Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 6000 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Napoli, in riforma della decisione 27 marzo 2002 del Tribunale, con sentenza del 13 maggio 2004 ha determinato l’indennità dovuta dal Consorzio Quarto Pozzuoli a S.P. e S.R., quali genitori esercenti la patria potestà sui figli minori Al. ed P.A., per l’occupazione temporanea di un loro terreno a decorrere dall’aprile 1991 fino alla data della decisione in Euro 6.931,88, osservando che essendo la stessa tuttora in corso per le numerose proroghe legislative intervenute, e non essendo pronunciato il decreto di esproprio, l’indennizzo andava calcolato nella misura degli interessi legali sull’indennità virtuale di espropriazione stimata con il meccanismo indicato nell’art. 13 della Legge del 1889 c.d. di Napoli, così come previsto dalla L. n. 219 del 1981, art. 80.

Per la cassazione della sentenza il P. e la S. hanno proposto ricorso per 3 motivi; cui resiste il Consorzio Quarto Pozzuoli con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 38, si dolgono che la sentenza abbia determinato l’indennità virtuale di espropriazione con i criterio di cui all’art. 13 della Legge di Napoli, piuttosto che in base a quelle del T.U. che fanno riferimento al valore del fabbricato; e senza peraltro aggiungervi il valore dei fitti coacervati e quello del reddito dominicale.

Con il secondo censura la sentenza per non aver considerato prevalente il valore del terreno da stimarsi in base alle possibilità effettive di edificazione; ed averne sottovalutato il prezzo di mercato.

Con il terzo,deducendo violazione della L. n. 385 del 1980, art. 2 e art. 50 D.P.R., si duole del criterio di calcolo utilizzato per la stima dell’indennità di occupazione, per la quale invece andava applicato quello più favorevole previsto dall’una o dall’altra di dette norme.

Il ricorso è parte inammissibile e parte infondato: inammissibile laddove si è limitato a censurare genericamente gli elementi presi in considerazione dalla Corte di appello per determinare il valore venale del fabbricato trasformando la doglianza in un’altrettanto generica istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; il quale ha d’altra parte puntualmente indicato gli elementi analiticamente considerati e valutati nella loro convergenza per accertarne il prezzo in comune commercio.

Ma la doglianza è infondata laddove invoca le disposizioni del T.U. sulle espropriazioni introdotte dal D.P.R. n. 327 del 2001, senza considerare il comma 1 del menzionato art. 57 il quale dispone che "Le disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. In tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data": non lasciando all’interprete la possibilità di utilizzare un criterio ermeneutico diverso dal mero riscontro temporale in ordine alla data del progetto contenente la dichiarazione di p.u.. Con la conseguenza che qualora il progetto sia,come nel caso concreto antecedente alla data di entrata in vigore del T.U. (per essere stato approvato con Delib. G.M. 4 febbraio 1999), le disposizioni del T.U. contenute negli artt. 1, 38 e 50 invocate dai ricorrenti risultano comunque: inapplicabili (Cass. 18239/2005; sez. un. 5414/2004; 19218/2003).

Nessun dubbio vi può essere poi sulla antecedenza della dichiarazione di p.u. rispetto al 30 giugno 2003, che è la data di entrata in vigore del T.U., avendo gli stessi ricorrenti dedotto che il decreto di occupazione del loro fabbricato – che necessariamente la presuppone, posto che in mancanza il provvedimento sarebbe affetto da invalidità derivata – è stato adottato nel 1991; e che quindi la stima dell’indennità di occupazione era soggetta alla normativa della L. n. 219 del 1981, art. 80, L. n. 2892 del 1895, artt. 12 e 13 (Cass. sez. un. 5265/2008; 462 e 388/2000).

Gli stessi ricorrenti,infine hanno lamentato nel corso dell’intero giudizio che il decreto di occupazione ha avuto per oggetto una parte del loro fabbricato; per cui, per quanto riguarda il cespite suddetto l’indennizzo non poteva che essere calcolato con riferimento al criterio riguardante i fabbricati e non già secondo asseriti parametri più convenienti per i proprietari: da un lato,infatti le disposizioni della L. n. 2359 del 1865, art. 39 e della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, impongono che l’immobile deve essere individuato e stimato nelle condizioni di fatto ed in quelle di diritto, nonchè nello stato di consistenza, che lo caratterizzavano all’epoca del provvedimento ablatorio (nel caso, anno 1991): e perciò senza tener conto di quelle antecedenti,nè tanto meno delle possibili ricostruzioni che avrebbe potuto subire ove fosse rimasto nella disponibilità del proprietario. E dall’altro, una volta realizzata la costruzione, il suolo in essa incorporato perde la propria individualità in quanto a questa connesso, e costituente parte integrante di un tutto che non può sussistere senza di esso e non è, quindi, separatamente valutabile (fatta eccezione per l’ipotesi di proprietà-superficiaria). Per cui, essendosi in presenza di una ben determinata opera edilizia,avente un proprio valore ed un proprio regime giuridico, in cui anche il suolo sottostante è compreso,tale cosa composta inglobante l’area fruisce inscindibilmente del criterio indennitario collegato al suo complessivo valore di mercato (Cfr.

Cass. 12651/2002; 9372/2005; 5528/2006).

Unica eccezione a tali principi, nel caso correttamente applicati dalla Corte di appello, è quella qui non ricorrente in cui il fabbricato risulti privo di autonomia funzionale o abbia scarsa consistenza economica rispetto al suolo, oppure sia in condizioni talmente fatiscenti da consigliarne la demolizione (Cass. 21638/2005;

13001/2005; 6091/2004).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del Consorzio in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorario di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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