Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-11-2010) 08-02-2011, n. 4545 Aggravanti comuni motivi abietti o futili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.C. è oggi imputato a) del delitto p. e p. dall’art. 575, e art. 577, n. 3, in relazione all’art. 61 c.p., n. 1, perchè utilizzando più armi da taglio, ed in particolare un coltello tipo mannaia ed un altro coltello puntuto, attingendo con una pluralità di colpi al corpo ed al capo V.G., ne cagionava la morte con l’aggravante di aver commesso il fatto per futili motivi. b) del delitto p. e p. dall’art. 412 c.p., per avere occultato il cadavere di V.G. dopo averlo decapitato gettando il capo, nascosto in una busta di plastica, in un contenitore per la raccolta dei rifiuti sito in via (OMISSIS) e la rimanente parte del corpo in una delle celle frigorifero all’interno della sua macelleria ove si consumava il delitto di cui al capo a), dopo averla occultata all’interno di un grosso secchio di plastica.

E’ stato assolto dai delitti originariamente contestati di cui al capo c) artt. 56 e 629 c.p., ed al capo d) artt. 81 cpv. e 367 c.p..

E’ necessario premettere una breve sintesi dello sviluppo processuale della vicenda.

C.C. veniva dichiarato colpevole dal Gup di Torre Annunziata con sentenza del 23.11.2006 dei reati di cui ai capi a), b) e d), esclusa l’aggravante della premeditazione, e condannato, previa unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione e con l’applicazione della diminuente del rito abbreviato, alla pena dell’ergastolo ed alle pene accessorie conseguenti, nonchè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili; veniva assolto dal reato sub e) perchè il fatto non costituisce reato.

La Corte di Assise di Appello di Napoli, con sentenza emessa in data 25 febbraio 2008, in parziale riforma di tale decisione, assolveva il C. dal delitto di simulazione di reato di cui al capo d) perchè il fatto non sussiste e rideterminava la pena in anni trenta di reclusione.

La Corte di Cassazione Sez. 1^, adita dal P.G. e dal difensore dell’imputato, con sentenza emessa in data 29 ottobre 2008, rigettava il ricorso del P.G. e, in parziale accoglimento del ricorso proposto dall’imputato, riteneva fondata la censura di falsa applicazione della norma di cui all’art. 61 c.p., n. 1, e conseguentemente annullava la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del motivo futile e rinviava per un nuovo giudizio sul punto, rilevando che l’accoglimento di tale motivo comportava l’assorbimento delle censure relative alla mancata determinazione della pena per il reato di cui all’art. 412 c.p., al diniego delle attenuanti generiche ed alla determinazione della misura della pena.

Su rinvio della Cassazione,la Corte di Assise di Appello di Napoli, con sentenza del 2.7.2009 confermava la sentenza del Gup di Torre Annunziata,nei termini in cui era stata riformata dalla Corte di Assise di Appello, riconoscendo la sussistenza dell’aggravante dei futili motivi e condannava C.C. alla pena di anni trenta di reclusione.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione C. C. a mezzo due distinti atti che è utile distinguere in base alla data in essi riportata quanto,pur presentando profili comuni di doglianza, trattano anche motivi di impugnazione diversi.

Con il ricorso del 26.1.2010 viene denunziata violazione di legge in relazione all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, in quanto la Corte di Assise di Appello, in sede di rinvio, aveva immesso del giudizio concernete l’aggravante aspetti e profili ad essa del tutto estranei, tutti fondati sulla disamina dell’agire della vittima e sull’insistito riferimento alla insussistenza di condotte provocatorie e violente del V., ritenendo che l’aggravante in oggetto fosse sostanzialmente coincidente con una valutazione di proporzionalità tra l’azione e le ragioni prossime dello scatenarsi dell’agire criminoso, considerazioni del tutto estranee alla valutazione della sussistenza o meno dei futili motivi.

Ancora deduceva che il motivo della condotta del C., individuato dalla sentenza impugnata nella necessità da parte di quest’ultimo di liberarsi di un creditore, non concretizzerebbe il motivo futile così come affermato anche da copiosa giurisprudenza di legittimità.

Deduceva contraddittorietà ed illogicità della motivazione poichè la Corte in sede di rinvio aveva individuato una causale dell’agire omicidiario del C. banale e riduttiva,che non teneva conto dell’enormità di eventi e situazioni che avevano caratterizzato la vicenda, in contrasto con gli accertamenti su cui si era formato il giudicato.

Da ultimo deduceva che la Corte di merito aveva negato la concessione delle attenuanti generiche con motivazione del tutto generica e con frasi di stile.

Con il secondo ricorso del 29.1.2010 C.C. denunziava, in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante dei motivi futili, violazione ex 606 c.p.p., lett. c), per violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 2, (poteri del giudice del rinvio) e del principio del giudicato progressivo ( art. 624 c.p.p.).in quanto la Corte di Assise di Appello nel giudizio rescissorio,al fine di sminuire il contenuto vessatorio delle legittime richieste di pagamento,aveva messo in discussione il fatto storico così come ricostruito dalle prime due sentenze di merito, dando per accertata una versione dei fatti in cui veniva mitigato il comportamento oppressivo del V. nei giorni precedenti l’omicidio.

Sempre in relazione al punto della sentenza vertente sulla menzionata aggravante violazione ex art. 606, lett. e), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, vizi risultanti dal testo del provvedimento impugnato e dai seguenti atti del procedimento prodotti in allegato:

sit rese da T.D. (del 07/05/05), L. R., S.A. (entrambi del 10/05/05) e Z.L. (del 05/05/05).

Violazione ex 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza dell’art. 627 c.p.p., comma 3, e art. 61 c.p., n 1, (erronea applicazione legge penale); art. 606, lett. e), per manifesta illogicità della motivazione in reazione all’applicazione della disciplina di cui all’art. 61 c.p., n 1.

Violazione art. 606 c.p.p., lett. e), per totale mancanza di motivazione in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche in quanto la Corte aveva omesso di considerare l’offerta reale avanzata dal C. nei confronti dei familiari per Euro 200.000,00 ciascuno.

Violazione art. 606 c.p.p., lett. e), per totale mancanza di motivazione in relazione alla determinazione della pena per il delitto di cui al capo b) (occultamento di cadavere).

Il ricorso è infondato e merita il rigetto.

Preliminarmente è necessario ricordare il principio di diritto enunciato dalla 1^ sezione penale di questa Corte nella sentenza di annullamento per valutare se ad esso si è attenuta la Corte di assise di Appello di Napoli nel giudizio rescissorio, alla luce anche dei motivi di ricorso che nuovamente contestano la correttezza dell’applicazione dell’aggravante dell’art. 61 c.p., n. 1, sia sotto il profilo della violazione di legge che del difetto di motivazione.

Questa Corte di legittimità ha affermato che era meritevole di accoglimento la cesura del ricorrente in ordine alla ritenuta applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, ricordando il principio di diritto più volte formulato da questa Corte (cfr. Cass. sentenze n. 17309/08, n. 26013/07, n. 4819/99) per il quale è ravvisabile la circostanza dei futili motivi tutte le volte in cui si riscontri una macroscopica inadeguatezza del movente (definibile come "lieve" o "banale") a sostenere la condotta delittuosa, una inadeguatezza apprezzabile secondo il comune sentire rapportato alla concretezza della vicenda. I giudici di legittimità hanno ritenuto che dall’osservanza di tale principio l’impugnata sentenza si era certamente discostata, là dove aveva ravvisato la predetta macroscopica inadeguatezza su di un assunto certamente estraneo a detta valutazione, quello di un debitore per somme non irrilevanti sottoposto a ripetute pressioni del creditore dirette ad ottenere la dovuta solutio, assunto che non si scorge come possa ritenersi integrare una ragione di oggettiva indiscutibile banalità tale da giustificare l’aggravamento del trattamento sanzionatorio da irrogare. La Corte di Assise di appello di Napoli, in sede di rinvio, nella sentenza oggi impugnata, ha ritenuto che dalla istruttoria dibattimentale erano emersi elementi idonei a dimostrare con certezza che il rapporto assicurativo tra il V. ed il C. si inseriva in un contesto di gravi difficoltà economiche di quest’ultimo, aventi una genesi diversa e complessa: tale precaria situazione, che avrebbe reso inevitabile l’ennesimo intervento del cognato, che già si era adoperato in passato per la soluzione dei ricorrenti problemi finanziari del C., era stata dettagliatamente descritta sia dalla moglie dell’imputato che dal commercialista P.F. e dai suoi collaboratori.

La Corte ha sottolineato che le concordi dichiarazioni dei testi di cui sopra consentivano di affermare che la condizione stressante nella quale il C. si trovava era conseguenza di una pesante situazione debitoria riconducibile ad una pluralità di rapporti attinenti l’attività imprenditoriale, che non erano stati affatto rappresentati in nessuno dei vari interrogatori dall’imputato, il quale aveva collegato i suoi problemi unicamente al pagamento degli interessi usurari pretesi dal V..

La valutazione globale delle evidenziate risultanze processuali induceva a condividere la ricostruzione della vicenda operata nella sentenza di primo grado, e sostanzialmente ribadita nella sentenza di appello, secondo cui la richiesta di pagamento legittimamente formulata dal V. si rivelò inaccettabile per il C. non per le modalità con le quali venne formulata nè per l’entità della somma pretesa – esigua rispetto agli ingenti debiti contratti dal medesimo e concernente obbligazioni l’inadempimento delle quali avrebbe determinato unicamente la interruzione della copertura assicurativa – ma unicamente perchè si inseriva in una grave situazione debitoria connessa all’esercizio della attività commerciale ed alla quale risultava del tutto estranea la vittima, che gli aveva costantemente consentito dilazioni dei pagamenti.

La Corte di assise di Appello ha affermato che appariva evidente che la concreta situazione sopra delineata non era assolutamente ascrivibile al V., il quale in passato aveva più volte anticipato gli importi delle rate delle polizze assicurative scadute, rimborsati poi gradualmente dall’imputato, e reclamava legittimamente i pagamenti a causa della perdurante insolvenza del debitore e delle negative vicende riguardanti la ditta "Macelleria 2C" gestita dallo stesso e di recente ceduta alla moglie, cui era stata attribuita la carica di amministratore della nuova società denominata "La bottega dei sapori s.r.L". Il C., confidando sulla tolleranza in precedenza mostrata dai titolari della agenzia di assicurazioni, pretendeva che il V. gli accordasse una ulteriore dilazione per il pagamento delle polizze, che non era in grado di effettuare a causa delle sue precarie condizioni economiche, ma la ripetute sollecitazioni del creditore, pienamente giustificate dal dissesto finanziario che aveva addirittura determinato la recente cessione della attività commerciale alla moglie A.I. e la modifica della denominazione sociale della ditta, e la simultanea manifestazione dell’intento di informare il cognato affinchè garantisse il pagamento dei debiti, come era già accaduto altre volte in passato, suscitarono notevole risentimento nel medesimo, che decise di avversare tale condotta, costituente non già la vera causale ma mera occasione della azione criminosa, mediante la uccisione del V., considerata come uno stratagemma per preservarsi da eventuali iniziative dello stesso e procrastinare l’adempimento dei debiti assicurativi che erano stati evidentemente celati ai congiunti.

Il contenuto di tale motivazione evidenzia l’infondatezza del motivo contenuto nel ricorso presentato in data 26.1.2010 con cui si denuncia lo spostamento della valutazione dei giudici di merito dalla causale psicologica dell’azione dell’imputato a valutazioni tutte incentrate sull’agire della vittima, con la sottolineatura della sua estraneità a condotte provocatorie e violente finalizzate ad ottenere l’adempimento del credito.

Ugualmente infondato risulta il motivo contenuto nel ricorso del 29.1.2010 con cui si denuncia la violazione del giudicato progressivo, per aver dato la Corte di assise di Appello per accertata una versione dei fatti in cui viene mitigato il comportamento oppressivo del V. nei giorni precedenti l’omicidio. Al contrario la Corte di rinvio non si è discostata dalle risultanze probatorie e dai fatti accertati nelle precedenti fasi del procedimento, ma ha attribuito all’esistenza dell’indebitamento del C. con il V. ed alle richieste di adempimento formulate da quest’ultimo, il rilievo causale indicato proprio nella sentenza di annullamento, riconducendo nella dimensione di semplice occasionalità dell’agire dell’imputato l’esistenza del debito con il V. e le sue richieste di pagamento, attenendosi così pienamente al principio enunciato dai giudici nella sentenza di annullamento.

Non vi è stato alcun ridimensionamento o attenuazione della condotta del V. in quanto costituiscono circostanze processualmente accertate che il V. abbia richiesto legittimamente il pagamento dei suoi crediti, con atteggiamento comunque tollerante,in linea con quanto aveva sempre fatto in passato, avendo questi sempre consentito il ritardo dei pagamento dei premi delle polizze assicurative da parte del C..

Deve osservarsi che in relazione alla condotta tenuta dal V. dei giorni precedenti il suo omicidio, sia nel ricorso datato 26.1.2010 che in quello datato 29.1.2010, mentre apparentemente si deduce una difetto di illogicità e contraddittorietà della motivazione, in realtà di sollecita una rilettura diversa della risultanze probatorie, rilettura non consentita in questo giudizio di legittimità. Infatti nel ricorso del 26.1.2010 si sollecita a questa Corte una rivisitazione non consentita delle fasi precedenti l’uccisione del V., chiedendo l’attribuzione di un rilievo diverso da quello già dato dai giudici di merito al morso all’interno del braccio sinistro ed ai tagli riportati alla mano sinistra del C., la rivalutazione della testimonianza del trasportatore B., la valutazione della situazione debitoria del C. nei confronti del V. come "grave" al limite dell’usura, una diversa valutazione della deposizione della moglie del C. in relazione ad una presunta azione violenta del V., che secondo la difesa del ricorrente, qualche giorno prima dell’omicidio, avrebbe stretto i testicoli dell’imputato.

Analogamente nel ricorso datato 29.1.2010 si richiede una diversa valutazione di elementi di fatto fra cui ancora viene ritenuto di rilevanza particolare, ai fini del comportamento vessatorio tenuto dal V. nei giorni precedenti l’omicidio, sempre l’episodio di un presunto stringimento dei testicoli dell’imputato da parte della vittima, con conseguente rilettura della testimonianza sul punto della moglie della vittima, la diversa valutazione delle S.I dei testi T., L., S. e Z., allegate in copia al ricorso. Si ricorda che al giudice di legittimità è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito,quando questi risultano logici e congruamente motivati. Nel caso di specie i giudici di merito ha ritenuto in base alla risultanze contabili che la situazione debitoria del C. nei confronti del V. era legata al mancato pagamento dei premi di alcune polizze assicurative, che spesso il C. pagava in ritardo, essendo stato accertato il comportamento tollerante su tali ritardi da parte del V..

E’ stata esclusa con certezza la sussistenza di un tasso creditorio usuraio. Dalle testimonianze della moglie del Ca. e di quella del – V. e da tutto il restante materiale probatorio è stato escluso un comportamento particolarmente pressante del V. per la restituzione dei suoi debiti. In ordine all’episodio ritenuto di particolare rilevanza dalla difesa del ricorrente, a cui sono state dedicate le pagine 3,4,5,6,e 7 del ricorso del 29.1.2010,in relazione alla presunta violenza perpetrata dal V. con lo stringimento dei testicoli del C., i giudici di merito hanno ritenuto del tutto sfornito di prova il verificarsi di tale episodio, non riferito da nessuna delle persone ascoltate nel procedimento, in quanto si sarebbe verificato quando i due erano soli e sul quale vi è una deposizione contrastante addirittura fra il C. e la di lui moglie. Quest’ultima,non avendo assistito al presunto episodio di violenza riferisce solo una frase forse riconducibile a tale episodio che sarebbe stata pronunciata dal marito, frase che al contrario il C. stesso non riferisce di aver pronunciato. Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento; mentre il suo tentativo di screditare la solidità del quadro probatorio si risolve, per questo profilo del ricorso,nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di cassazione.

Deve osservarsi che contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente,i giudici di rinvio erano comunque tenuti a valutare il comportamento tenuto dalla vittima in quanto gli stessi giudici nella sentenza di annullamento hanno indicato che la macroscopica inadeguatezza del movente (definibile come "lieve" o "banale") a sostenere la condotta delittuosa, apprezzabile secondo il comune sentire, doveva essere rapportato alla concretezza della vicenda.

Questo perchè,come affermato dai giudici di legittimità (Sez 1^, Sentenza n. 29377 del 08/05/2009) – la circostanza aggravante dei motivi futili, di cui all’art. 61 c.p., n. 1, sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.

Secondo l’accertamento dei giudici del rinvio,la legittima condotta del V. che aveva semplicemente richiesto il pagamento dei suoi crediti, ha scatenato una reazione non proporzionale ed una violenza fuori dal comune da parte del C., manifestatasi con l’uccisione del V., azione oggettivamente sproporzionata rispetto alle circostanze concrete,tenendo anche conto delle orribili e cruente modalità con cui l’imputato ha deciso di disfarsi del corpo dell’ucciso.

I giudici di rinvio, contrariamente a quanto denunziato nei motivi di ricorso, non hanno spostato la loro valutazione sulla condotta della vittima al di là dei limiti fissati nella sentenza di annullamento,ma al contrario hanno individuato il movente futile proprio analizzando la sfera soggettiva dell’imputato e le motivazioni del suo agire, evidenziando uno stato di stress dovuto alla situazione debitoria generale in cui l’imputato si era trovato a causa della sua attività commerciale ed alla preoccupazione della brutta figura che egli avrebbe fatto con il cognato, che più volte lo aveva soccorso, avendo il V. manifestato la sua volontà di informare il congiunto affinchè garantisse il pagamento dei debiti, come era già accaduto altre volte in passato.

E’ certo che corrisponde al comune sentire la futilità e la indaguatezza di tale movente rispetto alla barbara uccisione del V. ed alla cruenta violenza perpetrata sul cadavere, fatto a pezzi e nascosto nel frigorifero della macelleria, mentre la testa veniva buttata nella spazzatura.

Infatti il sentimento di vergogna provato dal C. nell’apprendere che il cognato sarebbe stato informato della sua situazione debitoria, unitamente allo stress provocato dal pessimo stato della sua attività commerciale con la conseguente risoluzione di uccidere per eliminare il problema,è un sentimento di nessun valore sotto il profilo morale, che la coscienza collettiva avverte come assolutamente sproporzionati a fronte delle conseguenze provocate. Non viene sentito come moralmente apprezzabile di tutela il sentimento di chi, dopo aver condotto un’attività commerciale in modo così poco accorto e spregiudicato da trovarsi pieno di debiti, si vergogna di rendere noto tale stato ai familiari, familiari che già in passato avevano comunque dimostrato di essere disposti all’aiuto finanziario, e riversa lo stato di stress da ciò derivante su uno dei creditori che legittimamente chiede il pagamento dei suoi debiti accadimento scatenante, oggettivamente banale, preso a pretesto dall’agente per estrinsecare la propria caratteriale aggressività.

Contrariamente a quanto dedotto nei motivi di ricorso siamo in presenza di una motivazione del tutto logica e coerente ed in linea con il principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento che del resto si rifà alla consolidata elaborazione giurisprudenziale in argomento, secondo cui "il motivo è futile quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l’azione commessa" (così Cass., sez. 1^, sentenza n. 4819 del 17/12/1998 – 16/4/1999, rv. 213378, ric. Casile G, nonchè ex multis Cass. Sez. 1^, sentenza n. 10414 del 09/1/2002 – 12/03/2002, rv. 221468 ric. Amendola ed altro. Infondati sono i motivi di ricorso con cui si contesta il diniego delle attenuanti generiche.

Infatti i giudici di merito hanno ritenuto che il diniego delle attenuanti generiche risultava pienamente giustificato dalla eccezionale obiettiva gravità dell’episodio criminoso, risultante dalle circostanze e dalle efferate modalità del fatto, e dalla notevole capacità a delinquere dell’imputato, desunta anche dal comportamento contemporaneo e susseguente alla barbara uccisione del V., che denota assoluta mancanza di resipiscenza, atteso che tali elementi assumono rilievo determinante nella complessiva valutazione oggettiva e soggettiva della fattispecie laddove hanno un valore meramente marginale la incensuratezza e la regolare condotta carceraria, caratterizzata da assiduo impegno nell’attività di lavoro e nello studio e da rapporti di correttezza con il personale di custodia. Tale motivazione tiene conto di tutti i parametri di cui all’art. 133 c.p., mettendo in evidenza, con motivazione logica e non contraddittoria, che l’oggettiva gravità dell’episodio criminoso connotato da modalità di esecuzione efferate, è sintomo di una capacità criminale non comune e di una crudeltà e mancanza di pietà e di rispetto nei confronti del cadavere dell’ucciso, che giustamente hanno portato i giudici a negare la concessione delle attenuanti generiche. Nessun rilievo in ordine ai parametri di cui all’art. 133 c.p., e l’offerta non accettata di risarcimento.

Con il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio per il delitto di occultamento di cadavere,la difesa del ricorrente lamenta la mancata indicazione dei criteri sulla determinazione della pena e la circostanza che i giudici non abbiano tenuto conto del fatto che il C. nella immediatezza abbia consentito alla polizia Giudiziaria di ritrovare la testa della vittima,elidendo volontariamente in tal modo le conseguenze del reato. Il motivo è manifestamente infondato.

Infatti la condotta del C., che secondo la difesa avrebbe aiutato al ritrovamento della testa del cadavere, non elide in alcun modo le conseguenza del reato, in quanto il corpo fu rinvenuto a seguito di indagini dalla polizia giudiziaria nel frigorifero della macelleria, senza alcun intervento dell’imputato. L’aumento di anni due per il reato di occultamento di cadavere posto in continuazione con l’omicidio è conforme ai criteri di legge, alla gravità del fatto messa in evidenza nelle sentenze di merito, ed alle previsione dell’art. 72 c.p.. Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento,nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.800,00 per onorario oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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