Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-03-2011, n. 5984 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del 16 gennaio 2007, la Corte d’Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da P.R., nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la violazione del termine di ragionevole durata del processo. verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dal P. per ottenere il riconoscimento del servizio non di ruolo prestato presso il Comune di Afragola, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto.

Premesso che il giudizio, inizialo nell’anno 1998, non era stato ancora definito in primo grado, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ne ha determinato in tre anni la durata ragionevole, avuto riguardo al grado di complessità delle questioni trattate, e, tenuto conto della natura del diritto fatto valere, nonchè dei criteri adottati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha liquidato il danno non patrimoniale in Euro 5.333,33, corrispondenti ad Euro 1000,00 per ogni anno di ritardo.

2. Avverso il predetto decreto il P. propone ricorso per cassazione, articolato in undici motivi. La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha svolto difese.
Motivi della decisione

1. – Con i primi quattro motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 112 cod. proc. civ nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, avente ad oggetto un credito retributivo, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, senza fornire alcuna motivazione.

1.1. – I motivi sono infondati.

L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura giuslavoristica della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, ne senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass. Sez. 1, 3 dicembre 2009, n. 25446: 29 luglio 2009, n. 17684): dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (cfr. Cass. Sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1893: 28 ottobre 2009. n. 22869).

2. – Sono parimenti infondati il sesto ed il nono motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, dell’arT. 1 del relativo protocollo aggiuntivo e dell’art. 92 c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello ha liquidato le spese processuali in misura insufficiente rispetto agli slandards europei.

2.1. – Nei giudizi di equa riparazione promossi ai sensi della L. n. 89 del 2001, che si svolgono dinanzi al giudice italiano secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito, la liquidazione delle spese processuali deve essere infatti effettuata applicando le tariffe professionali vigenti nell’ordinamento italiano, e non già in base agli onorari liquidati dalla Corte EDU; i quali attengono esclusivamente al regime del procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di Strasburgo, dal momento che la liquidazione del compenso per l’attività professionale prestata dinanzi ai giudici dello Stato deve aver luogo secondo le norme che disciplinano la professione legale davanti alle Corti ed ai tribunali di quello Stato (cfr.

Cass., Sez. 1^, 11 settembre 2008, n. 23397).

3. – Sono invece fondali il quinto, il settimo e l’ottavo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91, 92, 112 e 132 c.p.c. nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, sostenendo che la Corte d’Appello ha liquidato le spese processuali senza tener conto della natura contenziosa del procedimento, il quale, pur svolgendosi nelle forme del rito camerale, non costituisce espressione di volontaria giurisdizione ma ha carattere contenzioso.

3.1. – Ai fini della liquidazione delle spese processuali, il procedimento camerale di cui alla L. n. 89 del 2001 va infatti considerato quale procedimento avente natura contenziosa, avendo ad oggetto una controversia riguardante contrapposte posizioni di diritto soggettivo, svolgendosi in pieno contraddittorio tra le parti e concludendosi con un provvedimento che, nonostante la forma del decreto motivato, ha natura sostanziale di sentenza, suscettibile quindi di acquistare autorità di giudicato.

La liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti all’avvocato per l’attività in esso prestata non può dunque essere effettuata in base alle tabelle A, par. 7^, e B, par. 3^, allegate al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, alle quali ha fatto riferimento il decreto impugnato, dovendo invece trovare applicazione le tabelle A, par. 4^, e B, par.

1, allegate al medesimo decreto ministeriale (cfr. Cass., Sez. 1, 7 ottobre 2009, n. 21371: 17 ottobre 2008, n. 25352).

4. L’accoglimento delle predette censure comporta l’assorbimento del decimo e dell’undicesimo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, osservando che la Corte d’Appello ha liquidato le spese processuali in misura non conforme alle tariffe professionali vigenti, discostandosi dalla nota specifica da lui depositata, senza fornire alcuna motivazione.

5. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, limitatamente alla parte concernente la liquidazione delle spese processuali, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, mediante una nuova liquidazione delle spese, che segue come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

6. – Il limitato accoglimento dell’impugnazione giustifica la parziale compensazione delle spese relative al giudizio di legittimità, che per il residuo vanno poste a carico della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e si liquidano per l’intero come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore anticipatario.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere a P.R. le spese del giudizio di merito, che si liquidano in complessivi Euro 1.250,00, ivi compresi Euro 600,00 per onorario, Euro 600,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario; condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di un terzo delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano per l’intero in complessivi Euro 1.000,00, ivi compresi Euro 900.00 per onorario ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario, dichiarando compensati tra le parti i residui due terzi.

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