Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-12-2010) 08-02-2011, n. 4517 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Catanzaro, investito ex art. 309 c.p.p. dalla richiesta di riesame proposta da M. R., ha revocato l’ordinanza della Corte d’assise di Cosenza, che in data 14.6.2010 aveva applicato al ricorrente la custodia cautelare in carcere per il reato di cui tentato omicidio di Pietro Serpa, aggravato tra l’altro ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, commesso il (OMISSIS), per il quale il M. aveva il 17.5.2010 riportato condanna alla pena di quattordici anni di reclusione.

Il Tribunale del riesame osservava a ragione della sua decisione che la misura era stata disposta considerando il pericolo di recidiva e di fuga e la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, ma che gli elementi offerti dall’accusa non consentivano di intravedere l’attualità di alcuna delle esigenze cautelari, giacchè:

– i fatti, ancorchè assai gravi, erano del 1994 e i precedenti penali dell’imputato erano tutti, tranne l’ultimo, precedenti a quel reato, mentre l’ultimo risaliva comunque a quasi dieci anni prima;

– non risultava che il M. avesse commesso in epoca recente altri reati e non aveva procedimenti pendenti;

– la nota 1533/152 dei Carabinieri di Paola, valorizzata dal Pubblico ministero e dalla Corte d’assise, era assolutamente generica e non idonea a dimostrare il pericolo di fuga;

– non esistevano sintomi concreti di un pericolo di recidiva o di un pericolo di fuga e soprattutto il contegno positivo tenuto dal M. dopo la sua scarcerazione nel 2006 consentiva di ritenere all’attualità inesistenti detti pericoli.

2. Ha proposto ricorso il Pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore della Repubblica, in funzione distrettuale, presso il Tribunale di Catanzaro, chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata per violazione dell’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b), e art. 275 c.p.p., comma 3, e vizi della motivazione.

Afferma che dimostravano l’esistenza del pericolo di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b): la particolare gravità della pena inflitta; la negativa biografia dell’imputato, condannato "da ultimo" anche per violazione delle misure di prevenzione; la intrinseca gravità del fatto aggravato dalla appartenenza e dalla finalità mafiosa, detta appartenenza legittimando la prognosi di fuga e di latitanza favorita dal sodalizio; la documentazione sequestrata al M. dai Carabinieri di Paola nell’ottobre 1999 (due "copiate" del 1998 e un abbozzo di organigramma del 1999) e dai carabinieri di Livorno nel 2007 (un foglietto recante i nomi e i titoli di associati con date dell’agosto 1998 e del luglio 1999), che ne confermava l’inequivoco inserimento in contesti malavitosi e in particolare alla cosca dei Calvano. Gli elementi evidenziati non consentivano inoltre di ritenere certamente superata la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, mentre il Tribunale aveva effettuato una valutazione secondo gli ordinari parametri di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), in aperto contrasto con la disposizione richiamata.
Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.

In relazione alla insussistenza di esigenze cautelari la motivazione offerta nel provvedimento impugnato, che fa leva sulla assoluta inattualità dei dati asseritamente sintomatici di un pericolo di fuga e di reiterazione dei reati, è esaustiva e plausibile e dimostra che sono state considerati tutti gli aspetti evidenziati dal ricorrente, rimarcandosene la riferibilità a fatti lontani nel tempo, superati, ad avviso dal Tribunale, dal comportamento sostanziale e processuale tenuto dal M. nell’ultimo decennio e in particolare, quanto ad assenza di pericolo di fuga, nel corso del processo nel periodo di tempo non modesto seguito alla sua scarcerazione.

E su tale specifico aspetto fattuale, che è stato correttamente considerato decisivo dal Tribunale, il ricorso non svolge argomenti, insistendo invece sull’inserimento del condannato in contesti "malavitosi" che – in base a quanto affermato dal Tribunale e alle circostanze temporali dallo stesso richiamate, che non vengono specificamente contraddette dal ricorso e neppure appaiono in alcun modo in contrasto con elementi e date riferiti dal ricorrente – non soltanto non appare affatto attuale, ma risulta estremamente lontano nel tempo e ragionevolmente ritenuto superato dai successivi ricordati comportamenti positivi.

2. Il ricorso si risolve dunque in confutazioni di fatto e sostanzialmente generiche (perchè reitera argomenti ritenuti infondati o non rilevanti senza rivolgersi specificamente alle considerazioni del provvedimento impugnato che sostengono tali conclusioni) e così nella richiesta, improponibile in sede di legittimità, di rivedere apprezzamenti corretti, non implausibili e immuni da vizi logici riservati al giudice del merito.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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