Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-03-2011, n. 5970 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Pisa, M.M. chiedeva che fosse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. nel periodo 1.6 – 30.9.98 per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre, ex art. 8 del CCNL Poste 26.11.94. 2.- Rigettata la domanda e proposto appello dal ricorrente, la Corte d’appello di Firenze con sentenza depositata il 21.02.06 accoglieva l’impugnazione e, dichiarata la nullità del termine, condannava la società convenuta a riammettere in servizio la dipendente ed a risarcire il danno.

Poste Italiane, secondo il giudice di mento, avrebbe dovuto dare prova che presso l’ufficio cui era stato addetto il M. si erano verificate assenze a seguito del godimento delle ferie da parte di personale a tempo indeterminato nominativamente individuato.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione, cui M. rispondeva con controricorso e duplice memoria.
Motivi della decisione

4. La soc. Poste Italiane propone tre motivi di ricorso che possono essere sintetizzati come segue.

4.1.- violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg. sotto un duplice profilo: in quanto detto art. 23 non ha posto alcun vincolo oggettivo alle causali di fonte collettiva e, in. particolare, non impone che la situazione di fatto elevata pattiziamente a fattispecie legittimante l’apposizione del termine debba essere necessariamente correlata con una temporanea assenza dal lavoro di altro personale (primo motivo).

4.2.- violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonchè carenza di motivazione, il quanto il rapporto si sarebbe risolto per mutuo consenso, costituendo il lasso di tempo trascorso (tra la cessazione e l’offerta della prestazione) indice di disinteresse a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto (secondo motivo);

4.3.- carenza di motivazione in materia di risarcimento del danno, in quanto il giudice di merito non avrebbe tenuto conto che il M. aveva trovato altra occupazione, immotivatamente rinviando la questione al momento della quantificazione del risarcimento in sede esecutiva (terzo motivo).

5.- Il secondo motivo (sub 4.2), da trattare prioritariamente per evidente consequenzialità logica, è infondato.

La giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e numerose altre seguenti) ha ritenuto che "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto".

La Corte d’appello ha rilevato che la società appellante, processualmente a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la prospettata valutazione, non ritenendo sufficiente a rappresentare la disaffezione della lavoratrice le circostanze che la stessa avesse atteso un cospicuo lasso di tempo prima di intraprendere l’azione giudiziaria (essendo l’attesa ammissibile perchè contenuta nei limiti prescrizionali). Trattasi di considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico.

6. – Il primo motivo (sub 4.1) è, invece, fondato.

La giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2.3.07 n. 4933), decidendo su una fattispecie inerente l’ipotesi di assunzione a tempo determinato prevista dall’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94 dei lavoratori postali "per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno/settembre" ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

Infatti, l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva è del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie prevista dalla L. n. 230 del 1962, in considerazione del principio (Cass. S.u., 2.3.06 n. 4588) che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati. Questi ultimi, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere "oggettivo" ed anche alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente "soggettivo", consentendo (vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori) l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti.

L’art. 8, comma 2, del c.c.n.l. 26.11.94, per il quale "l’Ente potrà valersi delle prestazioni di personale con contratto a termine … anche nei seguenti casi: necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre .. usando una formula diversa da quella della L. n. 230 del 1962 testimonia che le parti stipulanti considerano questa ipotesi di assunzione a termine, in ragione, dell’uso dell’espressione concomitanza, sempre sussistente nel periodo stabilito (giugno – settembre). Altre decisioni (cfr. Cass. 6.12.05 n. 26678) hanno, inoltre, confermato le decisioni di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e avevano interpretalo l’autorizzazione contenta dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività tosse costituita dalla assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

7. Il controncorrente ha obiettato che il giudice di appello non avrebbe preso in esame la questione del mancato rispetto della c.d.

"clausola di contingentamento", dedotta in primo grado quale, ulteriore profilo di illegittimità dell’apposizione del termine e che pure, dall’esame della sentenza di secondo grado, risulta riproposta in appello.

Al riguardo deve rilevarsi che, non essendo stata la questione oggetto di trattazione per l’assorbimento ritenutone dal giudice di secondo grado, sarebbe stato onere dell’odierno controricorrente – che pure non era tenuto a proporre ricorso incidentale, essendo vincitore in appello (Cass. 23.5.06 n. 12153, con richiamo a Sez. unite 8.10.02 n. 14382) – in forza del principio di autosufficienza, indicare i termini esatti in cui essa era stata sottoposta, al fine di consentire a questo Collegio di valutare se sul punto esistesse valida impugnazione e se la questione fosse ancora sub indice.

Sul punto deve in conclusione affermarsi che il controricorrente, il quale, pur avendo ottenuto il rigetto dell’appello, manifesti alla Cassazione la volontà di conseguire una decisione anche su una questione già ritenuta assorbita (diverso è il caso della questione implicitamente rigettata: Cass. 5.3.03 n. 3261) ha l’onere non di proporre ricorso incidentale ma – per il principio di autosufficienza, operante anche nel controricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, un. 3 e 4, e all’art. 370 c.p.c., comma 2, – di indicare i termini esatti in cui la questione era stata sottoposta al giudice d’appello, in modo da permettere al Collegio di legittimità di verificare se essa possa ancora ritenersi sub iudice.

8.- In definitiva, il ricorso deve essere accolto e, assorbito il terzo morivo, la sentenza deve essere cassata. Non esiste ragione per rinviare la causa ad altro giudice in quanto non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto e la questione dell’omesso esame della clausola di contingentamento deve ritenersi a questo punto definitivamente assorbita per la sua difettosa riproposizione.

Questa Corte deve, dunque, pronunziare nel merito e rigettare la domanda.

Tale esito della controversia impedisce l’esame di ogni questione in punto di risarcimento del danno e rende estranea al presente giudizio la questione dell’applicabilità del sopravvenuto L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 che pure parte ricorrente aveva fatto oggetto di eccezione di incostituzionalità in sede di memoria.

Le spese, del giudizio di primo e secondo grado debbono essere compensate in ragione della non univocità della giurisprudenza dell’epoca.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE così provvede:

a) accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, provvedendo nel merito, rigetta la domanda;

b) compensa tra le parti le spese del giudizio di primo e secondo grado e condanna M.M. alle spese del giudizio di legittimità nella misura di Euro 12,00 per esborsi e di Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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