Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-12-2010) 08-02-2011, n. 4551 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con Sentenza del 29.10.2009 la Corte d’Appello di Ancona ha sostanzialmente confermato la condanna inflitta a M.G. ed ad P.E. dal Tribunale di Pesato, in data 23.10.2002, limitandosi all’assoluzione dei predetti da un’ipotesi di condotta illecita, compresa nel più generale contesto dell’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e preferenziale, ed al riconoscimento in via di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, accuse correlate al fallimento di PREFABBRICATI GIERRE S.r.l. dichiarata fallita in data (OMISSIS).

L’addebito mosso a costoro, nella loro veste, ciascuno di amministratore formale della società, consiste nell’accusa di avere distratto ricavi aziendali e rimesse bancarie destinate alla società ma ad essa non riversate, di avere distratto, ancora, macchinari nel contesto di un contratto di locazione finanziaria, nonchè di avere tenuto la contabilità in guisa da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari, di avere redatto bilanci infedeli e di avere eseguito pagamenti in via preferenziale ad alcuni fornitori.

Il ricorso delle rispettive difese si appunta:

ricorso M.:

– inosservanza della legge processuale, per avere consentito la contestazione di fatti nuovi all’esito dell’esame del Curatore, senza successiva trasmissione degli atti al Pubblico Ministero;

– manifesta illogicità della motivazione quando ascrive ai prevenuti la condotta di distrazione fraudolenta, pur essendo risultata assente insinuazione al passivo di debiti aziendali (bensì soltanto insoluti per le retribuzioni dei parenti di P.) e che gli amministratori avevano finanziato la società per complessive L. 248.000.000, atteggiamento incompatibile con la volontà di impoverire la società; avendo taciuto sulle giustificazioni rese dall’imputato nei motivi di appello;

– erronea applicazione della legge penale con riferimento alla L. Fall., art. 216, se correlato al negozio di leasing finanziario;

– erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 40 cpv. c.p. rapportato alla condotta di bancarotta impropria, poichè è illogica la motivazione per cui risulterebbe un vicendevole consenso nella sfera di signoria congiunta nelle operazioni di gestione, alla luce delle risultanze dibattimentali (di primo grado), essendo emerso un ruolo assolutamente marginale del M. nella conduzione societaria, per avere rivestito il ruolo di Presidente del Consiglio di amministrazione soltanto in modo formale, essendo la società la prosecuzione dell’impresa del P. ed avendo il giudice di merito sia equivocato sulla ripartizione delle mansioni sia trascurato le deposizioni dei dipendenti, poichè il P. risultava in aperto disaccordo con la linea del M.; che, inoltre, in tema di distrazione fraudolenta non giova la presunzione conseguente alla mancata giustificazione dell’ammanco, dovendosi provare la conoscenza del singolo amministratore nella sottrazione del cespite.

Ricorso P.:

– erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 40 cpv. c.p. rapportato alla condotta di bancarotta impropria, poichè è illegittimo far automaticamente discendere dalla formale investitura soggettiva di consigliere di amministrazione la penale responsabilità per condotte del co-amministratore; che, ancora, le risultanze testimoniali relegano la mansione del P. ad incombenze esecutive, esterne alla contabilità; che aveva trasmesso – senza ricevere risposta – al M. missiva di censura per i silenzi serbati su profili di gestione; che P. aveva inoltrato ricorso ex art. 2409 c.c.; inattendibile è la confessione resa a suo tempo dal P. sull’utilizzo fraudolento di parte degli incassi;
Motivi della decisione

Il primo motivo del M. è infondato.

La nozione di "fatto nuovo", nel contesto dell’art. 518 c.p.p., suppone che l’addebito – oggetto di necessaria contestazione – rappresenti una modificazione che incida sugli aspetti fondamentali dell’imputazione.

In tema di bancarotta fraudolenta, qualora nel corso dell’istruzione dibattimentale emerga una diversa modalità della condotta illecita ovvero l’accertata ulteriore condotta di distrazione, o – infine – una difforme condotta integrativa della violazione della L. Fall., art. 216, (per es. un’azione di ulteriore fraudolenza, patrimoniale o documentale, ovvero un comportamento di preferenzialità), non è dato ravvisare la situazione riconducitele all’art. 518 c.p.p., poichè detto fatto non può generare "novità" dell’illecito, ma soltanto l’integrazione della circostanza aggravante (e non una modifica del fatto tipico), in considerazione della peculiare disciplina dell’illecito fallimentare, che è connaturato alla c.d.

"unitarietà del reato" desumibile dalla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1, che deroga alla disciplina della continuazione, sia alla peculiare previsione della norma incriminatrice, che non assegna alle condotte di distruzione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione (cosi come la reiterazione della medesima azione), previste dalla L. Fall., art. 216, n. 1, natura di fatto autonomo, bensì fattispecie penalmente tra loro equivalenti, e cioè modalità di esecuzione, alternative e fungibili, di un unico reato. Sicchè, non disponendo di propria indipendenza concettuale, non determinano un evento "nuovo" quale quello sotteso dalla disposizione processuale.

Infondato è il secondo mezzo dello stesso M..

La Corte, richiamando l’attestazione del curatore, ha sottolineato l’"abnorme disavanzo di gestione, a fronte del quale non sono state offerte dagli imputati giustificazioni.

Circostanza che, già in sè, scredita il rilievo difensivo (Motivi pag. 14) dell’assenza di poste passive insinuate "da parte di chicchessia" e la circostanza, affacciata in punto di fatto e qui, conseguentemente, non valutabile, di finanziamento da parte degli amministratori con proprie risorse economiche: la medesima dichiarazione di fallimento suppone uno sbilancio con eccedenza del passivo (eppertanto, debiti non onorati) sulla risorsa attiva.

Ma l’accenno al disavanzo, scevro da spiegazioni e verifiche probatorie è, già in sè, percorso argomentativo ragionevole per giungere all’assunto di colpevolezza. Segnatamente per le singole voci di risultanze che avrebbero dovuto provocare iscrizione di valori attivi, partitamente considerate (e fatta eccezione per le poste di TFR), la Corte territoriale elenca la carenza di spiegazione e la circostanza che l’ammanco ebbe verificarsi "nella sfera della immanenza o permanenza delle funzioni amministrative in effetti esercitate dagli imputati", esclude assenza di giustificazione, anche con riguardo alle doglianze esposte nel gravame di appello.

Non è dato comprendere come sia estranea alla nozione di "distrazione", quale prevista dalla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, la condotta di chi cede in comodato (che per sua natura è contratto essenzialmente gratuito, cfr. art. 1803 c.c.) un cespite d’impresa, anche se la condotta non porti la rimozione fisica dello stesso dai locali ove si trova. La cessione di un bene priva di effettiva (o adeguata, come l’integrale – e non soltanto parziale – pagamento dei canoni locativi) contropartita concreta indubitabilmente il reato (cfr. da ultimo Cass., sez. 5, 15 febbraio 2008, Cartoli, Ced Cass., rv. 239480), e la circostanza di un successivo pignoramento del bene da parte dell’Esattoria non incide sul rilievo svolto.

Ancora, il giudizio di colpevolezza prescinde dalla vigenza della convenzione al v., l momento del fallimento: l’effetto pregiudizievole scaturente dalla manomissione del cespite, vincolato a locazione finanziaria, discende dalla circostanza per cui l’impresa viene privata del valore del medesimo bene ed, allo stesso tempo, diviene gravata da un:

ulteriore onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione alla società Beatrice (giurisprudenza consolidata, cfr. da ultimo Cass., sez. 5, 18 luglio 2008, Bottamedi, Ced Cass., rv. 241397).

La natura della bancarotta, ancorata al pericolo di un danno ai creditori, non pretende, pala sua integrazione, l’interpello formale al curatore per l’esercizio del diritto di opzione. Attiene, infine, al merito l’accertamento di un’asserita assenza di concreto pregiudizio in capo ai creditori a seguito dell’operazione incriminata, in ragione dei ratei locativi rimasti inevasi.

L’ultimo motivo del M. si rivolge, nella sua sostanza, al merito della vicenda. Esso è, pertanto, in gran parte inammissibile per il giudice di legittimità, a cui è inibita la rivisitazione delle risultanze di fatto, acquisite in sede di merito. La Corte territoriale – facendosi onere (contrariamente all’assunto del ricorrente) di superare l’indistinta "presunzione" di prova di distrazione, nel vaglio delle condotte dei due prevenuti – ha precisato (Sent. pag.6), che sulla base delle verifiche del Curatore "il M. era in sostanza il "dominus" dell’amministrazione nel senso tecnico-economico e relazionale", che la stessa moglie del M. ebbe a riferire che i rapporti con i terzi facevano capo al marito.

Sicchè la conclusione che la società evidenziasse "la contitolarità di un effettivo ruolo di discrezionalità direttiva apicale" (ibidem) è conclusione aderente alle risultanze assunte ed immune da censura.

D’altra parte la vicenda dell’assoggettamento a leasing del macchinario d’impresa, a favore di una ditta del M., attesta la presenza di costui nelle scelte amministrative. Infine, il disordine contabile grava sull’amministratore che risulta – anche per la preposizione al comparto documentale proprio della moglie – esser stato incaricato della relativa conservazione.

Infondato è, parimenti, il ricorso del P. (anche se in buona parte versato in fatto).

Proprio la rilettura delle risultanze istruttorie acquisite evidenzia il motivato richiamo da parte della Corte territoriale alle indicazioni del Curatore per cui " P. gestiva le strategie di organizzazione produttiva aziendale, così evidenziando la titolarità effettiva di un discrezionalità di vertice in ordine agli indirizzi gestionali" (Sent. pag. 5/6). D’altra parte risulta apodittica (perchè fondata sulla sola voce del ricorrente, in mancanza di qualsiasi conferma contabile) la smentita alla confessione a suo tempo resa dal prevenuto, circa lo storno da quegli effettuato sugli incassi societari (priva di dimostrazione è la spiegazione di un utilizzo per appianare debiti societari).

Logicamente conseguente e scevro da vizi argomentativi, pertanto, è l’assunto di colpevolezza a cui sono giunti i giudici del merito.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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