T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 02-02-2011, n. 191

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 10 settembre 2004 e depositato il successivo 27 settembre, la società indicata in epigrafe chiedeva l’annullamento del provvedimento con il quale la Direzione Attività Produttive Ufficio Commercio del Comune di Grosseto comunicava non potersi darsi luogo al rilascio dell’autorizzazione per l’installazione di apparecchi automatici da gioco di cui all’art. 110 del TULPS, in quanto, da accertamenti documentali presso la locale Procura della Repubblica, contrariamente a quanto dichiarato dal legale rappresentante di non trovarsi nelle condizioni ostative di cui agli artt. 11 e 92 dello stesso TULPS, risultava una sentenza di condanna del Tribunale di Grosseto, irrevocabile il 3 aprile 2004, per violazione all’art. 110 del richiamato TULPS, realizzando così la condizione ostativa di cui all’art. 92 cit., secondo il quale l’autorizzazione non può essere rilasciata a coloro che siano stati condannati per reati contro la moralità pubblica e il buon costume o contro la sanità pubblica o per giuochi d’azzardo. Nello stesso provvedimento era poi preannunciato l’avvio del procedimento per la sospensione dell’attività di pubblico esercizio (bar) per un mese, in applicazione del disposto del 10° comma dell’art. 110 cit.

La società ricorrente, quindi, lamentava quanto segue.

"1) Violazione falsa applicazione degli artt. 92 e 22 l.n. 241/90".

Ricostruendo il quadro normativo regolante la fattispecie, di cui agli artt. 11, comma 1 e 2, e 92 del TULPS, la società ricorrente evidenziava che il legale rappresentante non aveva riportato una condanna per un delitto (non colposo) né era stato ammonito né sottoposto a misura cautelare né dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né era stato condannato per delitti contro le persone, ai sensi di quanto previsto dall’art. 11 TULPS.

Il legale rappresentante era stato condannato solo per un reato contravvenzionale per violazione delle norme di pubblica sicurezza e non per violazione delle norme a tutela della moralità pubblica, il buon costume o la sanità pubblica, ai sensi dell’art. 92 cit., dato che la sentenza faceva riferimento esclusivamente all’art. 110 cit., concernente l’uso di apparecchi da giuoco vietati, e non alla diversa ipotesi di giuoco d’azzardo, punita ai sensi dell’art. 718 c.p.

"2) Violazione e falsa applicazione art. 3 l.n. 241/90: carenza di motivazione: eccesso di potere per motivazione insufficiente o contraddittoria".

Il provvedimento di diniego era comunque privo di motivazione, dato che l’Amministrazione ha esercitato un potere discrezionale e non vincolato, con esclusione di ogni automatismo.

"3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 10 L. n. 241/90; violazione dei principi del giusto procedimento, della trasparenza e della partecipazione; sviamento di potere".

Non era stato osservato il principio generale della partecipazione procedimentale, in particolar modo inerente alla comunicazione di avvio del procedimento, al fine di consentire la partecipazione dell’interessato nella fase istruttoria.

Si costituiva in giudizio il Comune di Grosseto, con memoria di mera forma, chiedendo la reiezione del ricorso.

In prossimità della pubblica udienza del 6 luglio 2010 entrambe le parti costituite depositavano memoria ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi.

Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2010, rinviata d’ufficio dal 6 luglio 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Il Collegio ritiene necessario partire dall’esame del contenuto del provvedimento impugnato e della relativa normativa applicata. Ebbene, si rileva che la determinazione dirigenziale in questione – come anche confermato dalle difese del Comune di Grosseto – è stata fondata esclusivamente sulla previsione dell’art. 92 del R.D. n. 773/1931 senza che rilevi quindi il contenuto dell’art. 11 R.D. cit. e relativa interpretazione, laddove si evidenzia che il diniego fa riferimento alla circostanza, ivi prevista, della sussistenza di condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume o contro la sanità pubblica o per giuochi d’azzardo.

Appare evidente che, nella fattispecie in esame, l’interessato non sia stato condannato per reati contro la moralità pubblica, il buon costume o la sanità pubblica, per cui deve ritenersi che l’Amministrazione abbia ritenuto che la medesima condanna sia avvenuta per esercizio del giuoco d’azzardo, come confermato dal tenore delle stesse difese del Comune di Grosseto.

Prendendo quindi in esame il caso di specie, dalla lettura della (unica) sentenza posta a base del diniego, emerge che il sig. M., pur se imputato dei reati previsti dall’art. 110 TULPS e 718 e 719 c.p., è stato condannato unicamente per il reato contravvenzionale di cui all’art. 110 cit., risultando assolto per le altre fattispecie di reato di cui ai due articoli del codice penale perché il fatto non sussiste.

Il Collegio rileva, quindi, che nel caso di specie risulta applicato dal Giudice penale l’art. 110, comma 9, TULPS nel testo in vigore all’epoca della commissione del fatto, secondo cui "Ferme restando le sanzioni previste dal codice penale per il gioco d’azzardo, chiunque procede all’installazione o comunque consente l’uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli ed associazioni di qualunque specie degli apparecchi e congegni di cui al comma 4 ovvero di apparecchi e congegni, diversi da quelli di cui al comma 4, non rispondenti alle caratteristiche e prescrizioni indicate nei commi 6 e 7, è punito con l’ammenda da 4.000 a 40.000 euro. È inoltre sempre disposta la confisca degli apparecchi e congegni, che devono essere distrutti. In caso di recidiva la sanzione è raddoppiata. Con l’ammenda da 500 a 1.000 euro è punito chiunque, gestendo apparecchi e congegni di cui al comma 6, ne consente l’uso in violazione del divieto posto dal comma 8".

Di converso, la fattispecie di reato di cui agli artt. 718 e 719 c.p., relative proprio all’esercizio del giuoco d’azzardo e relative circostanze aggravanti, non risulta considerata nella sentenza penale, che ha inteso punire unicamente la condotta derivante dall’uso di apparecchi da giuoco di genere vietato in locali pubblici o aperti al pubblico.

Sostiene il Comune, nella sua memoria, che comunque la fattispecie (accertata dal giudice penale) di cui all’art. 110 TULPS configurerebbe pur sempre un reato relativo all’esercizio del giuoco d’azzardo in presenza delle condizioni legislativamente previste dall’art. 110 TULPS in relazione all’individuazione dell’elemento del lucro definito qui tipicamente dal legislatore, secondo quanto concluso in una sentenza della Terza Sezione penale della Corte della Cassazione del 2006.

In merito, però, il Collegio osserva che la medesima Sezione della Corte di Cassazione penale, in sentenze più recenti, ha precisato, al contrario, che "Le disposizioni sanzionatorie contenute nell’art. 110 R.D. n. 773 del 1931 e quelle previste dagli artt. 718 e ss. cod. pen. sono tra loro autonome quanto ai presupposti e alle finalità rispondendo le prime all’esigenza di garantire la presenza nei locali pubblici di apparecchi per i giochi di abilità e di trattenimento che rispondano alle caratteristiche previste dalla legge e le seconde all’esigenza di sanzionare il gioco d’azzardo in tutte le sue forme; inoltre il fine di lucro, elemento essenziale del reato previsto dall’art. 718 cod. pen., non è più ricompreso, a decorrere dalla legge n. 388 del 2000, tra gli elementi essenziali delle contravvenzioni previste dall’art. 110 cit." (Cass., Sez. III pen., 18.10.07, n. 42375).

Inoltre, si ricorda anche che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 215 del 2008, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 547, nella parte in cui stabiliva che, per le violazioni di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 110, comma 9, commesse in data antecedente all’entrata in vigore della legge, si applicavano le sanzioni penali previste al tempo delle violazioni stesse, per cui, per effetto di questo annullamento, la deroga posta dalla citata L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 547, al principio di retroattività della "lex mitior" di cui all’art. 2 c.p., comma 2, è venuta meno con effetto retroattivo, con la conseguenza che il principio in base al quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato deve dunque trovare applicazione anche alle violazioni del T.U.L.P.S., art. 110, comma 9, commesse anteriormente al 1 gennaio 2006 (Cass., Sez. III pen., 18.12.08, n. 46816).

Ne consegue, quindi, ad opinione del Collegio che nel caso di specie non possa individuarsi una fattispecie di condanna per reato inerente il giuoco d’azzardo ma solo una violazione del divieto di installazione di apparecchi automatici, semiautomatici ed elettronici in locali pubblici o aperti al pubblico senza la necessaria autorizzazione.

In definitiva, in assenza del presupposto di cui all’art. 92 TULPS relativo alla condanna per reati per giuoco d’azzardo, il rifiuto dell’autorizzazione sulla base di tale presupposto si evidenzia illegittimo, per quanto dedotto dal ricorrente con il primo motivo di ricorso.

Fondato, conseguentemente, appare anche quanto lamentato con il secondo motivo di ricorso in ordine alla carenza di motivazione del provvedimento impugnato.

Infatti, in esso l’Amministrazione si limita a richiamare la disposizione dell’art. 92 TULPS, come se in presenza di attività vincolata ove è sufficiente il mero richiamo alla disposizione normativa applicata, senza considerare invece che la specifica interpretazione della norma alla base della decisione – come rappresentata in dettaglio solo negli scritti difensivi – evidenziava attività discrezionale che, come tale, imponeva una motivazione più dettagliata di quella, apodittica, contenuta nel provvedimento impugnato.

Per mero tuziorismo, infine, si rileva l’infondatezza invece del terzo motivo di ricorso, in quanto il procedimento si è avviato ad istanza di parte e ciò è sufficiente per escludere logicamente la necessità della comunicazione di avvio del procedimento da parte della p.a., essendo onere dell’interessato fare pervenire all’Amministrazione tutta la documentazione necessaria e non essendo ancora entrata in vigore la l.n. 15/05 e la conseguente disposizione introduttiva dell’art. 10 bis l.n. 241/90.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto per la fondatezza dei primi due motivi di ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna il Comune di Grosseto a corrispondere alla società ricorrente le spese di lite, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge e quanto versato a titolo di contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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