Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-03-2011, n. 5966 Assegno di invalidità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27/2 – 30/3/07 la Corte d’Appello di Napoli rigettò l’appello proposto il 28/6/04 da N.P. avverso la sentenza emessa il 6/11/03 dal Tribunale di Napoli in funzione di giudice del lavoro, con la quale gli era stata parzialmente accolta la domanda diretta al conseguimento dell’assegno di invalidità con accertamento del suo diritto a fruire della provvidenza solo a decorrere dall’1/10/98, data della sua iscrizione nelle liste speciali del collocamento, e di conseguenza confermò la sentenza gravata. La Corte partenopea addivenne a tale decisione dopo aver rilevato che il precedente certificato del collocamento, datato 13/10/86, attestava l’iscrizione del N. nelle liste speciali dal 29/9/86 al momento del suo rilascio e che era, perciò, inidoneo a far presumere il permanere dell’iscrizione stessa per tutto l’arco di tempo trascorso fino alla successiva iscrizione dell’1/10/98. La Corte territoriale rilevò, altresì, che l’appellante, invitato con ordinanza del 28/11/06 a documentare la continuità dell’iscrizione nelle liste del collocamento speciale per il periodo intermedio compreso tra il 13/10/86 ed il 26/10/98, non vi aveva ottemperato.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il N., affidando l’impugnazione a tre motivi di censura. Resiste con controricorso l’Inps.
Motivi della decisione

1. Col primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 134 e 176 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che l’ordinanza resa dalla Corte territoriale il 28/11/06 non era stata letta in udienza, nonostante che dal verbale si evincesse che tale lettura vi era stata, per cui era stato leso il suo diritto di difesa, dal momento che egli non era stato posto nelle condizioni di apprenderne il contenuto e di documentare quanto richiesto col provvedimento stesso, vale a dire l’iscrizione nelle liste speciali del collocamento anche nel periodo intermedio compreso tra il 13/10/86 ed il 26/10/98.

Il quesito di diritto che viene posto al riguardo è il seguente: "Se è vero che allorchè il Giudice in sede di udienza processuale comunica alle parti esclusivamente di decidere la causa, e poi a seguito di riunione in Camera di consiglio, in luogo di un dispositivo di sentenza emette una ordinanza istruttoria che non legge in udienza poichè quest’ultima non venne più riaperta, la stessa debba essere comunicata a cura del cancelliere ai sensi degli artt. 134 e 176 c.p.c., non potendo essere considerata quale ordinanza pronunciata in udienza." Il motivo è palesemente destituito di fondamento.

Anzitutto, la doglianza inerente la presunta non veridicità del contenuto del verbale relativo alla disposta lettura dell’ordinanza camerale non è supportato da querela di falso.

Invero, come la Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 440 del 12/1/2009) "al verbale di udienza, sia essa pubblica o camerale, deve attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in sua presenza, per cui, in difetto della descritta querela e di una sentenza che accerti la non veridicità de verbale, trova applicazione il principio generale di cui all’art. 76 c.p.c., comma 2, per il quale le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi".

In maniera ancora più specifica (Sez. 3, n. 19299 dell’8/9/2006) si è chiarito che "nel rito del lavoro deve attribuirsi fede privilegiata, fino a querela di falso, al verbale di udienza redatto dal cancelliere, anche con riferimento alla parte contenente l’indicazione dell’avvenuta lettura del dispositivo in udienza; ne consegue che l’allegata omissione della lettura in udienza del dispositivo della sentenza (requisito previsto a pena di nullità della sentenza stessa) non può essere provata per testimoni, e che rimane irrilevante, ove sia mancata la proposizione della querela di falso, che la parte deduca, nei propri scritti difensivi, che la lettura del dispositivo in udienza in realtà non sia mai avvenuta." Invece, per quel che concerne la lamentata mancata comunicazione dell’ordinanza, si osserva che il tema è stato già affrontato dalla Sezione lavoro di questa Corte nel momento in cui si è affermato (Cass. Sez. Lav. n. 10539 del 9/5/2007) che "in tema di comunicazione dei provvedimenti del giudice, a mente dell’art. 176 le ordinanze pronunciate dal giudice in udienza ed inserite nei processo verbale a norma dell’art. 134 cod. proc. civ. si reputano conosciute sia dalle parti presenti sia da quelle che avrebbero dovuto intervenire, e pertanto non devono essere comunicate a queste ultime dal cancelliere. A tal fine resta irrilevante che il giudice (nella specie la Corte d’appello in una controversia celebrata con il rito del lavoro) si sia ritirato in camera di consiglio e abbia dato lettura dell’ordinanza al termine della stessa, in assenza dei legali dalle parti. (Nella specie, relativa a un caso in cui la lettura aveva avuto luogo alle ore 22,50 rinviando per l’espletamento delle prove ammesse ad alcuni mesi di distanza, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva deciso la causa dopo la declaratoria di decadenza dalla prova per mancata presentazione della parte e dei testi all’udienza fissata)".

In ogni caso, anche a voler prescindere dalla motivazione inerente la mancata ottemperanza all’invito giudiziale di produzione della documentazione integrativa, resta il dato di fatto insuperabile che il quesito non intacca per nulla l’aspetto centrale della questione, vale a dire l’accertata mancanza di prova della sussistenza dell’elemento costitutivo dell’iscrizione nelle liste speciali del collocamento nel periodo intermedio tra i due certificati prodotti in giudizio.

2. Col secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 (nella parte in cui prevede la necessità che gli invalidi civili parziali aventi diritto all’assegno d’invalidità siano "incollocati al lavoro") in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e si chiede di accertare se è vero che il requisito dell’incollocazione al lavoro previsto dalla suddetta norma consiste nello stato di disoccupazione o di non occupazione, per cui lo stesso può essere provato con tutti i mezzi di prova, comprese le presunzioni. In pratica, secondo tale assunto, essendo l’iscrizione nelle liste speciali del collocamento uno degli elementi che può far presumere la sussistenza dello stato di incollocazione, la relativa prova può essere fornita con ogni altro mezzo ordinario. Il motivo è infondato in quanto trascura il dato essenziale rappresentato dal fatto che l’iscrizione nelle liste speciali del collocamento dei disabili rappresenta, al pari del requisito reddituale e di quello sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla fruizione dell’assegno di invalidità di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 13 per cui non può essere semplicemente presunta ma deve essere provata. Invero, è indirizzo costante della suprema Corte quello di ritenere che "in relazione al diritto all’assegno previsto dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 a favore dei mutilati ed invalidi civili con capacità lavorativa ridotta di oltre due terzi e "incollocati al lavoro", il requisito della incollocazione al lavoro rappresenta – al pari della ridotta capacità lavorativa e del requisito economico e reddituale di cui agli artt. 12 e 13 della legge citata – un elemento costitutivo del diritto alla prestazione, la cui prova è a carico del soggetto richiedente la prestazione , e non già una mera condizione di erogazione del beneficio che possa essere accertata in sede extragiudiziale." (ex multis v. Cass. Sez. Lav. n. 13279 del 10/9/2003) Si è anche precisato che è sufficiente la presentazione della domanda per l’iscrizione alle predette liste, la qual cosa non autorizza certo a ritenere, come sostenuto infondatamente dal ricorrente, che lo stato di incollocazione può essere anche presunto.

Infatti, si è espressamente statuito (Cass. sez. lav. n. 23762 del 10/11/2009) che "in relazione al diritto all’assegno previsto dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 13 a favore dei mutilati ed invalidi civili con capacità lavorativa ridotta di oltre due terzi e "incollocati al lavoro", il requisito della incollocazione al lavoro rappresenta – al pari della ridotta capacità lavorativa e del requisito economico e reddituale di cui agli artt. 12 e 13 della legge citata – un elemento costitutivo del diritto alla prestazione, per la cui prova, a carico del soggetto richiedente la prestazione, è sufficiente l’allegazione della domanda di iscrizione nelle liste speciali del collocamento obbligatorio, indipendentemente dall’esito della visita presso le commissioni sanitarie", (in senso conforme v.

Cass. sez. lav. n. 13622 del 13/6/2006).

3. Col terzo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. e dell’art. 2729 c.c., comma 1, nonchè dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e si chiede di accertare se è vero che ai fini della concessione dell’assegno "de quo" la sussistenza del requisito dell’incollocazione possa essere presunta in presenza dell’iscrizione nelle liste speciali in due diversi momenti e con qualifiche diverse, unitamente alla mancata produzione di redditi nel lasso temporale tra la prima e la seconda iscrizione. Anche tale motivo è infondato.

Invero, è da escludersi che possa astrattamente presumersi la permanenza di una situazione, quale quella della incollocazione che, in considerazione della finalità che è destinata ad assolve nella materia che qui interessa, presuppone quanto meno una domanda di iscrizione al collocamento e che può anche subire modifiche nel tempo. Al contrario, una presunzione logica è quella ravvisata dal giudice d’appello nel fatto che dalla incontroversa circostanza dell’esistenza di un secondo certificato di iscrizione rilasciato a dodici anni di distanza dal primo poteva trarsi, semmai, la convinzione che nel periodo intermedio il ricorrente fosse stato cancellato dalle liste per poi essere reiscritto. Nè ha pregio il tentativo del ricorrente di accreditare la presunzione da lui sostenuta sulla base del richiamo al certificato del 4 marzo 2007 dell’Ufficio del Collocamento di Napoli dal quale si evincerebbe che egli era stato iscritto ininterrottamente nelle liste speciali dal 29/9/86 all’1/3/05, in quanto trattasi di produzione documentale nuova, di data addirittura successiva alla emissione della stessa sentenza d’appello, come tale inammissibile.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1500,00 per onorario, Euro 12,00 per esborsi, nonchè spese generali, IVA e CPA ai sensi di legge.

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