l’organizzazione produttiva anche soltanto con la contrazione della forza lavoro, con incidenza effettiva e non temporanea sul solo elemento personale dell’azienda (Cass. 27-4-1992 n. 5010, Cass. 5-5-1995 n. 4874, Cass. 21-10-1999 n. 11794);

c) nel disegno legislativo, il licenziamento collettivo per riduzione di personale è assoggettato a forme di controllo ex ante della decisione imprenditoriale, controllo di tipo sindacale e pubblico, ritenute maggiormente adeguate alla rilevanza sociale del fenomeno rispetto alle tecniche di controllo giudiziale ex post ed a dimensione individuale, restando escluso che la legittimità del recesso possa dipendere dai motivi della riduzione di personale, non sindacabili, infatti, dal giudice (tanto è vero che la riduzione di personale "ingiustificata" non è prevista dalla legge tra i motivi di annullamento del singolo licenziamento);

d) la qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell’art. 41 Cost., commi 2 e 3, che l’imprenditore sia vincolato non nell’an della decisione ma soltanto nel quomodo, essendo obbligato allo svolgimento della procedura di cui all’art. 4, che realizza così lo scopo di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare è tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede; l’operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l’organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti delimitati dal "nesso di causalità", ossia dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative poste a base della scelta imprenditoriale (arg. ex art. 5, comma 1, primo periodo);

e) ai due livelli descritti, l’uno collettivo-procedurale, l’altro individuale-causale, corrisponde l’ambito del controllo giudiziale, cui è estranea, come detto, la verifica dell’effettività e ragionevolezza dei motivi che giustificano, nelle enunciazioni dell’imprenditore, la riduzione di personale (cfr. ex plurimis, Cass. 4970/1999, 11455/1999, 9045/2000, 6385/2003, 13182/2003, 9134/2004, 10590/2005, 528/2008), cosicchè il lavoratore licenziato è abilitato a far valere l’inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad una scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalle legge o dall’accordo sindacale (annullamento del licenziamento).

La sentenza impugnata motiva la decisione con esclusivo riferimento al disposto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, nella parte in cui prescrive che la comunicazione preventiva per iscritto ai sindacati deve contenere, oltre all’indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza e l’impossibilità di altre soluzioni, la precisazione del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente e del personale abitualmente impiegato, nonchè delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano della attuazione del programma di messa in mobilità.

In apparenza, dunque, esercita il controllo giudiziale nell’ambito che la legge gli assegna in ordine al momento procedurale collettivo;

in realtà, lo estende indebitamente ai motivi determinanti la scelta imprenditoriale.

La Corte di merito, infatti, dopo aver premesso, in linea con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità, che le violazioni della procedura (consistenti, in particolare, nell’insufficienza delle informazioni date alle organizzazioni sindacali) hanno effetti lesivi (anche) dei diritti individuali, con la conseguente irrilevanza, su questo piano, degli accordi sindacali comunque raggiunti (cfr. Cass. S.U. n. 302 e n. 419 del 2000, Cass. n. 15377/2004), ha ritenuto che non fosse stato adempiuto l’onere di indicare la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente sul presupposto, necessariamente implicito nel ragionamento, che non fosse ammissibile ridurre il personale per le causali indicate dall’imprenditore. La decisione, quindi, proprio sulla base degli accertamenti di fatto compiuti dallo stesso giudice di merito e pacifici nella controversia, non è conforme, prima che al disposto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ai principi sopra riassunti e desumibili dagli artt. 1 e 24 della citata legge.

Per questa ragione non è possibile dare continuità al precedente costituito da Cass. 11-7-2007 n. 15479, che, decidendo su controversia analoga, ha rigettato il ricorso di Poste Italiane s.p.a. essenzialmente sul rilievo che il giudice del merito aveva correttamente assolto il compito istituzionale di accertare il fatto della insufficienza della comunicazione preventiva di avvio della procedura. Peraltro, va anche ricordato che il diverso segno del rigetto del ricorso dei lavoratori, nella vicenda dei licenziamenti derivati dalla stessa riduzione di personale, è presente in altre decisioni di questa Corte (Cass. 6-10-2006 n. 21541, Cass. 14-6-2007 n. 13876).

La società Poste Italiane aveva avviato la procedura di mobilità motivandola con l’esigenza di ridurre i costi mediante l’attuazione di una riduzione complessiva di personale e aveva precisato che il ridimensionamento concerneva in varia misura tutti i settori produttivi, tutte le professionalità impiegate e l’intero territorio nazionale, facendo altresì presente che le denunciate eccedenze avrebbero potuto avere un impatto sociale minimo nel caso di adozione del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, posseduto da molti dipendenti. Si preannunciava altresì, dopo i licenziamenti, una riorganizzazione del lavoro soprattutto mediante mobilità geografica del personale. La comunicazione alle organizzazioni sindacali precisava, quindi, il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti suddivisi tra le quattro aree funzionali di inquadramento (area di base, area operativa, area quadri di secondo livello e area quadri di primo livello) e per regione geografica.

La sentenza impugnata giudica, sotto questo specifico profilo, insufficiente il contenuto della comunicazione preventiva perchè il necessario nesso causale tra le "esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale" e i licenziamenti progettati non risultava in alcun modo precisato, non essendo idoneo a colmare la lacuna il criterio di scelta poi concordato con i sindacati (possesso dei requisiti per la pensione), criterio che presupponeva il nesso indicato e avrebbe giustificato i singoli licenziamenti fino a concorrenza del numero complessivo determinato dalle esigenze tecnico produttive ed organizzative.

Specificamente, l’insufficienza dei contenuti della comunicazione è ravvisata nella mancanza di indicazioni in ordine alla specifica collocazione nei diversi uffici locali e profili professionali, o concrete posizioni lavorative, del personale ritenuto eccedente, lacuna non colmata dal riferimento generico alle quattro aree contrattuali di inquadramento, ciascuna comprendente professionalità estremamente varie ed eterogenee (visto che vi erano state raggruppate le qualifiche funzionali e i numerosi profili professionali del precedente ordinamento pubblicistico) senza precisare quali, tra le posizioni professionali all’interno di ciascuna area, fossero da ritenere eccedenti. In definitiva, secondo la valutazione del giudice del merito, la società aveva l’onere di specificare l’eccedenza ufficio per ufficio, con riguardo al settore di attività e alla dislocazione territoriale, indicando gli addetti alle mansioni concrete ritenute non più utili per l’organizzazione.

Cosi decidendo, come già si è detto, la sentenza impugnata ha violato le disposizioni dell’art. 1 e, conseguentemente anche della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3:

a) l’art. 1 perchè ha negato, al di là dei profili formali sui quali apparentemente si incentra la motivazione, la facoltà di Poste Italiane s.p.a., che svolge l’identica attività produttiva sull’intero territorio nazionale, di decidere il ridimensionamento dell’impresa con esclusivo riguardo alla consistenza complessiva del personale ed al fine di ridurre i costi di gestione, determinando le eccedenze in un certo numero di lavoratori regione per regione e per area di inquadramento professionale, così sottoponendo a sindacato la scelta imprenditoriale e finendo, nella sostanza, per considerare ingiustificata una riduzione di personale in questi termini progettata dall’imprenditore, in violazione del complesso dei principi sopra richiamati;

b) l’art. 4, comma 3, perchè la sufficienza dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura alle organizzazioni sindacali si deve necessariamente valutare con riferimento ai motivi, esternati nella stessa comunicazione, che determinano l’eccedenza e alle misure proposte dallo stesso imprenditore per attenuare l’impatto sociale dei licenziamenti.

Pertanto, in applicazione dei principi di diritto sopra precisati, il progetto di riduzione del personale complessivo dell’azienda postale imponeva di indicare soltanto la ripartizione delle eccedenze per categorie professionali, nonchè per le aree del territorio nazionale, anche in vista della conseguente necessità di una nuova distribuzione geografica del personale e di una riorganizzazione del lavoro. In relazione a tale progetto, infatti, non sarebbe stata coerente l’indicazione di uffici o reparti con eccedenze, coincidendo la "collocazione" dei dipendenti da licenziare con l’intero complesso aziendale; nè avrebbe avuto alcun senso la specificazione delle concrete posizioni lavorative che si intendevano eliminare, risultando tale profilo completamente estraneo alle ragioni della decisione imprenditoriale.

D’altra parte – come chiarito da Cass. n. 84/2009 e Cass. 4653/2009 – il riferimento legislativo ai "profili professionali" va inteso sì in termini di esclusione della prospettiva formale delle categorie ( artt. 2095 e 2103 c.c.) al fine di privilegiare gli aspetti funzionali della categoria o qualifica di inquadramento, ma ciò non significa certo richiedere l’indicazione delle concrete posizioni lavorative, cioè delle mansioni svolte, restandosi pur sempre sul piano astratto della classificazione del personale alla stregua della disciplina applicabile al rapporto di lavoro; ed allora, se il giudice di merito aveva accertato che la contrattazione collettiva recava un sistema di inquadramento del personale per "aree funzionali", ciascuna caratterizzata dall’idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni, non si comprende perchè l’indicazione dell’area di appartenenza non sarebbe indicazione dei "profili professionali".

La sentenza, inoltre, si pone anche in contrasto con il principio di diritto secondo cui, in ragione del fine delle informative sulla procedura di mobilità, che è quello di favorire la gestione contrattata della riduzione di personale, la circostanza che sia stato in concreto raggiunto tale fine, per essere stato stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali, assume rilevanza nel giudizio di completezza della comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, citato, mentre le eventuali insufficienze o inadempienze informative possono, in ogni caso, essere fatte valere dalle organizzazioni sindacali e non dai singoli lavoratori, salvo che questi ultimi dimostrino l’idoneità in concreto di siffatte informative a fuorviare o ledere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali, con ricadute a essi lavoratori pregiudizievoli (Cass. n. 528/2008). Pur avendo accertato, infatti, che vi era stata effettivamente la gestione contrattata della riduzione di personale in tutti i profili, fino a realizzare il risultato di un notevole ridimensionamento delle eccedenze inizialmente programmate, non ne ha tratto le conseguenze sul piano della sufficienza delle informazioni fornite nella fase di avvio della procedura.

Peraltro, anche la prospettiva di ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti mediante l’applicazione del criterio di scelta (necessitante di accordo sindacale) del possesso dei requisiti per la pensione, offriva elementi utili alla valutazione di sufficienza e coerenza dei contenuti della comunicazione preventiva. Il detto criterio, in linea con le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 268/1994, è ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte conforme al principio di ragionevolezza e non discriminazione, coerente soprattutto con le finalità del controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici (vedi Cass. 21-9-2006 n. 20455, Cass. 24-4-2007 n. 9866). Le condizioni favorevoli per un accordo sindacale sul detto criterio erano appunto costituite dalla riduzione di personale da operare sull’intero organico dell’azienda su base nazionale e in relazione a tutte le aree di inquadramento del personale, senza distinzioni tra uffici e settori produttivi specifici.

Anche questo aspetto induce, quindi, a ritenere sufficienti i contenuti della comunicazione di avvio della procedura (sfociata poi nell’auspicato accordo sindacale).

Il ricorso della società va pertanto accolto sulla base del seguente principio di diritto: "In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso alla stregua della classificazione per aree funzionali – ciascuna caratterizzata dall’idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni – tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e si è in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione".

L’accoglimento come sopra del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza con rinvio (non essendo possibile la decisione nel merito) per il riesame alla stessa Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Va, in proposito, precisato che, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nel testo novellato dalla L. n. 353 del 1990, art. 66, la cassazione sostitutiva, con giudizio nel merito, è consentita nei soli casi in cui, dopo l’enunciazione del principio di diritto, la controversia debba essere decisa in base ai medesimi apprezzamenti di fatto che costituivano il presupposto del giudizio di diritto errato, in tal guisa postulandosi che il giudice del merito abbia avuto modo di esprimere siffatti apprezzamenti ai fini di una specifica decisione;

essa non è pertanto consentita nei casi in cui l’intervento caducatorio della decisione di legittimità apra la via ad una pronuncia su questioni non esaminate nella pregressa fase di merito, atteso che la norma suddetta, nell’escludere la cassazione sostitutiva in presenza della necessità di accertamenti "ulteriori", limita la possibilità di tale provvedimento alla sola ipotesi in cui gli accertamenti siano stati compiuti dal giudice competente e quindi impedisce che in sede di cassazione sostitutiva possano essere rese decisioni su questioni nel merito delle quali il giudice "a quo" non si sia pronunciato, decisioni che, pertanto, non essendo destinate a sostituire alcuna pronuncia precedente, si configurino a loro volta come ulteriori rispetto a quelle cassate (Cass. n. 17221/2002).

Pertanto, per quanto riguarda il ricorso incidentale condizionato, mentre nel quadro sopra delineato ed in applicazione del principio sopra affermato, deve respingersi il primo motivo, con il quale il P. in sostanza lamenta la genericità del riferimento, nella lettera di avvio della procedura, a "mere esigenze di contenimento del costo di lavoro entro limiti compatibili coi ricavi, e all’inesistenza di soluzioni alternative al licenziamento" (sul punto, del resto, la impugnata sentenza ha accertato che la comunicazione "riporta con chiarezza, ricollegandosi al previo confronto sindacale, le ragioni portanti dell’impostata riorganizzazione ed indica analiticamente le ragioni per le quali erano state ritenute inattuabili misure alternative ai licenziamenti"), osserva il Collegio che gli altri motivi (tutti riguardanti questioni ulteriori non trattate nell’impugnata sentenza) vanno dichiarati inammissibili in base al principio secondo cui è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa sollevi questioni che il giudice di appello non abbia deciso in senso ad essa sfavorevole avendole ritenute assorbite, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass. 29-8-2003 n. 12680, Cass. 2-7-2004 n. 12174, Cass. 5/6/2004 n. 10717, Cass. sez. 3^ 24-5-2004 n. 9984, Cass. sez. 1^ 27/2/2004 n. 3984, Cass. S.U. 14382/2002).

Il giudice di rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibili gli altri, cassa la impugnata sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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