Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 5987 Diritti politici e civili Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del 7 novembre 2006, la Corte d’Appello di Roma ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da C.S. nei confronti del Ministero della Giustizia per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale di Nola, in funzione di Giudice del lavoro, promosso dall’istante per il pagamento di interessi e rivalutazione sull’indennità di mobilità.

Premesso che il giudizio presupposto aveva avuto inizio in primo grado nell’anno 1998 e si era concluso in appello con sentenza del 26 gennaio 2004, la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in quattro anni e mezzo, e, tenuto conto dell’esiguità della posta in gioco e della modestia del ritardo, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in Euro 500.00. 2. – Avverso il predetto decreto il C. propone ricorso per cassazione, articolalo in venti motivi. Il Ministero resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Con i primi quattro motivi, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea, per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha omesso di determinare la durata ragionevole del giudizio presupposto ed ha riconosciuto l’indennizzo soltanto per il periodo di tempo eccedente tale durata, anzichè per l’intera durata del processo, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

1.1. – I motivi sono infondati.

Premesso che la Corte d’Appello non ha affatto omesso di stabilire quale avrebbe dovuto essere la durata ragionevole del processo, che ha espressamente quantificato in quattro anni e mezzo per i due gradi di giudizio, si osserva che, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enunciato dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma, come riconosciuto dalla stessa Corte EDU nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, non si pone neppure in contrasto con l’art. 6, par. 1, della CEDU, in quanto non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (cfr. Cass., Sez. 1^, 23 novembre 2010, n. 23654: 14 febbraio 2008, n. 3716).

2. Sono invece fondati il quinto, il sesto, il settimo e l’undicesimo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della CEDU e dei principi enunciati dalla Corte EDU, nonchè l’incongruenza e l’insufficienza della motivazione, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato il danno non patrimoniale in misura inferiore agli standards europei, senza fornire alcuna motivazione ed in particolare senza spiegare le ragioni per cui ha ritenuto modesti gl’interessi economici coinvolti nel giudizio presupposto.

2.1 E’ pur vero che, come ripetutamente affermato da questa Corte, il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi e deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.

E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corse di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a (Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass.. Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009. n. 21840).

Rispetto ai predetti parametri, la Corte d’Appello ha operato una riduzione, riconoscendo al ricorrente, in relazione all’accertato ritardo di un anno nella definizione del giudizio presupposto, un indennizzo pari ad Euro 500,00. L’attribuzione di questo minore importo, tuttavia, non appare sufficientemente motivata, essendosi la Corte limitata a sottolineare, ai fini della quantificazione dell’indennizzo, l’esiguità della posta in gioco e la modestia della dilatazione dei tempi di causa, senza procedere al necessario giudizio di comparazione tra la natura e l’entità della pretesa patrimoniale azionata (c.d. posta in gioco) e la condizione economico- sociale del ricorrente, che, consentendo di accertare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche di quest’ultimo, permette al giudice di merito di discostarsi, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte EDU;

(cfr. Cass., Sez. 1^, 24 luglio 2009, n. 17404; 2 novembre 2007, n. 23048).

3. – Sono invece infondati l’ottavo, il nono ed il decimo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, senza fornire alcuna motivazione.

3.1. – L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass., Sez. 1^, 3 dicembre 2009, n. 25446; 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

4. – L’accoglimento, sia pure parziale, dell’impugnazione relativamente alla pronuncia sul merito, determinando l’automatica caducazione di quella accessoria relativa alle spese processuali, comporta invece l’assorbimento dei motivi dal dodicesimo al ventesimo, con cui il ricorrente deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della CEDU, degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto l’integrale compensazione delle spese processuali, discostandosi dai principi enunciati dalla Corte EDU, senza alcuna motivazione.

5. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, con il riconoscimento in favore del ricorrente di un indennizzo di Euro 750,00, pari all’importo minimo risultante dai parametri elaborati dalla Corte EDU, tenuto conto dell’entità del ritardo e dell’assenza di ulteriori elementi idonei a giustificare una modificazione in senso migliorativo o peggiorativo.

Sul predetto importo sono dovuti gl’interessi legali con decorrenza dalla domanda.

6. – L’esito complessivo del giudizio, contrassegnato dall’accoglimento solo parziale della domanda e dal limitato accoglimento dell’impugnazione, giustifica la dichiarazione di compensazione per due terzi delle spese sia del giudizio di merito che di quello di legittimità, che per il residuo vanno poste a carico del Ministero, quale parte soccombente, e si liquidano per la frazione come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere a C.S. la somma di Euro 750,00 a titolo di indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè un terzo delle spese del giudizio di merito, che si liquidano per la quota in complessivi Euro 300,00, ivi compresi Euro 150,00 per onorario, Euro 100,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Mariano Ferrante, antistatario; condanna il Ministero della Giustizia al pagamento di un terzo delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano per la quota in complessivi Euro 240,00, ivi compresi Euro 200,00 per onorario ed Euro 40,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Mariano Ferrante, antistatario, dichiarando compensati tra le parti i residui due terzi.

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