Cons. Stato Sez. V, Sent., 03-02-2011, n. 795 Atti amministrativi diritto di accesso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A) – Con istanza 7 novembre 2008 la R. s.p.a. (con sede a Milano) chiedeva all’A.i.f.a. di aver copia dell’istanza presentata dalla società M. (gruppo A.) diretta ad ottenere l’autorizzazione alla immissione in commercio (a.i.c.) di un medicinale generico a base di lercanidipina, nonché di eventuali ulteriori domande per analoga autorizzazione presentate da altre aziende farmaceutiche concorrenti.

La R. precisava di aver interesse ad ottenere copia dei documenti, onde tutelare (ai sensi dell’art. 61, d.lgs. n. 30/2005) i propri interessi giuridici, connessi alla titolarità dei diritti derivanti dal possesso del certificato complementare di protezione della specialità medicinale Zanepid (a base di lercanidipina), avente efficacia fino al 21 gennaio 2010.

L’A.i.f.a., però, con nota 16.12.2008 n.129370P aveva negato l’accesso agli atti, precisando peraltro che risultavano presentate 12 "procedure decentrate a base del principio attivo lercanidipina e che le domande sarebbero state regolarmente presentate, poiché l’art. 61, d.lgs. n. 30/2005 (richiamata dalla R. nell’istanza di accesso) non si applicherebbe alle procedure di mutuo riconoscimento e decentrate.

Avverso tale diniego proponeva ricorso, ai sensi dell’art. 25, legge n. 241/1990, la R. chiedendo, previo annullamento delle note A.i.f.a. 16 dicembre 2008 n. 129370P e 23 marzo 2009 n. 28871 (recanti il rigetto dell’istanza di accesso presentata dall’originaria ricorrente il 7 novembre 2008, al fine di farsi esibire le richieste di a.i.c. di alcune aziende farmaceutiche per produrre un farmaco generico a base di lercanidipina), l’accertamento del proprio diritto a prendere visione dei documenti richiesti nonché la condanna dell’A.i.f.a. ad esibirli, per violazione di legge e regolamento nonché eccesso di potere.

Nel marzo 2009 si costituivano in giudizio l’A.i.f.a. e la E. s.p.a. (unica controinteressata intimata), che preliminarmente eccepivano la necessità che il contraddittorio fosse esteso (mediante integrazione) alle altre aziende farmaceutiche, indicate nella nota di diniego di accesso gravata dall’A.i.f.a., e nel merito chiedevano il rigetto del ricorso poiché la R. non avrebbe provato di avere interesse concreto ed attuale, atteso che, da un lato, nessuna a.i.c. sarebbe stata rilasciata e, dall’altro, l’invocato art. 61, d.lgs. n. 30/2005, non sarebbe stato applicabile alle procedure decentrate.

Nelle more del giudizio, peraltro, con nota 23.3.2009 n. 28871, l’A.i.f.a., richiamata la precedente risposta, reiterava il diniego con diversa motivazione.

Pertanto, la R., acquisiti gli indirizzi delle ulteriori controinteressate (di cui 8 straniere), nell’aprile 2009 integrava il contraddittorio e notificava anche atto di motivi aggiunti (in data 20 aprile 2009) avverso il nuovo diniego di accesso, chiedendone l’annullamento, con unico articolato motivo, per i violazione della legge n. 241/1990, artt. 32224 e 25; del d.P.R. n. 184/2006, art. 9; del d.lgs. n. 30/2005, art. 66; infine, dell’art. 2584, c.c. e dei principi di pubblicità, trasparenza ed imparzialità della azione amministrativa, nonché per eccesso di potere per travisamento, carenti presupposti, vizio di motivazione, illogicità grave e difetto istruttorio.

Con memoria difensiva del maggio 2009 la E. chiedeva il rigetto dei motivi aggiunti, mentre si costituiva in giudizio la B. e G. s.r.l. che, preliminarmente eccepita la persistente necessità di integrare il contraddittorio e l’impossibilità di ampliare con altri documenti l’iniziale istanza di accesso presentata all’A.i.f.a., nel merito chiedevano il rigetto del ricorso.

B) – Il T.a.r. disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle società controinteressate, indicate nella nota dell’A.i.f.a. e non evocate in giudizio.

Nel settembre 2009 la R. s.p.a. provvedeva alla disposta integrazione, depositando gli atti nell’ottobre e dicembre 2009.

Con memorie difensive dell’ottobre e novembre 2009 la Doc. Generici (con sede a Milano), la T.P., la K.P.C. e la R.G. (tutte e tre con sede in Germania), con argomentazioni simili, dopo aver rilevato che la ricorrente nella sua istanza di accesso aveva chiesto di prendere visione solo della domanda di registrazione (e non degli allegati documenti), concludevano per il rigetto integrale del ricorso.

Nel dicembre 2009 si costituivano in giudizio le aziende farmaceutiche A.G. PTC (con sede in Islanda), M. D.A. (con sede in Danimarca), nonché M. Ltd e G.G. (entrambe con sede in Inghilterra), le quali, con unica memoria comune, preliminarmente eccepivano l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse, trattandosi di procedure ancora in corso, nonché, in subordine, l’improcedibilità dello stesso poiché il brevetto, nel frattempo, sarebbe venuto a scadere il 21 gennaio 2010, senza avere le contro interessate ottenuto un’a.i.c. per specialità medicinali contenenti il principio attivo in questione.

Inoltre, le medesime avrebbero già consegnato alla R. tutte le informazioni necessarie, mentre quest’ultima non avrebbe potuto fondare il suo interesse all’accesso sull’esigenza di tutelare il suo brevetto, risultando esclusa nel caso di specie l’applicabilità dell’invocato art. 61, comma 5, codice della proprietà industriale, che, lungi dall’essere una disposizione di carattere generale, si riferirebbe esclusivamente ai certificati nazionali (c.c.p.); qualora, invece, detta disposizione fosse risultata applicabile non solo ai brevetti nazionali, le controinteressate sopraindicate, in via gradata, ne eccepivano l’illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 76, Cost..

Nel merito, peraltro, il ricorso avrebbe dovuto ritenersi infondato per la genericità della domanda di accesso, limitata all’esibizione delle sole richieste di a.i.c., mentre, sotto altro profilo, l’accesso ai registri delle discusse società sarebbe stato limitato ai soli studi ed esperimenti di biodiversità, data la prevalente esigenza di tutelare la riservatezza, con riguardo ai metodi di produzione ed al know how di realizzazione del prodotto farmaceutico, considerato pure che i diritti brevettati sarebbero stati comunque tutelabili presso le competenti sezioni del Tribunale civile.

Anche la controinteressata T.I. s.r.l. (con sede a Milano) insisteva nel rigetto del ricorso, eccependo preliminarmente che la ricorrente non avrebbe avuto interesse concreto ed attuale all’accesso all’istanza di a.i.c., sia perché la tutela prevista dall’art. 61, comma 5, d.lgs. n. 30/2005, non sarebbe stata applicabile al caso specifico sia perché la tutela del brevetto sulle forme cristalline del principio attivo in questione non avrebbe potuto realizzarsi mediante l’accesso alla sola istanza di a.i.c. presentata dalle contro interessate, fermo restando che, comunque, non sarebbe stato consentito l’accesso ai registri contenenti informazioni confidenziali relative al know how ed ai vari metodi di produzione.

Infine, la R. ricorrente, dopo aver puntualmente replicato alle avversarie osservazioni, insisteva per l’accoglimento delle proprie conclusioni, con specifico riguardo al richiesto accesso agli studi sulla bioequivalenza oppure agli esperimenti alternativi finalizzati.

C) – In diritto la controversia concerneva il diniego di accesso opposto dall’A.i.f.a. alla R. che, dichiarando di essere titolare di un brevetto italiano del 1990 per la specialità medicinale Zamepid, a base di lercanidipina, e del connesso certificato complementare di protezione del 1998, con scadenza il 21 gennaio 2010, con istanza 16 novembre 2007 aveva chiesto copia delle domande presentate dalla M. (gruppo A.) e da altre (non note) aziende concorrenti, per ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale generico a base di lercanidipina.

Il Tribunale adìto, preso atto della circostanza che il ricorrente aveva provveduto ad integrare il contraddittorio nei confronti delle controinteressate aziende farmaceutiche, indicate nell’elenco all’uopo fornitole dall’Avvocatura Generale dello Stato, dichiarava improcedibile il ricorso introduttivo, poiché l’A.i.f.a., dopo l’instaurazione del giudizio, aveva reiterato il diniego d’accesso con la successiva nota del 23 marzo 2009 che, peraltro, richiamava espressamente anche la precedente pronuncia del 16 dicembre 2008.

Invece, i primi giudici disattendevano i plurimi profili d’inammissibilitàdel ricorso eccepiti dalle aziende controinteressate, tra cui la carenza di un interesse concreto ed attuale a conoscere le domande presentate per produrre un farmaco generico a base del principio attivo sopraindicato, risultando la descrizione del preparato contenuta nella scheda tecnica del relativo registro: ai sensi del d.lgs. n. 219/2006, artt. 8 e 10, l’azienda che presenta una simile istanza deve corredarla di un allegato tecnico contenente la descrizione del metodo di fabbricazione, nonché, tra l’altro, la formula della struttura e la formula molecolare, per cui la richiesta di accesso alle domande presentate all’A.i.f.a. sarebbe stata idonea a far acquisire alla R. le informazioni necessarie e sufficienti per tutelare il proprio assetto di interessi.

Neppure il ricorso sarebbe stato improcedibile sia perché, nel frattempo, in data 21 gennaio 2010, era venuto a scadenza il certificato complementare di protezione rilasciato alla R. nel 1998, sia perché (con specifico riguardo alle società del gruppo A.) le esigenze della ricorrente sarebbero già state soddisfatte, in quanto le medesime stavano già procedendo a fornire campioni di prodotto e documentazione necessaria a comprovare la non contraffazione dei diritti brevettati in questione: da un lato, la R. era titolare anche di altro brevetto (a protezione delle forme cristalline I e II) del principio attivo lercanidipina (concesso nel 2005), con scadenza il 6.8.2021, mentre, dall’altro, la stessa aveva titolo ad acquisire l’istanza di a.i.c., completa degli allegati documenti, onde valutarne l’incidenza sui propri interessi, senza essere vincolata da parallele iniziative collaborative dell’impresa controinteressata che, seppur utili, avrebbero potuto risultare non esaustive delle esigenze conoscitive della titolare del brevetto.

Inoltre, risultava irrilevante la circostanza che (all’epoca della domanda di accesso) l’A.i.f.a. non avesse rilasciato alcuna a.i.c., per tale farmaco generico, potendo il titolare del diritto di brevetto tutelarlo nei confronti di qualsiasi iniziativa altrui comunque riconducibile ad un progetto di utilizzazione (pur non immediata) del prodotto simile a quello brevettato (cfr. C.S., dec. n. 984/2000, secondo cui l’esigenza di tutelare posizioni giuridicamente rilevanti sorge, in capo al titolare del brevetto di una specialità medicinale, fin dall’avvio del procedimento amministrativo finalizzato al rilascio dell’a.i.c.).

D) – Dunque, la configurabilità di un interesse attuale e concreto all’accesso in capo all’originaria ricorrente (come da motivi aggiunti) non risultava esclusa neanche dall’inapplicabilità nel caso di specie del d.lgs n. 30/2005, art. 61, comma 5, trattandosi di una procedura di mutuo riconoscimento decentrato (non di una procedura nazionale), prescindendo il diritto di accesso da ogni valutazione circa la legittimità dell’operato della p.a., in quanto collegato alla situazione giuridica sussistente in capo all’interessato.

Appariva quindi irrilevante, ai fini del decidere, l’esame dell’eccezione d’incostituzionalità dell’art. 61, comma 5, d.lgs. 30/2005 (in riferimento all’art. 26, Cost.) sollevata dal gruppo A., per l’eventualmente ritenuta applicabilità della suddetta disposizione anche ai brevetti connessi ai sensi del regolamento 1768/92/C.e.e. (invece di un’applicazione limitata ai certificati complementari concessi ai sensi della legge nazionale n. 349/1991).

Né poteva ritenersi che la R., tramite l’accesso, mirasse ad ottenere dati riservati, la cui conoscenza esulasse dall’ambito della tutela accordata al proprio diritto di brevetto e fosse azionabile innanzi alle competenti sezioni del Tribunale ordinario (ex art. 128, d.lgs n. 30/2005): a parte ogni altro rilievo circa il diverso campo di applicazione delle norme sull’accesso e di quelle sulla tutela del brevetto, proprio azionando il diritto d’accesso alle domande in questione, essa avrebbe potuto acquisire gli elementi conoscitivi utili per valutare la sussistenza dei presupposti di diritto (nonché l’economia di mezzi) necessari per avvalersi della tutela del proprio brevetto in sede giurisdizionale, ove conveniente per i propri interessi imprenditoriali.

La citata sentenza veniva poi impugnata dall’A.i.f.a. che, tramite la difesa erariale, prospettava errori di giudizio precipuamente concernenti un’asserita carenza di presupposti legittimanti una domanda di accesso, mentre la R. appellata si costituiva in giudizio e, con apposita memoria, difendeva l’operato dei primi giudici, deducendo come la proponibilità di una richiesta di accesso potesse prescindere da ogni valutazione circa la legittimità dell’azione amministrativa; come fosse irrilevante l’assenza di a.i.c. rilasciate all’epoca della discussa istanza di esibizione docunebtale; infine, come dovesse escludersi ogni ipotizzabile tentativo di un non ammissibile controllo generalizzato sull’attività della p.a..

All’esito dell’udienza di discussione in camera di consiglio la vertenza passava in decisione, dopo che nel 2011 si erano costituite in giudizio anche la R. e la E., che chiedevano accogliersi l’appello A.i.f.a., in assenza di un interesse diretto, attuale e concreto della R. al discusso accesso documentale, in mancanza di intervenuti rilasci di a.i.c. per il farmaco in questione ed in presenza di un legittimo operato dell’A.i.f.a., conforme alla disciplina comunitaria ed alla consolidata giurisprudenza formatasi sulla materia.
Motivi della decisione

I) – Nella normativa comunitaria, non è disciplinato un obbligo dell’Autorità che rilascia l’autorizzazione di valutare se questa sia chiesta per un prodotto protetto da brevetto o da certificato complementare di protezione.

Tutte le direttive, a partire dalla 65/65, fino alla 2001/83, e lo stesso regolamento comunitario n. 2309/93 del 22 luglio 1993, in materia di autorizzazioni in commercio rilasciate a livello comunitario, sono strettamente incentrate sulle caratteristiche dei medicinali, delle modalità della loro fabbricazione, conservazione, controllo e valutazione e non si preoccupano di stabilire un collegamento tra autorizzazione ed esistenza di un brevetto.

L’unica disposizione, che si riferisca alla tutela della proprietà industriale e commerciale, è contenuta nell’articolo 4 della direttiva 65/65 e nell’articolo 10 della direttiva 2001/93: "salva la normativa relativa alla tutela della proprietà industriale" il richiedente l’autorizzazione non è tenuto a fornire una parte dell’usuale documentazione se dimostri che la specialità medicinale è simile ad un medicinale autorizzato nello Stato cui si riferisce la domanda; che il componente o i componenti siano di impiego medico ben conosciuto; che il medicinale sia essenzialmente analogo ad altro già autorizzato secondo le disposizioni comunitarie in vigore da almeno sei anni nella Comunità.

Tale indicazione sembra assolvere ad una funzione completamente diversa da quella ritenuta dall’appellante, vale a dire ad esentare le autorità concedenti l’autorizzazione da qualsiasi indagine circa l’esistenza di una protezione brevettuale, azionabile nelle sedi e con gli strumenti per essa previsti, onde garantire che l’autorizzazione all’immissione in commercio non pregiudichi in nessun caso i diritti sulla proprietà industriale e commerciale, disciplinati da diverse fonti normative.

Le fonti comunitarie non impongono, pertanto, all’Autorità rilasciante l’autorizzazione all’immissione in commercio di valutare l’esistenza o l’efficacia di una protezione brevettuale del prodotto, per cui, nella procedura di mutuo riconoscimento la p.a. italiana deve applicare solo la normativa comunitaria.

Ci si potrebbe chiedere se non esista una disposizione, nell’ordinamento interno italiano, derogante alle disposizioni comunitarie, integrandole e ponendo ulteriori obblighi a carico della p.a. procedente.

L’art. 3, comma 130, legge n. 549/1995, esclude che possa essere autorizzata l’immissione in commercio di generici farmaci protetti da brevetto o dal certificato protettivo complementare di cui alla legge n. 349/1991, ma tale disposizione non esplica effetti rispetto alla procedura del mutuo riconoscimento di cui all’articolo 9bis, d.lgs. n. 178/1991, entrato in vigore successivamente (nel 1997) alla legge n. 549/1995 e derogatorio rispetto ad essa, sia in quanto successiva sia in quanto iscritto all’interno di uno speciale procedimento di mutuo riconoscimento comunitario, inteso a semplificare la circolazione dei farmaci in ambito comunitario, attribuendo valore alla prima autorizzazione concessa da un Paese europeo (la normativa europea non si preoccupa affatto della tutela della proprietà, se non per ricordare che esistono differenti disposizioni che la tutelano e l’interpretazione proposta della vigente normativa interna e comunitaria non contrasta con le disposizioni in materia di tutela della proprietà intellettuale e commerciale, ma ha solo l’effetto di spostare le questioni relative nello Stato ove la prima autorizzazione sia stata accordata ovvero dinanzi alla competente autorità giudiziaria: cfr. C.S., sezione IV, dec. n. 3993/2004).

II) – Neppure l’istanza di accesso avrebbe potuto permettere un controllo generalizzato sulla attività dell’A.i.f.a., in quanto l’originaria ricorrente aveva interesse a verificare, l’effettiva equivalenza tra le proprie specialità medicinali e quelle generiche per le quali fosse stata richiesta l’a.i.c. dalle controinteressate; sul punto, l’istanza di accesso era stata esplicita (ultimo capoverso), mentre la stessa A.i.f.a., nella sua prima nota negativa 16.12.2008, aveva correttamente indicato le case farmaceutiche che avevano presentato "le procedure decentrate a base del principio attivo lercanidipina"; dimostrando in tal guisa di aver circoscritto l’oggetto della domanda, senza alcuna attività di tipo valutativo, esulante dall’ambito del dovere della p.a. di porre a disposizione degli interessati la documentazione collegata ad una loro situazione giuridicamente tutelata.

Venivano, quindi, respinte tutte le eccezioni d’inammissibilità ed improcedibilità, riconoscendosi alla R. la sussistenza di un suo interesse attuale e concreto ad accedere alle discusse domande di a.i.c., escludendosi pure che la domanda di accesso potesse risultare inammissibile, in quanto implicante non solo un’attività di ostensione documentale ma anche una vera e propria valutazione di un elevato numero di pratiche, operazione estranea all’ambito del diritto di accesso come interpretato dalla giurisprudenza amministrativa.

Infine, il collegio di primo grado condivisibilmente riteneva che la tutela del diritto alla riservatezza delle aziende farmaceutiche (riguardo ai metodi di produzione ed al knowhow di fabbricazione del principio attivo sopradetto) non potesse costituire un sufficiente motivo (invocando il divieto di accesso contemplato dal d.m. Sanità 31.7.1997 n. 353, art. 3, lett. o)) per negare l’esibizione di una qualunque documentazione: il diritto di accesso prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo ogni volta che detto accesso sia necessario per la difesa di interessi del richiedente giuridicamente rilevanti, come in presenza di un interesse a verificare l’effettiva equivalenza tra le proprie specialità medicinali brevettate e quelle generiche fatte oggetto di richiesta di a.i.c..

Conseguentemente, la R. aveva diritto ad accedere alle domande delle imprese contro interessate, corredate dagli studi sulla bioequivalenza o dalle prove alternative finalizzate comprovanti l’identità della composizione qualitativa e quantitativa delle sostanze attive, inserite nel medicinale equivalente, rispetto a quelle del medicinale del cui brevetto era titolare la ricorrente, escludendosi, invece, dall’accesso le descrizioni sommarie del processo di produzione dei preparati equivalenti, sussistendo in capo alle società controinteressate l’interesse prevalente alla riservatezza sui metodi di produzione e realizzazione dei prodotti.

In conclusione, l’atto di motivi aggiunti veniva correttamente accolto e, per l’effetto, la nota A.i.f.a. di diniego dell’accesso 23.3.2008 n.28871 veniva annullata, dichiarandosi il diritto dell’originaria ricorrente ad ottenere l’accesso (con relativo ordine di esibizione) alle domande presentate all’A.i.f.a., unitamente agli studi di bioequivalenza oppure di prove alternative, escluso dall’accesso qualsiasi documento attinente ai metodi di produzione ed al c.d. know how di fabbricazione, nel rispetto dei principi di diritto sopra esposti: il che impone di respingere l’appello, con salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese e gli onorari del giudizio di secondo grado seguono il principio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, respinge l’appello e condanna l’appellante A.i.f.a. a rifondere alla R., alla E. – L.E. ed alla R., in ragione di un terzo per ciascuna, le spese e gli onorari del giudizio di secondo grado, liquidati in complessivi euro tremila/00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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