T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 02-02-2011, n. 974 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La P.U.I. s.p.a. ha partecipato alla licitazione privata indetta dalla A. per l’affidamento dei lavori di ripristino dei giunti di dilatazione, sostituzione degli appoggi e adeguamento antisismico dei viadotti tra i KM 77+800 e 104+200 della autostrada A19 Palermo- Catania, la cui lettera di invito è stata inviata il 342003.

A seguito della valutazione delle offerte risultava aggiudicatario provvisorio il raggruppamento formato dalla società Tecniche Idrauliche Stradali quale capogruppo e da Tensacciai s.p.a. e Tecnolavori s.r.l. quali mandanti.

Avverso il provvedimento di aggiudicazione provvisoria la P.U.I. s.p.a. ha proposto ricorso davanti a questo Tribunale che respingeva il ricorso. A seguito dell’appello proposto dalla P. è stata accolta la impugnazione con la sentenza del Consiglio di Stato n° 7034 del 2005 per il motivo relativo alla mancata giustificazione del 75% dell’importo a base d’asta, come previsto dall’art 21 comma 1 bis della legge n° 109 del 1994.

Peraltro, nel frattempo, i lavori oggetto dalla gara erano stati realizzati.

Pertanto, con il presente ricorso la P.U.I., seconda graduata nella procedura di gara, ha proposto domanda di risarcimento danni, quantificandoli nel 10% dell’importo a base d’asta; ha richiesto, altresì, le spese sostenute per la partecipazione alla gara e il danno da mancata qualificazione.

Si è costituita l’A., a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, contestando la fondatezza della domanda di risarcimento danni per la mancanza degli elementi costitutivi del danno e comunque la eccessiva quantificazione delle voci di danno.

All’udienza pubblica del 15122010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è in parte fondato.

La P., infatti, era la seconda classificata, con offerta non anomala, e, quindi, a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione alla prima classificata per un motivo relativo alla mancata presentazione delle giustificazioni per l’intero valore richiesto dall’art 21 comma 1 bis della legge n° 109 del 1994 (75%), la P. sarebbe stata dunque la prima classificata alla quale avrebbe dovuto essere aggiudicata la gara.

In presenza di tale illegittimità della procedura di gara accertata dal giudice amministrativo, si deve, dunque, esaminare se sussistono gli altri elementi costitutivi del fatto illecito della pubblica amministrazione.

Come è noto, infatti, il risarcimento del danno derivante da lesione di interesse legittimo, a carico della Pubblica amministrazione, non costituisce un semplice effetto automatico dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, richiedendo esso la verifica positiva di specifici requisiti, quali l’accertamento dell’imputabilità dell’evento dannoso alla responsabilità dell’Amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale ingiusto, il nesso causale tra l’illecito compiuto e il danno subito, e una condotta dell’Amministrazione caratterizzata dalla colpa (Consiglio Stato, sez. IV, 03 agosto 2010, n. 5160).

Nel caso di specie, si sono realizzati la condotta dell’Amministrazione e il nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente sulla stazione appaltante e il danno subito dai soggetti lesi. La aggiudicazione illegittima ha, infatti, comportato la mancata aggiudicazione alla P. con conseguente verificarsi del danno, consistito appunto nella mancata aggiudicazione.

Quanto all’elemento soggettivo, ritiene il Collegio che la colpa sia costituita dalla violazione di legge, in particolare dalla violazione dell’art 21 comma 1 bis della legge n° 109 del 1994, che prevede, nella seconda parte, che le offerte debbano essere corredate, fin dalla loro presentazione, da giustificazioni relativamente alle voci di prezzo più significative, indicate nel bando di gara o nella lettera d’invito, che concorrono a formare un importo non inferiore al 75 per cento di quello posto a base d’asta.

In presenza, infatti, di una norma puntuale non osservata si deve ritenere configurata la colpa della amministrazione.

A tal fine si deve ricordare che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha di recente affermato che la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, la quale subordini il diritto a ottenere un risarcimento, a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici, da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata (Corte giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, n. 314) L’argomentazione della Corte si basa sull’art. 1, n. 1, della direttiva 89/665 che impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire l’esistenza di procedure di ricorso efficaci e, in particolare, quanto più rapide possibile contro le decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici che abbiano "violato" il diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o le norme nazionali di trasposizione di quest’ultimo. Il terzo "considerando" della citata direttiva sottolinea, per parte sua, la necessità che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di "violazione" del diritto o delle norme suddetti. Per quanto riguarda, in particolare, il mezzo di ricorso inteso ad ottenere il risarcimento dei danni, l’art. 2, n. 1, lett. c), della direttiva 89/665 stabilisce che gli Stati membri fanno sì che i provvedimenti presi ai fini dei ricorsi di cui all’art. 1 della medesima direttiva prevedano i poteri che permettano di accordare tale risarcimento ai soggetti lesi da una violazione.

Tale argomentazione deve ritenersi rafforzata in relazione alla direttiva n° 66 del 2007, a cui è stata data attuazione con il d.lgs n° 53 del 2010, che assicura un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, contro le violazioni del diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o delle norme nazionali che lo recepiscono; tra le misure specifiche indica il risarcimento danni ai soggetti lesi dalla violazione.

In ogni caso, anche la giurisprudenza nazionale ritiene che la mancanza di colpa sia configurabile solo nelle ipotesi che si possano ricondurre all’errore scusabile, ovvero ai mutamenti di orientamenti giurisprudenziali, alla particolare complessità delle situazioni di fatto (cfr. di recente Consiglio di stato, sez. V, 13 aprile 2010, n. 2029, per cui la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente all’annullamento giurisdizionale di provvedimenti illegittimi dev’essere inserita nel sistema dell’accertamento dell’illecito extracontrattuale delineato dagli artt. 2043 ss. cod. civ., alla stregua del quale l’imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell’illegittimità del provvedimento. Quali parametri valutativi dell’elemento soggettivo vengono indicati il grado di chiarezza e precisione della norma violata, la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità della medesima questione, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni).

Pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.

Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della p.a. (Cds 9 marzo 2007 n. 1114 e 9 giugno 2008 n. 2751).

Nel caso di specie, non sussiste alcuna delle ipotesi individuate dalla giurisprudenza come errore scusabile.

Né si può ritenere rilevante la circostanza che il provvedimento della stazione appaltante sia stato ritenuto legittimo dal giudice di primo grado. Il Consiglio di Stato si è già pronunciato nel senso che in questa ipotesi non si può ritenere di per sé verificato l’errore scusabile. La circostanza che il giudice di primo grado abbia dato ragione all’amministrazione con decisione poi ribaltata in appello, non esclude la colpa, sia perché non appare ragionevole dare rilevanza, al fine dell’accertamento dell’elemento soggettivo, ad un fatto successivo rispetto a quello che ha generato l’illecito, sia perché, aderendo ad una simile impostazione, la sussistenza della colpa sarebbe ravvisabile solo nelle ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi di giudizio, finendo così il giudizio di primo grado per essere quello decisivo.(Cds 3144 del 2009)

Quanto alle voci di danno richieste dalla società ricorrente, non tutta la domanda risarcitoria può essere accolta.

Non spettano le spese di partecipazione alla gara. La giurisprudenza è costante nel ritenere che le spese di partecipazione alla gara non spettino nel caso di domanda di risarcimento danni per mancata aggiudicazione.

La società avrebbe, comunque, sostenuto tali spese anche in caso di aggiudicazione. Nel caso in cui una impresa lamenti la mancata aggiudicazione di un appalto, non può reclamare il risarcimento del pregiudizio risentito per effetto dell’atto impugnato con riferimento ai sostenuti costi di partecipazione alla gara in quanto la partecipazione ad una gara di appalto implica dei costi che, ordinariamente, restano a carico dei soggetti che abbiano inteso prendere parte alla procedura di selezione, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione; tali costi di partecipazione acquisiscono connotazione di danno emergente solo qualora un’impresa subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 23 marzo 2010, n. 4555; Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751).)

Nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione (o per la perdita della possibilità di aggiudicazione) non vi sono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione alla gara, atteso che mediante il risarcimento non può farsi conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione (Consiglio Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144).

La società ricorrente quantifica poi il danno da mancata aggiudicazione nel dieci per cento dell’importo dell’appalto. Tale quantificazione non può essere accolta.

A partire dal 2008 la giurisprudenza del Consiglio di Stato si è orientata nel senso che tale quantificazione forfettaria non sia accoglibile, comportando un indebito arricchimento della impresa ricorrente. Infatti, l’utile che le imprese traggono dall’ aggiudicazione dell’appalto è molto inferiore a tale percentuale. Pertanto, si è fatto riferimento all’utile indicato nell’offerta.

Il criterio del dieci per cento è desunto da alcune disposizioni in tema di lavori pubblici, che riguardano però altri istituti, come l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’amministrazione committente o la determinazione del prezzo a base d’asta.

Tale riferimento, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale.

Appare preferibile l’indirizzo minoritario che fa riferimento alla percentuale di utile effettivo che l’impresa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto; prova desumibile dalla offerta economica presentata al seggio di gara (Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967; C.d.S sez. V, 06 aprile 2009, n. 2143).

La società ricorrente richiede altresì il danno da mancata qualificazione.

Tale danno deve essere riconosciuto, in relazione alla circostanza che la partecipazione all’appalto comporta ulteriori acquisizioni professionali non solo in generale, ma anche con riguardo allo specifico sistema di qualificazione che vige per gli appalti pubblici.

Il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico, anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante, è fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e quindi la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti. Deve ritenersi risarcibile il c.d. "danno curriculare", che consiste nel pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del "curriculum" professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto sfumato a causa del comportamento illegittimo dell’Amministrazione (Consiglio Stato, sez. VI, 09 giugno 2008, n. 2751; n° 3144 del 2009).

Il Collegio ritiene di far applicazione del potere attribuito dall’art 34 comma 4 del d.lgs. n° 104 del 2010, condannando l’amministrazione a fare alla società ricorrente una proposta di una somma a titolo di risarcimento nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della presente sentenza o dalla comunicazione se anteriore. Il danno da mancata aggiudicazione deve essere pari all’utile che l’impresa ha dichiarato nella offerta; il danno da mancata qualificazione in via equitativa deve essere commisurato ad una percentuale pari al dieci per cento del danno da mancata aggiudicazione come sopra indicato. Gli interessi, nella misura legale, devono essere calcolati dalla data della notifica del ricorso al soddisfo, secondo quanto richiesto dalla società ricorrente.

In considerazione della parziale soccombenza della società ricorrente e della complessità delle questioni, sussistono giusti motivi e per la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto condanna l’A., ai sensi dell’art 34 comma 4 del d.lgs. n° 104 del 2010 a proporre alla società ricorrente il pagamento di una somma determinata secondo i criteri di cui in motivazione.

Spese compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *