Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 5985 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del 21 febbraio 2006, la Corte d’Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta dai ricorrenti indicati in epigrafe nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dai ricorrenti in qualità di eredi di P.A., familiare di Co.

L., invalida civile al 100%, per ottenere il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento.

Premesso che il giudizio, iniziato nell’anno 2000, non era stato ancora definito in primo grado, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ne ha determinato la durata ragionevole in tre anni, avuto riguardo al grado di complessità delle questioni trattate, e, tenuto conto della natura del diritto fatto valere, nonchè dei criteri adottati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha liquidato il danno non patrimoniale in Euro 2.083,33, corrispondenti ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo.

2. – Avverso il predetto decreto gl’istanti propongono ricorso per cassazione, articolato in dieci motivi. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto difese.
Motivi della decisione

1. Con il primo ed il terzo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha riconosciuto l’indennizzo soltanto per il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, anzichè per l’intera durata del giudizio presupposto, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

1.1. – I motivi sono infondati.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), infatti, l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enunciato dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma, come riconosciuto dalla stessa Corte EDU nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, non si pone neppure in contrasto con l’art. 6, par. 1, della CEDU, in quanto non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (cfr. Cass.. Sez. 1^, 23 novembre 2010, n. 23654; 14 febbraio 2008, n. 3716).

2. – Sono parimenti infondati il secondo ed il sesto motivo d’impugnazione, con cui i ricorrenti denunciano la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della CEDU e della L.R. Campania 15 marzo 1984, n. 11, nonchè l’incongruenza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha determinato in tre anni la durata ragionevole del processo, conformandosi ai criteri generalmente adottasti dalla giurisprudenza, che risultano tuttavia inapplicabili al processo del lavoro, in riferimento al quale l’art. 415 cod. proc. civ., prevedo che tra il deposito del ricorso e l’udienza di discussione non debbono trascorrere più di sessanta giorni. Sostengono inoltre i ricorrenti che la Corte d’Appello ha escluso la sussistenza di particolari esigenze di celerilà nella trattazione del giudizio, negando la rilevanza sociale e personale delle questioni trattato, senza porre a confronto il valore della controversia con lo specifico tenore di vita della parte.

2.1. – Nella determinazione della ragionevole durata dei processo, la Corte d’Appello non ha allatto escluso la sussistenza di esigenze di celerilà nella trattazione del giudizio, ma si è attenuta ai criteri cronologici elaborali dalla Corte EDU, alle cui sentenze, riguardanti l’interpretazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, deve peraltro riconoscersi, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, soltanto il valore di precedente, non rinvenendosi nel quadro delle fonti dell’ordinamento interno meccanismi normativi che ne comportino la diretta vincolatività per il giudice italiano (cfr.

Cass., Sez. 1^, 19 novembre 2009, n. 24399; 11 luglio 2006, n. 15750). La natura della causa, avente ad oggetto il riconoscimento del contributo previsto dalla L.R. Campania n. 11 del 1984, in favore dei familiari che assistono invalidi non autosufficienti, non è d’altronde sufficiente a giustificare l’applicazione di un termine ridotto di durata, non trovando applicazione in tal caso la disciplina del processo del lavoro, in quanto nella fase anteriore alla concessione del beneficio, avente carattere discrezionale, la controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, e rispetto ad essa non sono previste forme di organizzazione diverse, tali da differenziarne il corso in relazione all’oggetto del giudizio (cfr. in riferimento alle controversie in materia di lavoro, Cass.. Sez. 1^, 10 ottobre 2009, n. 23047; 24 settembre 2009, n. 20546). Non vi è pertanto ragione di fare riferimento a parametri diversi dagli standards comuni elaborati dalla Corte EDU e recepiti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2. comma 2, non assumendo rilievo, al riguardo, neppure la comparazione tra il valore della controversia e lo specifico tenore di vita della parte, la quale viene in considerazione soltanto ai fini della liquidazione dell’indennizzo, quale indice dell’entità degli interessi in gioco, di cui tenere conto nella valutazione del danno non patrimoniale (cfr. Cass., Sez. 1^, 24 luglio 2009, n. 17404; 2 novembre 2007, n. 23048).

3. E’ altresì infondato il quarto motivo, con cui i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e dei principi enunciati dalla Corte EDU, nonchè l’incongruenza e l’insufficienza della motivazione, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato il danno non patrimoniale in misura inferiore agli standards europei, senza fornire alcuna motivazione.

3.1 E’ pur vero, infatti, che, come ripetutamente affermato da questa Corte il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.

E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali parametri sono stati sostanzialmente rispettati dalla Corte d’Appello, la quale, in mancanza di una prova specifica del patema d’animo sofferto dagl’istanti m conseguenza dell’eccessiva durata del giudizio, ne ha ritenuto l’esistenza alla base dell’id quod plerumque accidit e, tenuto conto della natura del diritto fatto valere, ha liquidato il danno non patrimoniale in Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo, in tal modo attribuendo ai ricorrenti un importo superiore a quello risultante dall’applicazione dei criteri di base enunciati dalla Corte EDU. 4. Con il quinto ed il decimo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della CEDU, nonchè l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, senza fornire alcuna motivazione.

4.1. La censura è infondata.

L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali ed assistenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfettario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass., Sez. 1^, 3 dicembre 2009, n. 25446: 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione – che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non e stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

5. – Sono altresì infondati il settimo e l’ottavo motivo, con cui i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, dell’art. 1 del relativo protocollo aggiuntivo e dell’art. 132 cod. proc. civ., nonchè l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte d’Appello ha liquidato le spese processuali in misura insufficiente rispetto agli standards europei.

5.1. – Nei giudizi di equa riparazione promossi ai sensi della L. n. 89 del 2001, che si svolgono dinanzi al giudice italiano secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito, la liquidazione delle spese processuali deve essere infatti effettuata applicando le tariffe professionali vigenti nell’ordinamento italiano, e non già in base agli onorari liquidati dalla Corte EDU, i quali attengono esclusivamente al regime del procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di Strasburgo, dal momento che la liquidazione del compenso per l’attività professionale prestata dinanzi ai giudici dello Stato deve aver luogo secondo le norme che disciplinano la professione legale davanti alle corti ed ai tribunali di quello Stato (cfr.

Cass., Sez. 1^, 11 settembre 2008, n. 23397).

6. Sono invece fondati il nono ed il decimo motivo, con cui i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, dell’art. 1 del relativo protocollo aggiuntivo, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 91, 92, 112 e 132 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o incongrua motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte d’Appello, senza fornire un’adeguata motivazione, ha liquidato le spese processuali in misura non conforme alla natura del procedimento, il quale, pur svolgendosi nelle forme del rito camerale, non costituisce espressione di volontaria giurisdizione ma ha carattere contenzioso.

6.1. – Ai fini della liquidazione delle spese processuali, il procedimento camerale di cui alla L. n. 89 del 2001 va infatti considerato quale procedimento avente natura contenziosa, avendo ad oggetto una controversia riguardante contrapposte posizioni di diritto soggettivo, svolgendosi in pieno contraddittorio tra le parti e concludendosi con un provvedimento che, nonostante la forma del decreto motivato, ha natura sostanziale di sentenza, suscettibile quindi di acquistare autorità di giudicato. La liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti all’avvocato per l’attività in esso prestata non può dunque essere effettuata in base alle tabelle A, paragrafo 8, e B, paragrafo 3, allegate al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, alle quali ha fatto riferimento il decreto impugnato, dovendo invece trovare applicazione le tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al medesimo decreto ministeriale (cfr. Cass., Sez., 1^, 7 ottobre 2009, n. 21371; 17 ottobre 2008, n. 25352).

7. Il decreto impugnato va pertanto cassato, limitatamente alla parte concernente la liquidazione delle spese processuali, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 394 cod. proc. civ., comma 2, mediante una nuova liquidazione delle spese, che segue come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

8. Il limitato accoglimento dell’impugnazione giustifica la parziale compensazione delle spese relative al giudizio di legittimità, che per il residuo vanno poste a carico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e si liquidano per l’intero come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore anticipatario.
P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere a C.L., in proprio e nella qualità di curatrice di Co.Lu., C. A., C.F., C.C., c.a., A.A., Co.Am., Co.Fr., C. G. e Co.Gi. le spese del giudizio di merito, che si liquidano in complessivi Euro 861,00, ivi compresi Euro 500,00 per onorario, Euro 311,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’Avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario: condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di un terzo delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano per l’intero in complessivi Euro 600,00 ivi compresi Euro 500,00 per onorario ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra antistatario, dichiarando compensati tra le parti i residui due terzi.

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