Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-03-2011, n. 5830

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato al Comune di Roma ed alla s.p.a. Banca Monte dei Paschi di Siena (concessionaria della riscossione), l’A.S. Free Time Sporting Club, in forza di sei motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 13/35/04 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (depositata il 21 aprile 2004) che aveva accolto l’appello del Comune avverso la decisione (656/02/01) della Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale, su suo ricorso, aveva annullato "la cartella di pagamento … dell’imposta sulla pubblicità relativa all’anno 1996".

Nel proprio controricorso il Comune intimato instava per il rigetto dell’impugnazione.

La Banca non svolgeva attività difensiva.
Motivi della decisione

1. La Commissione Tributaria Regionale premette:

– "il contribuente … ha impugnato la cartella … contenente l’intimazione al pagamento di somme a titolo di imposta sulla pubblicità, soprattasse interessi e oneri accessori con riferimento all’anno 1996 (avvisi di accertamento peraltro notificati nel 1997)";

– "il primo giudice ha accolto il ricorso sul presupposto dei difetto di prova della pretesa avanzata dal Comune di Roma";

– la sentenza è "appellata dall’ente locale";

– il "Collegio ha … formulato ordinanza istruttoria n. 35/35/03 pronunciata il 13 ottobre 2003, con la quale ha chiesto copia degli avvisi di accertamento presupposti alla cartella impugnata": il "20 gennaio 2004 l’ente locale ha depositato la documentazione richiesta con il suddetto atto istruttorio".

La commissione, di poi, "chiarito" che "il concessionario del servizio di riscossione non è ente impositore ma mero esecutore di quanto emerge dal ruolo predisposto da detto ente" ("per cui eventuali dichiarazioni di contumacia del concessionario non appaiono sostenibili") ha ritenuto "non . . . superfluo ricordare", "in proposito", che la sua "sentenza produce effetti anche nei confronti del concessionario … sia in virtù dell’esistente litisconsorzio sia per il fatto che tale organo partecipa all’esercizio della potestà impositiva, avendo l’esclusiva legittimazione ad ottenere ed a chiedere il pagamento": "il nuovo contenzioso tributario …ha esteso la legittimazione passiva anche al concessionario del servizio di riscossione ma per identificare i soggetti aventi di norma, legittimazione processuale bisogna riportarsi al concetto di rapporto tributario che vede, come parti interessate, da un lato l’ente impositore e dall’altra il contribuente"; "parti della conseguente fase processuale possono essere invece anche soggetti diversi da quelli appena menzionati"; "così bisogna ritenere che, per quanto concerne l’ente impositore, possano ricorrere alcune circostanze che individuino più soggetti aventi interesse alla controversia e, quindi, più parti processuali, come, peraltro, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10".

La Commissione Tributaria Regionale, quindi, ha accolto l’appello del Comune osservando:

– "appare evidente come possa esservi tra ente impositore e concessionario del servizio di riscossione un litisconsorzio soprattutto ove venga impugnata la cartella esattoriale (o l’avviso di mora: cit. D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19");

– "peraltro, non si contesta per vizi propri la cartella bensì la stessa pretesa (vale a dire nel merito), per cui si contesta lo stesso avviso recte: avviso a monte della cartella de qua, ritenuta dal contribuente totalmente infondata in fatto ed in diritto";

– "le argomentazioni svolte dall’appellante appaiano alquanto confuse alla luce degli atti: si parla infatti nell’appello (pag. 5) di "avvisi presupposti alla cartella de qua … si riferiscono all’imposta sulla pubblicità per l’anno 1997, sono stati notificati nel 1998", quando dagli atti inviati in risposta all’ordinanza istruttoria …, essi si riferiscono a provvedimenti afferenti il 1996, notificati nel 1997; a ciò aggiungasi come la mancata "specifica" numerazione dei singoli "allegati" renda estremamente problematico l’esame dei gravame presentato, (per non parlare di un evidente scarso rispetto per il complesso lavoro di questo giudice di secondo grado)";

– appare "estremamente difficile risalire dai soli "dati identificativi della cartella" alle ragioni della pretesa impositiva, dimenticando che nella motivazione "per relationem" la L. n. 241 del 1990, art. 3 (richiamato espressamente nella successiva L. n. 212 del 2000, art. 1, attuativa peraltro, di principi generali dell’ordinamento della Costituzione: art. 1) sancisce la effettiva disponibilità dell’atto richiamato per relationem";

– "è pur vero che il comma 3 del citato art. 7 statuisce che sia sufficiente che "sul titolo esecutivo (vada) (riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento …";

tuttavia non si può dimenticare, al di là di un "formale" rispetto della norma, anche il disposto dell’art. 10 della … L. n. 212 per il quale i rapporti tra contribuente ed ente impositore devono essere improntati al principio della collaborazione e buona fede"; "questo giudice ritiene quindi doveroso richiamare l’attenzione dell’ente locale impositore acchè in futuro proceda nei confronti del contribuente ad una più chiara dimostrazione della propria pretesa impositiva".

"Fermo ciò", la Commissione Tributaria Regionale afferma:

"dai disposti incombenti istruttori emerge chiaramente che negli avvisi di accertamento presupposti alla cartella in contestazione è … riportata l’indicazione circa la possibilità d’impugnare con ricorso alla Commissione tributaria provinciale entro 60 giorni dalla data di notifica e dall’altro che gli atti de quibus risultano correttamente notificati a persona all’uopo abilitata": "la regolare notifica e l’omessa impugnativa rendono ormai giuridicamente consolidata la situazione a monte della cartella de qua, e pertanto eventuali doglianze in merito del contribuente appaiono in ogni caso intempestive e quanto affermato dal primo giudice circa una mancata (e provata) notifica dei preliminari avvisi di accertamento totalmente infondato". 2. La contribuente impugna la decisione con sei motivi.

A. Con il primo la ricorrente denunzia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 18" assumendo che "la copia del ricorso ad essa notificata … era completamente priva della sottoscrizione dell’organo asseritamene legittimato a rappresentare in giudizio il Comune".

B. Con il secondo motivo la contribuente deduce "violazione e falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c." sostenendo che l’appello ("spedito a mezzo posta … in data 22 aprile 2003") è stato proposto "un anno e quarantasette giorni dopo il deposito della sentenza" avvenuto il "6 marzo 2002".

C. Con il terzo motivo la ricorrente – richiamato il principio secondo cui ("Cass., 5^, 7 giugno 2004 n. 1.0 787") "a seguito dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. n. 267 del 2000, la rappresentanza in giudizio del comune è riservata, in via esclusiva, al sindaco. Non può dunque essere e-sercitata dal titolare della direzione di un ufficio o di un servizio, neanche se così fosse previsto lo statuto comunale" – denunzia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11 e dell’art. 15 c.p.c." adducendo che la prima norma affida "la rappresentanza in giudizio del Comune … in via esclusiva al Sindaco" e che l’altra consente unicamente di delegare ("previo conferimento di apposita delega") "al funzionario dell’ufficio periferico" ("non ad un dirigente tecnico") di "assistere in giudizio l’organo di rappresentanza".

D. Con il quarto motivo la contribuente – assunto che "il Comune …, all’atto della propria costituzione in giudizio di primo grado …, non ha … controdedotto sui motivi" da essa "esposti … nell’atto introduttivo" – denunzia "violazione e falsa applicazione dell’art. 23" ("a mente del quale la parte resistente deve prendere posizione sui motivi di ricorso") e " D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57" sostenendo che "il Comune … era … decaduto dalla facoltà di proporre qualsivoglia eccezione processuale e di merito, palesandosi le questioni svolte nell’appello assolutamente nuove e quindi inammissibili".

E. Con il quinto motivo la ricorrente denunzia "violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 9, 10 e 12, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 12, 15, 11 e 25 ed artt. 3 e 53 Cost.":

– "non è stata data … contezza … dell’avvenuta notifica … di tutti gli avvisi di accertamento … in quanto copia degli stessi non è stata allegata alla cartella al momento della sua notifica" per cui "la cartella" stessa è "priva di titolo e … illegittima";

– vi è "assoluta carenza di motivazione della cartella in ordine all’an ed al quantum della pretesa" perchè la stessa "difetta di tutte quelle informazioni necessarie … per il legittimo esercizio del potere impositivo (oggetto dell’imposta sulla pubblicità, tariffa applicata, natura dell’accertamento, etc.)";

– "la mancata indicazione della circostanza che l’iscrizione a ruolo è avvenuta in virtù di accertamenti effettivamente notificati e quindi definitivi o non definitivi, determina l’impossibilità per il contribuente di verificare la congruità e la legittimità dell’entità degli importi iscritti a ruolo e la legittimità dello stesso procedimento di accertamento e riscossione";

– "nullità della cartella" perchè "priva di qualsivoglia data relativa all’emissione, nonchè … della data di consegna dei ruoli" ("elementi e requisiti … essenziali sia in relazione alla validità della cartella . . . , sia in relazione alle violazioni che tali omissioni comportano") imposte dal " D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 26";

– essendo "il termine per l’iscrizione a ruolo … quello del 31 dicembre 1999, … in difetto della notifica degli atti presupposti manca … il titolo stesso per procedere all’iscrizione ed il dies a quo per computare il termine";

– "la cartella" era "priva di qualsivoglia sottoscrizione", "requisito essenziale per la validità di ogni atto destinato a produrre effetti di natura giurdica";

– "il Comune" ha "sicuramente richiesto il pagamento dell’imposta di pubblicità per l’intero anno e non in relazione all’effettiva esposizione di messaggi pubblicitari";

– "tutte le somme relative a sanzioni per tardivo pagamento ed omessa dichiarazione" debbono essere "annullate" in quanto "le stesse", "relativamente a tali causali", sono state "abrogate dalla normativa di cui ai D.Lgs. n. 471 del 1997 e D.Lgs. n. 472 del 1997".

F. Con il sesto (ultimo) motivo la contribuente denunzia "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8" ("potere di disapplicazione … pacificamente esercitatile ex officio senza vincolo alcuno al principio della domanda") affermando "risulta(re) … chiaro" che "nella specie" sussistono le "condizioni di "obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazioni delle disposizioni" cui fa riferimento detta norma.

3. Il ricorso deve essere respinto.

A. L’esame degli atti del giudizio di merito – imposto a questo giudice di legittimità dalla natura in procedendo dell’error denunziato nella prima doglianza – evidenzia che il 21 maggio 2003 il Comune ha depositato presso la segreteria della "Commissione Tributaria Regionale di Roma" un "ricorso in appello" che reca:

(a) sulla prima (delle 16 di cui è composto) pagina, oltre che il timbro rettangolare della Commissione Tributaria Regionale (con data "21 mag. 2003" e "prot. n. 5/9611"), anche un timbro rettangolare dello stesso Comune ("servizio delle affissioni e pubblicità") con data del precedente "22 aprile 2003" e "n. 9878";

(b) sull’ultima pagina, (b1) il seguente periodo conclusivo: "il presente atto è dichiarato conforme, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, a quello che sarà depositato entro il termine di 30 giorni presso la segreteria della Commissione Tributaria Regionale di Roma"), e (b2) un timbro su due righe "il dirigente tecnico"; "dott. Ing. L.G." nonchè la debita sottoscrizione.

Dall’inciso, contenuto nell’atto, "conforme… a quello che sarà depositato" si deduce agevolmente che il Comune appellante ha invertito lo schema procedimentale delineato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 1 (per il quale "il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d’inammissibilità deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita … copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale") utilizzando la "copia" dell’atto per la notifica alla controparte e l’"originale" dello stesso per il deposito presso il giudice di appello.

Specificamente in ordine a siffatta peculiare fattispecie questa sezione (sentenze: 30 giugno 2010 n. 15444; 18 giugno 2009 n. 14117;

15 maggio 2008 n. 12185; 14 maggio 2007 n. 10958, da cui gli excerpta che seguono, ma, principalmente, 22 marzo 2006 n. 6391) ha da tempo affermato il condivisibile principio per il quale "in tema di contenzioso tributario, in caso di notificazione dell’atto d’impugnazione di una decisione della commissione provinciale a mezzo posta o tramite consegna presso l’Ufficio, l’utilizzazione di copia dell’atto per la notifica ed il deposito dell’originale nella segreteria della commissione tributaria, pur invertendo lo schema procedimentale delineato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 1, richiamato dall’art. 53, comma 2, non da luogo ad una nullità insanabile, ma ad una mera irregolarità" la quale "non comporta l’ammissibilità dell’impugnazione, non potendosi far discendere tale sanzione dalla mancanza, nella copia notificata dell’atto, della sottoscrizione dell’autore, la quale dev’essere ritenuta presente per relationem, attraverso il rinvio implicito all’originale depositato presso la segreteria della commissione, e ben potendo eventuali contestazioni essere risolte dal giudice tributario mediante l’ordine di esibizione dell’originale del ricorso, ai sensi dell’art. 22, comma 5".

L’irregolarità rilevata e denunciata dalla contribuente, quindi, non integra la previsione della nullità insanabile (in cui si sostanzia l’inammissibilità) in quanto essa parte ha avuto, comunque, la possibilità di riscontrare l’esistenza della sottoscrizione nell’atto di appello depositato in segreteria.

B. La spedizione "a mezzo posta" dell’appello del Comune "in data 22 aprile 2003", poi, pur essendo effettivamente avvenuta "un anno e quarantasette giorni dopo il deposito" ("6 marzo 2002") della sentenza da impugnare, non risulta affatto tardiva (ex art. 327 c.p.c.) perchè il 21 aprile 2003, ultimo utile, era festivo (lunedì in albis), quindi la relativa scadenza deve intendersi "prorogata di diritto" al giorno successivo per il disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 4.

C. Il principio di diritto invocato a fondamento della terza censura – "la rappresentanza in giudizio del Comune è affidata in via esclusiva al Sindaco ( D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50) ed al funzionario dell’ufficio periferico, . .. non un dirigente tecnico" – non è (più) idoneo a sorreggere la censura perchè (cfr., Cass., trib. 3 febbraio 2008 n. 2585 e 22 giugno 2007 n. 14637) l’art. 3 bis ("capacità dell’ente locale di stare in giudizio attraverso il dirigente" ) contenuto nell’"allegato" alla L. 31 maggio 2005, n. 88 (di conversione del D.L. 31 marzo 2005 n. 44, recante disposizioni urgenti in materia di enti locali) – ha (1) espressamente "sostituito" il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 11, comma 3 con il seguente": "l’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio", e (2) prescritto (comma 2) che "la disposizione di cui al comma 1 si applica anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione di quel… decreto".

D. La "decadenza" ("era … decaduto") del Comune appellante "dalla facoltà di proporre qualsivoglia eccezione processuale e di merito", denunziata con la quarta doglianza, è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ( art. 366 c.p.c.) non emergendo dalla stessa quali siano le "questioni svolte nell’appello" – ovviamente (pena l’irrilevanza) poste, poi, dal giudice di appello a fondamento della sua pronuncia – che dovrebbero essere considerate "assolutamente nuove" e, quindi, "inammissibili".

La riscontrata violazione dell’art. 366 detto risulta evidente atteso che il dictum del giudice di appello, nella sostanza, si limita alla riprodotta affermazione finale secondo la quale "la regolare notifica" degli "avvisi di accertamento presupposti" e la "omessa impugnativa" degli stessi "rendono … giuridicamente consolidata la situazione "a monte" della cartella de qua" per cui ("e pertanto") le "eventuali doglianze in merito del contribuente appaiono in ogni caso intempestive".

E. Le complessive censure svolte nel quinto motivo si rivelano tutte inammissibili perchè a nessuna di esse corrisponde (nè la ricorrente ne indica alcuna) ad una qualche affermazione od osservazione del giudice di appello dalla quale sia possibile dedurre, sia pure per implicito, una interpretazione delle singole norme indicate dalla società (" L. n. 212 del 2000, art. 7… D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 9, 10 e 12 , D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 12, 15, 17 e 25 ed artt. 3 e 53 Cost."), come pure del loro complesso, difforme da quella ritenuta corretta.

Di tutte le questioni oggetto di critica ("avvenuta notifica … di tutti gli avvisi di accertamento … in quanto copia degli stessi non è stata allegata alla cartella al momento della sua notifica";

"carenza di motivazione della cartella in ordine all’an ed al quantum della pretesa"; "iscrizione a ruolo … in virtù di accertamenti effettivamente notificati e quindi definitivi o non definitivi";

"data relativa all’emissione, nonchè … della data di consegna dei ruoli"; "termine per l’iscrizione a ruolo"; "sottoscrizione" della cartella; "imposta di pubblicità per l’intero anno e non in relazione all’effettiva esposizione di messaggi pubblicitari";

"sanzioni … "abrogate dalla normativa di cui ai D.Lgs. n. 471 del 1997 e D.Lgs. n. 472 del 1997"), anzi, non vi è traccia nella sentenza di appello per cui la ricorrente – la quale si è limitata ad esporre di aver ribadito "ex art. 346 c.p.c. ed D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 54 e 56 le lagnanze già dedotte in primo grado … rilevando … a) la decadenza dal diritto alla riscossione .." ed il difetto "della data di esecutorietà del ruolo", "b) l’omessa allegazione alla cartella degli avvisi di accertamento presupposti …", "c) l’infondatezza nel merito della pretesa tributaria …" -, tenuto conto del preciso rilievo del giudice di appello secondo cui "non si contesta per vizi propri la cartella", avrebbe dovuto:

(1) indicare, in osservanza del già richiamato principio di autosufficienza, esattamente il luogo processuale nonchè il tenore testuale della proposizione di ognuna e, soprattutto, (2) denunziare, non già (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) la violazione e/o la falsa applicazione delle afferenti disposizioni normative ma (art. 360, ex n. 4) la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia sulle eccezioni che si assumono riproposte).

Ancor di recente, infatti, questa Corte (sentenza 27 maggio 2010 n. 12992, della terza sezione, ex permultis) ha ribadito:

"qualora una determinata questione non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/09/2006, n. 21020)";

– "la censura di omessa pronuncia integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., e quindi una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (nullità della sentenza e del procedimento) e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed a maggior ragione come vizio motivazionale a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (attenendo quest’ultimo esclusivamente all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia)", con la precisazione che "solo la corretta deduzione della doglianza ex art. 112 c.p.c., trattandosi di una norma processuale, può consentire al giudice di legittimità l’esame degli atti dei giudizio al fine di verificare la effettiva deduzione come motivo di appello della censura la cui mancata considerazione da parte del giudice di secondo grado è dedotta come motivo di gravame nel ricorso per cassazione (Cass. 24/02/2004, n. 3646; 23/01/2004, n. 1170; Cass. 17/10/2003, n. 15555; Cass. 15/07/2003, n. 11034; Cass. 18/06/2003, ti. 9707; Cass. 17/01/2003, n. 604)".

F. L’infondatezza, infine, dell’ultimo motivo -"violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8"; "potere di disapplicazione … esercitatile ex officio senza vincolo alcuno al principio della domanda" – discende dai principi (che vanno ribaditi per assoluta carenza di convincenti argomentazioni contrarie, nemmeno adombrate) secondo cui (Cass., trib.: 27 marzo 2009 n. 7502, 25 ottobre 2006 n. 22890, da cui gli excerpta, e 2003 n. 14476):

– "il potere delle commissioni di disapplicare, quando tali condizioni ricorrano, le sanzioni amministrative per la violazione delle norme tributarie – potere conferito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, ribadite, con più generale portata, dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, e poi dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, (c.d. Statuto del contribuente) – deve ritenersi sussistente … quando la disciplina normativa si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto derivante da elementi positivi di confusione (Cass. 11233/2001)";

– "l’onere di allegare la ricorrenza di tali positivi elementi di confusione, se esistenti, grava sul contribuente (Cass. nn. 14476/2003, 6251/2003); sicchè non può ritenersi che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente (contro, Cass. n. 4053/2001) nè, per conseguenza, che sia ammissibile la censura avente ad oggetto la mancata pronunzia d’ufficio sul punto".

La doglianza, peraltro, risulta anche inammissibile essendosi la A.S. FREE TIME limitata ad affermare la ricorrenza, nella specie, di "condizioni di "obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni", senza, però, indicare nessuna opportuna e/o conferente ragione, logica e/o giuridica.

4. Per la sua totale soccombenza la ricorrente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere al Comune le spese processuali del giudizio di Legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe professionali forensi, tenuto contro del valore della controversia e della effettiva attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al Comune le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 900,00 (novecento/00), di cui Euro 700,00 (settecento/00) per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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