T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 02-02-2011, n. 227 Sanità Spedalità ordinarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 5/10/1990 il ricorrente, di professione medico chirurgo, otteneva dall’U.S.S.L. n. 32 l’autorizzazione sanitaria – emessa ai sensi dell’art. 193 del T.U.L.S. – per l’apertura di un ambulatorio medico dentistico nei locali di Via Matteotti n. 12 a Treviglio (doc. 2). Conseguito il titolo abilitativo, il 21/12/1990 il dott. B. perfezionava l’acquisto dei locali da destinare a studio professionale: si tratta di circa 60 metri quadrati con ingresso (unito a sala d’attesa), ripostiglio, piccolo studio, studio vero e proprio per la visita dei pazienti e la pratica delle terapie (10,12 mq.), ulteriore studio e ripostiglio, corridoio con disimpegno e servizio igienico. Detti ambienti, realizzati appunto nel 1990, non hanno di seguito subito ampliamenti o trasformazioni.

Dopo una visita ispettiva svolta nell’estate del 2005, il dott. B. veniva invitato ad eliminare le barriere architettoniche per accedere al servizio igienico e a realizzarne un secondo, creando così servizi distinti per utenti e personale. Dopo uno scambio di corrispondenza e l’invio di una relazione di parte del geom. Della Maggiora – attestante l’impossibilità tecnica di realizzare un’ulteriore toilette – con l’atto impugnato l’A.S.L. di Bergamo affermava tra l’altro che il bagno esistente "presenta dimensioni tali da essere reso accessibile alle persone fisicamente impedite" mentre però "il ripostiglio attualmente utilizzato per lo stoccaggio del materiale pulito, adiacente al bagno esistente, può essere convertito in bagno per il personale addetto con le dotazioni minime di un wc e di un lavabo". Pertanto diffidava il ricorrente all’immediato adeguamento agli standard strutturali previsti dal D.P.R. 14/1/1997.

Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione il ricorrente impugna il provvedimento in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 193 T.U.L.S. e del D.P.R. 14/1/1997, poiché già il Testo unico distingueva gli ambulatori e le altre strutture complesse dagli apparati sanitari semplici, mentre la L.r. 31/97 – nell’estendere l’obbligo di autorizzazione agli studi professionali – non afferma in alcun modo l’equiparazione degli stessi agli ambulatori;

b) Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 19/3/1956 n. 303 per tempo vigente, poiché la normativa in materia di igiene del lavoro si riferisce ad attività poste in essere da prestatori subordinati, ed il D.P.R. 14/1/1999 costituisce applicazione specifica della suddetta prescrizione generale per le strutture sanitarie.

Si è costituita in giudizio l’A.S.L. di Brescia, chiedendo la reiezione del gravame ed esponendo in punto di fatto che:

– in data 4/8/2005 il ricorrente era stato avvertito della necessità di realizzare un ulteriore servizio igienico ai sensi del D.P.R. 14/1/1997 e della circostanza che la successiva deliberazione della Giunta Regionale n. 38133/98 aveva fissato – per le strutture già esistenti – un termine quinquennale (che scadeva il 5/9/2003) per procedere all’adeguamento;

– il dott. B. non ha optato per il regime autorizzativo semplificato introdotto per la cd. attività odontoiatrica monospecialistica (AOM), ed ha preferito non presentare all’uopo istanza di "riclassificazione" ex D.G.R. 5274/2001;

– il termine per dotare l’ambulatorio di due servizi igienici era ampiamente scaduto, ed il Dipartimento di prevenzione ha ritenuto fattibile l’adeguamento agli standard di cui al D.P.R. 14/1/1997.

Con motivi aggiunti depositati il 5/5/2006 il ricorrente denuncia l’illegittimità dell’atto di diniego sull’istanza di revoca in autotutela della diffida, assunto dall’A.S.L. in data 11/4/2006. Espone le seguenti doglianze in diritto:

c) Illegittimità derivata dai vizi dell’atto di diffida;

d) Falsa applicazione dell’art. 8ter del D. Lgs. 30/12/1992 n. 502, poiché la norma dà implicitamente atto della distinzione tra studi professionali e strutture pubbliche e private;

e) Falsa applicazione della L.r. 31/97 e della L.r. 15/99, dato che la prima si limita a stabilire la necessità dell’autorizzazione e la seconda rinvia per gli studi professionali (anche odontoiatrici) ai requisiti fissati dalla legge statale, che non ha mai provveduto ad enunciarli.

Con ordinanza n. 850, adottata nella Camera di consiglio del 9/5/2006, la Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell’atto impugnato, valorizzando in particolare il periculum in mora.

Alla pubblica udienza del 27/1/2011 il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti venivano chiamati per la discussione e trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

Il gravame principale ed i motivi aggiunti sono infondati e devono essere respinti, per le ragioni di seguito precisate.

1. Parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 193 del T.U.L.S. e del D.P.R. 14/1/1997, poiché già il Testo unico distingueva gli ambulatori e le altre strutture complesse dagli apparati sanitari semplici, mentre la L.r. 31/97 – nell’estendere l’obbligo di autorizzazione agli studi professionali – non afferma in alcun modo l’equiparazione degli stessi agli ambulatori; sostiene in particolare il dott. B. che i requisiti minimi imposti dal D.P.R. 14/1/1997 non sono riferibili agli studi professionali, che il decreto ed il suo allegato non prendono in esame. Con i motivi aggiunti lamenta la falsa applicazione:

o dell’art. 8ter del D. Lgs. 30/12/1992 n. 502, poiché la norma dà implicitamente atto della distinzione tra studi professionali e strutture pubbliche e private;

o della L.r. 15/99 la quale, con riguardo agli studi professionali (anche odontoiatrici), rinvia ai requisiti fissati dalla legge statale, che non ha mai provveduto ad enunciarli.

L’articolata censura è priva di pregio.

1.1 La vicenda contenziosa investe i criteri differenziali tra gli studi professionali e gli ambulatori ed il rispettivo regime giuridico, mentre pacificamente entrambe le attività esigono l’emissione di un titolo autorizzatorio.

1.2 L’art. 8ter comma 4 del D. Lgs. 502/92 statuiva (e statuisce ancora oggi) espressamente che "L’esercizio delle attività sanitarie e sociosanitarie da parte di strutture pubbliche e private presuppone il possesso dei requisiti minimi, strutturali, tecnologici e organizzativi stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento ai sensi dell’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, sulla base dei princìpi e criteri direttivi previsti dall’articolo 8, comma 4, del presente decreto. In sede di modificazione del medesimo atto di indirizzo e coordinamento si individuano gli studi odontoiatrici, medici e di altre professioni sanitarie di cui al comma 2, nonché i relativi requisiti minimi".

Il D.P.R. 14/1/1997 ha approvato dettagliati requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private, e la Regione Lombardia – con disposizione non contestata in questa sede – ha stabilito un termine quinquennale per l’adeguamento delle strutture già esistenti.

1.3 Il D.P.R. 14/1/1997, nel demandare alle Regioni il compito di classificare le strutture che rientrano nel raggio di applicazione della novella normativa, individua specificamente la tipologia che contempla l’erogazione di "prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio". Il decreto poi descrive le caratteristiche dell’ambulatorio di assistenza specialistica, che consiste nella "struttura o luogo fisico, intra od extraospedaliero, preposto alla erogazione di prestazioni sanitarie di prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione, nelle situazioni che non richiedono ricovero neanche a ciclo diurno".

1.4 Se possono sussistere zone limite nelle quali non è facile distinguere in concreto uno studio medico da un ambulatorio, la giurisprudenza amministrativa ha di recente ritenuto di individuare l’elemento discriminante di un ambulatorio nell’esistenza di una strumentazione ed in generale di una organizzazione tale che finisce per assumere un ruolo decisivo, se non preponderante, rispetto all’apporto dato dall’attività professionale del medico (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I – 17/11/2009 n. 1781).

La Cassazione penale (sez. III – 19/1/1996 n. 2023; sez. III – 22/3/2005 n. 17434) ha statuito che l’ambulatorio medicochirurgico (per il quale si richiedeva la speciale autorizzazione di cui all’art. 193 del T.U.L.S.) è ogni locale che risulti destinato ad attività non soltanto diagnostiche, ma anche terapeutiche che non richiedano ospedalizzazione, indipendentemente dall’attrezzatura della quale esso sia fornito. La struttura denominata ambulatorio può cioè definirsi quale locale avente funzione sanitaria finalizzata all’attività non solo di diagnosi, ma anche di terapia medica che non assuma comunque la dimensione ospedaliera, mentre il semplice studio medico va inteso quale unità adibita solo all’esercizio dell’attività professionale del singolo medico, privo di attrezzature e senza alcuna finalità terapeutica. Gli ambulatori medici sono caratterizzati da una propria individualità ed autonomia organizzativa, mentre gli studi privati dei sanitari sono solo quelli, sovente coincidenti con la privata abitazione, dove il professionista – sprovvisto di strutture di sorta e previo appuntamento – riceve i propri pazienti.

In buona sostanza l’esistenza di un’adeguata attrezzatura è imprescindibile per praticare la terapia e la sua esistenza – anche se in forma rudimentale – è sintomatica della sussistenza di un ambulatorio.

1.5 Ad avviso del Collegio i locali dedicati dal ricorrente alla propria attività di dentista assumono i caratteri di un vero e proprio ambulatorio, essendo dotati di attrezzature utilizzabili a scopo diagnostico e terapeutico, peraltro indispensabili per l’ordinario espletamento delle prestazioni odontotecniche. Lo stesso dott. B. (come del resto l’A.S.L.) ha dato conto della previsione normativa di un iter autorizzatorio semplificato per l’attività odontoiatrica monospecialistica, del quale tuttavia non ha ritenuto di avvalersi.

2. E’ infondata l’ulteriore censura, tesa a sostenere la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 19/3/1956 n. 303 per tempo vigente, poiché la normativa in materia di igiene del lavoro si riferirebbe ad attività poste in essere da prestatori subordinati, ed il D.P.R. 14/1/1999 costituirebbe applicazione specifica della suddetta prescrizione generale per le strutture sanitarie.

In proposito non giova al ricorrente invocare la normativa regolante il funzionamento delle imprese private, poiché la disciplina correttamente applicata dall’Azienda Sanitaria Locale investe le strutture sanitarie e dunque si pone in rapporto di specialità con l’invocata regolamentazione generale: la conseguenza di tale ricostruzione è l’operatività del principio per cui la legge speciale deroga a quella generale.

3. Non può evidentemente essere valorizzata la doglianza di invalidità derivata dei vizi esposti nel ricorso principale.

4. In conclusione il gravame introduttivo ed i motivi aggiunti sono infondati e vanno respinti.

In considerazione del precedente accoglimento della domanda cautelare e dell’interesse azionato dal ricorrente, che esercita un’attività professionale, le spese di lite possono integralmente compensate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, respinge il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti.

Spese compensate.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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