Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 17 aprile 2009, n. 9147 Direttive, recepimento, mancato, danni, civile (2009-05-19)

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza della Corte di appello di Lecce n. 842 del 18 dicembre 2006, di cui si chiede la cassazione, accoglie l’appello proposto da Enrico C. e, in riforma della decisione del Tribunale di Lecce in data 18 febbraio 2003, condanna il Ministero dell’università e della ricerca scientifica (ora dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ai sensi del d.l. n. 85/2008, conv. in l. n. 121/2008) a pagare al C. la somma di Euro 26.855,72, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 5 novembre 1992, a titolo di risarcimento del danno derivante dalla mancata trasposizione, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie (ed in particolare, della direttiva n. 82/76/Cee) prevedenti l’obbligo di retribuire la formazione del medico specializzando.

2. La sentenza ritiene azionato, pur in assenza di espressa qualificazione in tal senso nell’atto introduttivo del giudizio, il diritto al risarcimento del danno, ex art. 2043 c.c., per violazione dell’obbligo dello Stato di dare attuazione alle direttive comunitarie che imponevano di remunerare adeguatamente il medico per la frequenza di un corso di specializzazione; considera comprovato, in assenza di contestazioni specifiche, che il C. avesse superato il corso di formazione quadriennale, come da attestazione del 5 novembre 1992, con frequenza a tempo pieno e senza svolgimento di attività libero-professionale; dichiara inammissibile l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall’amministrazione ed accolta dal primo giudice, sul rilievo che era stata formulata, senza le necessarie allegazioni in fatto e diritto, con riferimento all’art. 2948, n. 4, in termini, quindi, non pertinenti al rapporto giuridico dedotto in giudizio, atteso che non si trattava di rapporto di impiego pubblico (prospettazione su cui si fondava il difetto di giurisdizione ordinaria, eccepito dall’amministrazione in primo grado) e di responsabilità contrattuale; liquida il risarcimento nell’importo di Lire 13.000.000 annue (Euro 6.713,93) secondo il parametro fornito dall’art. 1, comma 1, l. n. 370/1999 (borsa di studio annuale per i medici ammessi presso le università alle scuole di specializzazione in medicina dall’anno accademico 1983-1984 all’anno accademico 1990-1991, in attuazione di giudicati amministrativi), con l’aggiunta della rivalutazione monetaria e degli interessi legali dalla maturazione del credito, fissata alla data del 5 novembre 1992.

3. Il ricorso del Ministero si articola in cinque motivi; resiste con controricorso Enrico C., ulteriormente precisato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per mancanza dell’esposizione dei fatti di causa.

1.1. L’eccezione è priva di fondamento atteso che il ricorso contiene la trascrizione integrale della sentenza impugnata e ciò comporta l’inammissibilità dell’atto soltanto allorché dall’esposizione contenuta nel provvedimento riprodotto non sia possibile risalire in modo esauriente alle vicende di fatto e alle questioni in diritto oggetto del contendere (vedi Cass. 25 gennaio 2006, n. 1473). I contenuti della sentenza impugnata, invece, come risulta dai riferimenti contenuti in narrativa, sono tali da soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti della causa prescritto dall’art. 366, n. 3, c.p.c.

2. Il primo motivo di ricorso, con il quale l’amministrazione pone, sotto vari profili, la questione dell’appartenenza della controversia alla competenza del giudice amministrativo, è inammissibile per la preclusione derivante dal giudicato interno.

2.1. Nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva esplicitamente rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione ordinaria sollevata dal Ministero. La parte vittoriosa sul merito, ma soccombente su tale questione pregiudiziale, aveva, pertanto, l’onere di riproporre la questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., per superare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo (vedi, tra i numerosi precedenti, Cass., sez. un., 19 febbraio 2007, n. 37179). Non risulta dalla sentenza impugnata che l’eccezione di difetto di giurisdizione ordinaria sia stata riproposta, né la ricorrente allega l’avvenuto assolvimento dell’onere indicato.

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 112, 345 e 346 c.p.c., unitamente a vizio di motivazione, per avere il giudice dell’appello deciso su domanda risarcitoria non proposta in primo grado. Si formula il quesito di diritto nel senso che, in tema di formazione specialistica del medico europeo, la domanda di pagamento di adeguata remunerazione è fondata su elementi diversi da quelli di una pretesa risarcitoria.

3.1. Il motivo non è fondato.

È pacifico che la domanda proposta dal C., laureato in medicina ammesso alla frequenza di corso universitario di specializzazione (nella specie, a partire dal 1988), di condanna della pubblica amministrazione al pagamento in suo favore del trattamento economico pari alla borsa di studio per la frequenza di detto corso, richiamando il complessivo quadro normativo, assumeva a causa petendi l’obbligo dello Stato di trasposizione, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie (ed in particolare, della direttiva n. 82/76/Cee) prevedenti l’obbligo di retribuire la formazione del medico specializzando e rivendicava il diritto al pagamento in base alla normativa nazionale di trasposizione (d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257).

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (vedi Cass. 20 giugno 2008, n. 16809; 19 ottobre 2006, n. 22479; Cass., sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27; con riguardo specifico ai poteri del giudice di appello: Cass. 19 luglio 2002, n. 10542).

3.2. Nel caso di specie, deve escludersi che il giudice di appello abbia esaminato questioni non dedotte, tali da alterare l’oggetto sostanziale della domanda e i termini della lite, introducendo un tema d’indagine e di decisione non prospettato dalle parti.

La giurisprudenza della Corte ha reiteratamente precisato che, prima del loro recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto con la l. n. 428 del 1990 e con il d.lgs. n. 257 del 1991, le direttive CEE 362/75 e CEE 82/76, che prevedevano l’adeguata remunerazione per la partecipazione alle scuole di specializzazione afferenti alle facoltà di medicina che comportasse lo svolgimento delle attività mediche del servizio in cui si effettuava la specializzazione, con dedizione a tale formazione pratica e teorica per l’intera settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno secondo le disposizioni fissate dalle autorità competenti, non erano applicabili nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato, che – come precisato anche dalla Corte di Giustizia CE, sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97 – non consentiva al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata, né l’importo di quest’ultima; conseguentemente, che la mancata trasposizione fa sorgere, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento del danno cagionato per il ritardato adempimento, consistente nella perdita della chance di ottenere i benefici – essenziali per consentire un percorso formativo scevro, almeno in parte, da preoccupazioni esistenziali – resi possibili da una tempestiva attuazione delle direttive medesime (Cass. 11 marzo 2008, n. 6427; 9842 del 2002).

3.3. Il giudice del merito, quindi, ha proceduto correttamente all’assolvimento del compito istituzionale di qualificazione della pretesa azionata, considerato altresì che non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, né rientra fra le ipotesi della cosiddetta parasubordinazione (art. 409, n. 3, c.p.c.), l’attività svolta dai medici iscritti a scuole di specializzazione nell’ambito delle strutture nelle quali la specializzazione viene effettuata, non potendosi ravvisare una relazione sinallagmatica di corrispettività fra la suddetta attività e gli emolumenti previsti a favore degli specializzandi (qualificati come borse di studio dall’art. 6 del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, di attuazione della direttiva del Consiglio C.E.E. n. 82/76); la suddetta attività consiste, infatti, in prestazioni finalizzate essenzialmente a consentire la formazione teorica e pratica del medico specializzando e non già a procacciare utilità alle strutture sanitarie nelle quali essa si svolge, per cui gli emolumenti per esso previsti sono sostanzialmente destinati a sopperire alle sue esigenze materiali in relazione all’attuazione dell’impegno a tempo pieno per l’apprendimento e la formazione; né rileva in contrario il fatto che la citata direttiva C.E.E. abbia previsto, per la formazione a tempo pieno dei medici specializzandi, il riconoscimento di un’adeguata remunerazione, atteso che essa vincola gli Stati membri limitatamente al risultato da raggiungere, e non già in ordine alla forma ed ai mezzi da adottare (vedi Cass. 16 settembre 1995, n. 9789).

3.4. Neppure, ai fini del giudizio di fondatezza della denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., rileva il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in linea di principio, le domande di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana e da responsabilità contrattuale si fondano su elementi di fatto diversi da quelli che sostengono le pretese di adempimento. sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo, in relazione non solo all’accertamento della responsabilità, ma anche alla determinazione dei danni, cosicché incorre in vizio di ultrapetizione il giudice d’appello che operi d’ufficio la riqualificazione della domanda risarcitoria proposta in primo grado (vedi Cass. 28 gennaio 2004, n. 1547; 7 ottobre 1998, n. 9911).

Come già si è rilevato, infatti, nel caso di specie nulla è stato aggiunto o tolto al complesso dei fatti addotti dall’attore a sostegno della domanda, essendosi limitato il giudice dell’appello a qualificare la pretesa di pagamento come pretesa risarcitoria derivante dal c.d.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *