Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 5991 Diritti politici e civili Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto del 28 febbraio 2007, la Corte d’Appello di Roma ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da C.C. nei confronti del Ministero della Giustizia per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in grado di appello in un giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli, in funzione di Giudice del lavoro, promosso dal Ministero dell’interno nei confronti dall’istante, ed avente ad oggetto l’opposizione all’esecuzione da quest’ultimo intrapresa per il pagamento di interessi e rivalutazione su prestazioni assistenziali corrisposte in ritardo.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato in secondo grado nell’anno 1996, si era concluso con sentenza del 14 maggio 2004, e ritenuto che la controversia non presentasse una particolare complessità, la Corte ha determinato la ragionevole durata del processo di appello in due anni, e, tenuto conto della natura della controversia e del suo limitato valore, nonchè dell’entità del ritardo, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in Euro 3.500.00, pari ad Euro 600.00 per ciascun anno di ritardo.

2. Avverso il predetto decreto il C. propone ricorso per cassazione, articolato in tredici motivi. Il Ministero resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Con il primo ed il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 e dell’art. 6, par. 1. della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha riconosciuto l’indennizzo soltanto per il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, anzichè per l’intera durata del giudizio presupposto, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

1.1. I motivi sono infondati.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), infatti, l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enuncialo dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma, come riconosciuto dalla stessa Corte EDU nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, non si pone neppure in contrasto con l’art. 6. par. 1. della CEDU in quanto non esclude la complessiva altitudine della L. n. 89 del 2001, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (cfr. Cass. Sez. 1^, 23 novembre 2010, n. 23654;

14 febbraio 2008. n. 3716).

2. – E’ parimenti infondato il secondo motivo, con cui il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, osservando che nella determinazione della durata ragionevole del processo la Corte d’Appello si e discostata dai criteri elaborati in riferimento alle controversie previdenziali, la cui durata è stata quantificala dalla giurisprudenza di legittimità in due anni per il giudizio di primo grado ed un anno e mezzo per quello di secondo grado e per quello di legittimità, avuto riguardo alla maggiore celerità imposta dall’esigenza di tutela dei soggetti più deboli.

2.1. – Nella determinazione della ragionevole durata del processo, la Corte d’Appello si è infatti attenuta ai criteri cronologici elaborati dalla Corte EDU alle cui sentenze, riguardanti l’interpretazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, deve peraltro riconoscersi, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, soltanto il valore di precedente, non rinvenendosi nel quadro delle Fonti dell’ordinamento interno meccanismi normativi che ne comportino la diretta vincolatività per il giudice italiano (cfr.

Cass. Sez. 1^ 19 novembre 2009, n. 24399: 11 luglio 2006, n. 15750).

La natura previdenziale della causa non è d’altronde sufficiente a giustificare l’applicazione di un termine ridotto di durata, in quanto la disciplina del processo del lavoro, applicabile a tali controversie, non comporta forme di organizzazione diverse, tali da differenziarne il corso in relazione all’oggetto del giudizio, e non impone quindi di fare riferimento a parametri diversi dagli standards comuni elaborati dalla Corte EDU e recepiti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, (cfr. Cass. Sez. 1^ 30 ottobre 2009, n. 23047, 24 settembre 2009, n. 20546).

3. Sono invece fondati il quarto ed il quinto motivo, con cui il ricorrerne deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’art. 6, par. 1, della CEDU e dei principi enunciati dalla Corte EDU, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui non si e attenuto agli standards europei nella quantificazione del danno non patrimoniale.

3.1 E’ pur vero, infatti, che, come ripetutamente affermato da questa Corte, il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione de ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.

E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattivi di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo. che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750.00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000.00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass. Sez. 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009. n. 21840).

Rispetto ai predetti parametri, la Corte d’Appello ha operato una riduzione, riconoscendo al ricorrente, in relazione all’accertato ritardo di cinque anni e dieci mesi nella definizione del giudizio di appello, un indennizzo complessivo di Euro 3.500.00, corrispondente ad un importo annuo di Euro 600.00. La motivazione addotta a fondamento di tale liquidazione, tuttavia, non appare esente da contraddizioni e lacune, avendo la Corte fatto espresso riferimento all’entità del ritardo, la cui consistenza avrebbe dovuto indurla alla liquidazione di un importo quanto meno pari a quelli minimi individuati dalla Corte l’EDU. ed al limitato valore della controversia, la cui considerazione avrebbe richiesto un giudizio di comparazione tra la natura e l’entità della pretesa patrimoniale azionata (c.d. posta in gioco) e la condizione economico-sociale del ricorrente, potendosi accertare in tal modo l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche di quest’ultimo, che consente al giudice di merito di discostarsi, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dai Giudici di Strasburgo (cfr. Cass. Sez. 1^ 24 luglio 2009 n. 17404: 2 novembre 2007. n. 23048).

4. – Sono invece infondati il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del bonis di Euro 2.000.00 dovuto in relazione alla natura de giudizio presupposto, avente ad oggetto un credito previdenziale.

4.1. – L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura giuslavoristica della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass. Sez. 1, 3 dicembre 2009, n. 25446: 29 luglio 2009. n. 17684): dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass. Sez. 1^ 28 gennaio 2010, n. 1893: 28 ottobre 2009. n. 22869).

5. – L’accoglimento, sia pure parziale, dell’impugnazione relativamente alla pronuncia sul merito, determinando l’automatica caducazione di quella accessoria relativa alle spese processuali, comporta invece l’assorbimento dei motivi dal nono al tredicesimo, con cui il ricorrente deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 dell’art. 6. par. 1, della CEDU e dell’art. 1 del relativo protocollo aggiuntivo, degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un l’atto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha liquidato le spese processuali in misura insufficiente rispetto agli standards europei e comunque non conforme alle tariffe professionali, omettendo di tener conto della natura contenziosa del procedimento e discostandosi dalla nota specifica da lui depositata, senza fornire alcuna motivazione.

6. Il decreto impugnato va pertanto cassato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, con il riconoscimento in favore del ricorrente di un indennizzo di Euro 5.050.00, pari all’importo risultante dall’applicazione dei parametri elaborati dalla Corte EDU, tenuto conto dell’entità del ritardo e dell’assenza di ulteriori elementi idonei a giustificare una modificazione in senso migliorativo o peggiorativo.

Sul predetto importo sono dovuti gl’interessi legali con decorrenza dalla domanda.

7. – L’esito complessivo del giudizio, contrassegnato dall’accoglimento solo parziale della domanda e dal limitato accoglimento dell’impugnazione, giustifica la condanna del Ministero, quale parte soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di merito e la dichiarazione di parziale compensazione di quelle del giudizio di legittimità, che per il residuo vanno poste a carico del Ministero, e si liquidano per la frazione come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere a C.C. la somma di Euro 5.050.00 a titolo di indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè le spese del giudizio di merito, che si liquidano in complessivi Euro 1.178.00, ivi compresi Euro 700.00 per onorario, Euro 378.00 per diritti ed Euro 100.00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario: condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della metà delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano per la quota in complessivi Euro 450.00, ivi compresi Euro 400.00 per onorario ed Euro 50.00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario, dichiarando compensata tra le parti la residua metà.

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