Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-11-2010) 08-02-2011, n. 4527 Sospensione condizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 24 marzo 2009 la Corte d’Appello di Milano, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale, ha riconosciuto R.S. e R.N.M. responsabili, in concorso tra loro, del delitto di lesione volontaria in danno di H.K.; ha quindi tenuto ferma la loro condanna alle pene di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, subordinando a tale adempimento la sospensione condizionale della pena. Con la stessa sentenza ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dagli imputati contro la loro assoluzione dall’imputazione di rapina, motivata con l’applicazione dell’art. 530 c.p.p., comma 2.

Hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite del comune difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo i ricorrenti impugnano la declaratoria di inammissibilità dell’appello, relativamente al capo riguardante la loro assoluzione dall’imputazione di rapina. A confutare la motivazione addotta dalla Corte territoriale, col rimarcare la carenza d’interesse a conseguire una riforma che riguarderebbe soltanto la motivazione della sentenza e non anche la formula assolutoria, si richiamano a precedenti giurisprudenziali che riconoscono tale interesse nel caso di interferenze giuridiche rilevanti per l’imputato, come nel caso in cui sia pendente un procedimento per calunnia.

Col secondo motivo i ricorrenti deducono l’insussistenza del delitto di lesione per mancanza del requisito oggettivo costituito dalla causazione di una malattia.

Col terzo motivo denunciano, siccome illegittima, la subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento dei danni, non preceduta da una verifica delle condizioni economiche degli imputati e, quindi, della loro concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento.

I ricorsi degli imputati, confluiti nell’unico atto d’impugnazione, sono solo in parte fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

Ciò non è a dirsi in ordine al primo motivo, la cui infondatezza è evidenziarle attraverso la ricognizione della giurisprudenza formatasi sul punto.

Questa Corte Suprema, invero, si è già ripetutamente occupata della questione, rilevando l’insussistenza di un apprezzabile interesse dell’imputato ad impugnare una sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste, emessa ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, sul rilievo che detta statuizione conclusiva non potrebbe essere modificata, quand’anche emergesse la prova positiva dell’innocenza dell’imputato (v. per tutte Cass. 7 luglio 2009 n. 27917; Cass. 4 luglio 2007 n. 32879); e ciò nel solco di due pronunce delle Sezioni Unite, emesse il 25 novembre 1995 (n. 2110/96) e il 30 ottobre 2003 (n. 45276).

Con la prima delle due pronunce citate si era affermato che una volta che sia stata pronunciata, a seguito dell’abolizione della formula dubitativa, assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, per essersi ritenute insufficienti le prove acquisite, viene meno qualunque apprezzabile interesse dell’imputato al conseguimento di una più favorevole sentenza, in quanto la conclusiva statuizione non può essere modificata, quale che sia il giudizio esprimibile sulla prova della responsabilità dell’accusato: e cioè sia che sia stata acquisita la prova positiva della sua innocenza, sia che la prova della penale responsabilità si sia rivelata soltanto insufficiente.

E ciò in quanto l’interesse all’impugnazione, sebbene non possa essere confinato nell’area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento giurisdizionale, neanche può essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perchè esplicative di una perplessità sull’innocenza dell’imputato; l’impugnazione, infatti, si configura pur sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti e non già di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall’ordinamento giuridico.

La seconda pronuncia aveva affermato che l’imputato assolto con formula ampiamente liberatoria (comunque diversa da quella "perchè il fatto non costituisce reato"), anche se per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova, non è legittimato a proporre impugnazione per carenza di un apprezzabile interesse, salvo che nell’eccezionale ipotesi in cui l’accertamento di un fatto materiale oggetto del giudizio penale conclusosi con sentenza dibattimentale sia suscettibile, una volta divenuta irrevocabile quest’ultima, di pregiudicare, a norma e nei limiti segnati dall’art. 654 c.p.p., le situazioni giuridiche a lui facenti capo, in giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari regolati dagli artt. 652 e 653 c.p.p..

Avuto riguardo al caso di specie, pertanto, correttamente è stata giudicata inammissibile la censura mossa dagli imputati alla motivazione della sentenza, nella parte recante la loro assoluzione dall’imputazione di rapina; nè è dato cogliere nel ricorso l’indicazione di uno specifico fatto materiale, il cui accertamento – positivo -contenuto nella sentenza possa essere di futuro pregiudizio per gli imputati in altri ambiti giurisdizionali: del tutto inconferente e generico essendo il riferimento a un separato procedimento per calunnia a carico del querelante.

Del pari infondato è il secondo motivo, non essendo dubitabile che alla diagnosticata – e conseguentemente accertata – "lesione cranica non commotiva", in una con la "distorsione cervicale", debba riconoscersi il carattere di malattia in senso giuridico, trattandosi di alterazione patologica dell’organismo che non si esaurisce in una semplice sensazione di dolore.

Fondato è, invece, il terzo motivo.

La Corte Costituzionale, con pronuncia n. 49 del 1975, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 165 c.p., nella parte in cui consente al giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, ha avvertito nella motivazione che spetta al giudice di valutare, con apprezzamento motivato ma discrezionale, la capacità economica del condannato e la sua concreta possibilità di sopportare l’onere del risarcimento pecuniario.

A seguito di ciò la giurisprudenza di legittimità, con statuizione per vero risalente, ma non contraddetta da successivi arresti di segno opposto, ha enunciato il principio a tenore del quale "il giudice di merito è tenuto a procedere alla valutazione, sia pur sommaria, delle condizioni economiche dell’imputato quando intende subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale" (Cass. 11 luglio 1979 n. 3050):

principio che va qui ribadito, estendendone anche la portata al caso in cui si intenda subordinare il beneficio al risarcimento del danno contestualmente liquidato.

La Corte territoriale ha omesso di far luogo alla valutazione resa necessaria dalla descritta regula iuris, per cui la sentenza impugnata risulta carente nella motivazione sul punto e va, conseguentemente, annullata nei limiti del vizio riscontrato. Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Milano, sottoporrà a rinnovato esame l’istanza di applicazione della sospensione condizionale del la pena, tenendo conto di quanto suesposto; all’esito provvedere su di essa in piena libertà di giudizio, col solo obbligo di dare adeguata motivazione al deliberato.
P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento dei danni in favore della parte civile, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano per nuovo esame.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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