Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 5999 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Napoli ha determinato l’indennità dovuta dal comune di Ischia ad A. e V.M. per l’avvenuta espropriazione con decreto sindacale del 12 novembre 1985, di un terreno di loro proprietà ubicato in quel comune onde realizzare un parco pubblico, nella misura di L. 46.485.482, osservando: a) che il fondo espropriato ricadeva interamente in zona F2 del P.R.G. comunale destinata a verde pubblico attrezzato ove era preclusa l’edificazione; b) che tuttavia la destinazione suddetta non escludeva di per sè l’iniziativa privata per realizzare le tipologie di costruzioni da essa previste (campi da gioco, attrezzature per anziani ecc.) sicchè all’immobile doveva essere attribuito un valore venale che tenesse conto di tale pur ridotta suscettività edificatoria; e l’indennità doveva essere stimata con il criterio di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 2, senza applicare la riduzione del 40%.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto autonomi ricorsi, dapprima A. e V.M., poi V.E., tutti per 4 motivi; cui resiste il comune di Ischia con controricorso, con il quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale per un motivo.
Motivi della decisione

2. I ricorsi vanno, anzitutto riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., perchè proposti contro la medesima sentenza.

3. Con i primi due motivi di quello principale, V. deducendo violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, artt. 2727 e 2729 cod. civ., nonchè difetti di motivazione,addebitano alla sentenza impugnata: a) di avere qualificato il vincolo apposto al loro terreno conformativo e non espropriativo, anche per il fatto che era stato il solo immobile espropriato onde realizzare l’opera pubblica (la circostanza avrebbe dovuto essere accertata dalla c.t.u.); b) di avere poi attribuito al fondo una modesta edificabilità tenendo erroneamente conto del vincolo suddetto e non del valore di mercato delle aree delle zone contigue residenziali; peraltro ricavato da un valore dichiarato in un solo atto di compravendita.

Per converso il comune di Ischia con il ricorso incidentale,deducendo violazione del medesimo art. 5 bis e della L. n. 865 del 1971, art. 15, e segg., si duole che la decisione dopo aver accertato la natura non edificabile del fondo espropriato, gli abbia illogicamente attribuito un sia pur modesto valore edificatorio, riproponendo un tertium genus escluso dalla giurisprudenza di questa Corte.

4. Il Collegio ritiene fondata quest’ultima censura e che debbano essere disattese quelle della controparte.

La Corte di appello ha accertato, ed i V. confermato, che il terreno all’epoca del decreto di esproprio, era incluso dal vigente P.R.G. del comune in zona F2 destinata a verde pubblico ed attrezzature pubbliche (campi fa gioco, attrezzature per anziani ecc.).

Ha perciò correttamente applicato i principi del tutto consolidati nella giurisprudenza di questa Corte,per i quali: A) Un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata ai momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale: perciò escludendosi le possibilità legali di edificazione tutte le volte in cui la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia. (Da ultimo: Cass. 665/2010; 400/2010;

21396/2009; 21095/2009; 17995/2009); B) In questi casi per rendere edificatorio il terreno non è sufficiente che l’intervento pubblico sia realizzabile in linea astratta anche ad iniziativa privata:

dovendo ciò essere il risultato di una scelta di politica programmatoria ricorrente solo quando gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l’iniziativa economica privata – pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento"; e perciò devolvendosi esclusivamente a ciascuno strumento urbanistico il potere di stabilire se, per quali categorie di opere ed in quali zone le stesse possano venire realizzate "anche attraverso l’iniziativa economica privata" (Cass. 2605/2010 cit.; 21095/2009;

5616/2007; 15389/2007).

5. In questa situazione in cui l’edificabilità del terreno è da escludere in radice per essere la zona in cui sono ubicati vincolata a destinazioni ed utilizzazioni soltanto pubblicistiche è fuor di luogo invocare il principio giurisprudenziale (Cass. sez. un. 172/2001 e succ.) che l’edificabilità non comprende soltanto quella residenziale, ma anche tutte le trasformazioni del suolo riconducibili alla nozione tecnica ed economica di edificazione:

essendo lo stesso rivolto non già ad attribuire per altra via, natura egualmente edificatoria ad aree in relazione alle quali lo strumento urbanistico esclude tale qualità, ma soltanto ad enucleare le possibili tipologie in cui detta destinazione si traduce allorchè da esso riconosciuta e consentita, nonchè ad evidenziarne la diversa edificabilità di fatto e, quindi, il maggiore o minore valore degli immobili in funzione del tipo di costruzioni consentite (Cass. 10343/2005; 11729/2003; 10073/2003). Sicchè non vale invocare al riguardo la precedente Cass. 3930/1992, non solo perchè antecedente ai sistema introdotto dall’art. 5 bis, ma anche perchè rivolta ad enunciare il principio,tuttora condivisibile, che allorquando venga accertata la destinazione (allora non legale, ma di fatto) edificatoria del terreno, la vocazione suddetta non può essere esclusa dalla circostanza che il proprietario abbia destinato il fondo medesimo a parco o pineta, e comunque che non gli abbia attribuito una attuale utilizzazione edificatoria.

6. E tuttavia dopo l’esatta ricognizione legale compiuta, la Corte di appello non ne ha tratto le conseguenze per la concreta determinazione dell’indennizzo,calcolato con il criterio previsto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2, per le aree edificatorie, sul presupposto che al fondo espropriato non potesse negarsi una sia pur ridotta edificabilità quale quella stabilita per la costruzione di parchi ed attrezzature per lo sport: senza considerare che non è sostenibile soprattutto a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 261 del 1997, la esistenza di un "tertium genus", oltre quelli delle aree edificabili e delle aree agricole, essendo lo stesso escluso da una scelta legislativa netta ed inequivocabile che secondo la Consulta non presenta caratteri di irragionevolezza o di arbitrarietà e neppure pregiudica di per se il serio ed effettivo ristoro garantito dall’art. 42 Cost., al proprietario espropriato (Cass. 17672/2009;

18314/2007; Corte Cost. 261/1997).

Doveva pertanto, nel caso, trovare applicazione dell’art. 5 bis, comma 4, menzionato per cui per le aree non edificabili l’indennità si determina applicando le norme di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16, sulla base del valore agrario medio per tipologie di colture, senza possibilità di sostituendo arbitrariamente le "tabelle" formate dalle commissioni amministrative previste dalla legge al riguardo con il valore venale del bene ancorato al suo (asserito) prezzo di mercato.

7. Fondato è infine anche il terzo motivo del ricorso principale, con il quale i V. deducendo violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 40, censurano la sentenza impugnata per non aver compreso nell’indennizzo una porzione di terreno residua estesa mq. 1650 rimasta interclusa e priva di qualsiasi possibilità di utilizzazione.

Questa infatti, ha respinto analoga richiesta dei proprietari osservando che mancava la prova sia della sussistenza di un’espropriazione parziale, sia della consistenza e della possibilità di individuare lo stesso fondo residuo in quanto i V. avevano subito diverse espropriazioni cui erano seguiti diversi giudizi di opposizione alla stima, uno dei quali definito dalla sentenza 1696/1988 della stessa Corte comprendeva l’area suddetta.

Sennonchè, la stessa Corte di appello ha riferito che l’espropriazione avvenuta nel 1985 non aveva interessato l’intero fondo V., ma soltanto un’area di mq. 3152 della part. 380 ed altra area di mq. 360 della part. 513; mentre i proprietari hanno riportato l’accertamento compiuto dal c.t.u. e non contestato da alcuna delle parti che in conseguenza di detta espropriazione era loro residuata una superficie complessivamente estesa non meno di mq.

1650; per cui a fronte di dette risultanze la sentenza impugnata ancor prima di stabilire se e quali porzioni di terreno avessero subito ulteriori espropriazioni doveva accertare: a) se all’epoca del decreto ablativo si era verificata una espropriazione totale dell’immobile V., ovvero se la stessa aveva interessato, come riferito dalla stessa Corte di merito e sembra essere stato accertato dal c.t.u., soltanto una porzione del fondo: stabilendo in questo caso l’estensione della superficie residua allora rimasta ai proprietari; b) n quest’ultimo caso se la parte suddetta, e/o altre residue fossero intimamente collegate con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo tale da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale; c) e se il distacco di una parte di esso influisca oggettivamente in modo negativo sulla parte o sulle parti residue (Cass. 23967/2010; 10217/2009; 9041/2008;

3175/2008): posto che ricorrendo dette condizioni o quella dello smembramento dell’azienda agricola di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 15 (ove fosse accertata la destinazione non edificabile del terreno), l’indennità doveva essere determinata con il criterio della L. n. 2359 del 1865, art. 40. 8. Assorbite pertanto tutte le restanti censure,la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla stessa Corte di appello di Napoli che provvedere a nuova determinazione delle indennità dovute ai V. adeguandosi ai criteri esposti e provvedere alla liquidazione delle spese dei giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi,accoglie il terzo motivo del principale, nonchè l’incidentale ed assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.

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