Cons. Stato Sez. V, Sent., 03-02-2011, n. 794

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A) – Il servizio di smaltimento rifiuti solidi urbani, nel bacino Taranto 1, viene svolto attraverso l’impianto pubblico sito nel comune di Massafra e gestito dalla concessionaria C. s.p.a.

La normativa attualmente in vigore è contenuta nei decreti del commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia, rispettivamente n. 296 del 30 settembre 2002 e n. 187 del 9 dicembre 2005.

Essa stabilisce in particolare che il comune sede dell’impianto a servizio del bacino di riferimento ha diritto di percepire un ristoro ambientale la cui esatta determinazione è rimessa alla competenza della A.a.t.o., la cui presidenza spetta al sindaco del comune di Massafra.

In data 7 febbraio, la predetta assemblea veniva convocata proprio al fine di fissare la misura del ristoro ambientale. Nell’occasione, veniva approvata la proposta del Presidente dell’A.a.t.o., ossia il sindaco del comune di Massafra.

All’esito di un più approfondito esame, i ricorrenti si avvedevano tuttavia di un errore circa la quantificazione dell’importo in questione.

In relazione all’incremento tariffario veniva, dunque, proposto ricorso per i seguenti motivi:

a) violazione del decreto del commissario delegato n. 296 del 202, nella parte in cui, nel determinare l’importo del ristoro ambientale, la prevista aliquota del 10% era stata calcolata su tutte le voci concorrenti a formare la tariffa rifiuti (ossia ammortamento, costo di esercizio, spese di chiusura ed utile di impresa) e non soltanto sulle prime tre (dunque, con esclusione degli utili); vi sarebbe stata pure duplicazione tra tale importo e la somma già riscossa a titolo di contributo ambientale, ai sensi della legge reg. Puglia n. 13/1996;

b) difetto di motivazione, in quanto non sarebbero state esplicitate le ragioni per cui si era ritenuto di applicare l’aliquota massima (10%) prevista a tal fine dal citato decreto commissariale.

Si costituiva in giudizio il comune di Massafra, che evidenziava la libertà di determinazione dell’importo. a titolo di ristoro ambientale. da parte dell’autorità di bacino, atteso che la ridetta disposizione commissariale prevedeva l’aliquota del 10%, ma "salva diversa determinazione" dell’Autorità di bacino.

Il T.a.r. adìto accoglieva un’istanza cautelare "considerato, ad una prima delibazione, che il criterio di calcolo della voce relativa al c.d. "ristoro ambientale" debba fare riferimento ad una parte determinata della tariffa (costi per ammortamenti, gestione e postchiusura), e non alla tariffa nella sua integralità (ricomprendente ossia anche la parte destinata agli utili)", nonché "considerato in ogni caso che anche le delibere in questione, attesa la loro natura di atto amministrativo, debbono sottostare all’obbligo di motivazione, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990".

Con ordinanza n. 4577 del 2008, il Consiglio di Stato, "considerata l’incontestata debenza, almeno parziale, di quanto in contestazione, considerato che va esclusa la parte di tariffa riservata agli utili e considerato, con riferimento alle censure relative alla quantificazione di tale parte residua, che la stessa può essere fissata nella misura del 5% anziché del 10%, fino all’eventuale rideterminazione della stessa della parte dell’amministrazione", accoglieva l’appello e riformava nei sensi indicati la citata ordinanza, respingendo l’istanza cautelare proposta in prime cure.

In vista della pubblica udienza, la difesa di parte resistente depositava nota in data 12 maggio 2008 del commissario delegato per l’emergenza ambientale nella regione Puglia, con la quale si affermava peraltro che il contributo a titolo di ristoro ambientale doveva ritenersi assorbente di quello definito, allo stesso titolo, dalla legge reg. n. 13/1996.

B) – Il ricorso risultava fondato nei sensi di seguito indicati.

La tariffa rifiuti, ai sensi del punto 8.3. del decreto commissariale n. 296 del 2002, è composta dalla sommatoria di quattro voci: a) costi di ammortamento; b) costi di esercizio; c) spese di chiusura; d) utile di gestione, spese amministrative e ristoro ambientale.

Secondo la predetta disposizione, il ristoro ambientale, in favore del comune sede di impianto, è determinato nella misura del 10% calcolato sulla sommatoria di tre delle quattro voci concorrenti a determinare la tariffa di conferimento, ossia i costi per ammortamenti, gestione e postchiusura, con esclusione dunque della parte riservata agli utili.

Il ristoro ambientale in favore del comune di Massafra era stato, invece, determinato assumendo quale parametro di riferimento l’intera tariffa di conferimento, come risultante dalle quattro componenti (le tre voci di costo oltre a quella concernente gli utili e le spese amministrative).

La suddetta deliberazione riconosceva tale importo "nella misura del 10% della tariffa attualmente in vigore": così disponendo, emergeva come fosse stata automaticamente considerata l’intera tariffa, con inclusione altresì della voce concernente utili di gestione e spese amministrative, in senso palesemente contrario alla lettera ed alla ratio della norma.

Quella del 10% doveva essere intesa alla stregua della misura massima applicabile, come da canoni di ragionevolezza e proporzionalità ed anche dalla lettura della disposizione di cui al punto n. 8.3., che prevede un ulteriore incremento della tariffa, pari al 10% massimo dell’importo della medesima, per i comuni posti al di fuori del bacino d’ambito.

C) – Ora, non potrebbe certamente ammettersi che i comuni collocati all’interno dello stesso bacino siano sottoposti ad un trattamento deteriore rispetto a quelli posti al di fuori di esso: il che si verificherebbe qualora si accedesse, piuttosto, alla tesi propugnata dalla difesa del comune, che afferma che con l’inciso "salva diversa determinazione" si sarebbe voluto attribuire alla discrezionalità dell’A.a.t.o. la possibilità di imporre aliquote anche superiori al 10% e, dunque, senza limiti ulteriori di fissazione in tal senso: con ogni conseguenza, da un lato, in ordine alla sostanziale indeterminatezza dei criteri (previsione di per sé illegittima), e, dall’altro lato, in merito all’individuazione di parametri ed importi superiori a quelli applicati nei confronti dei comuni fuori ambito, in modo del tutto irrazionale e sproporzionato.

Per tali ragioni, il 10% da calcolare sulle tre voci di costo, a titolo di ristoro ambientale, doveva essere allora inteso come aliquota massima, derivandone ulteriormente che l’inciso "salva diversa determinazione" era da intendersi come facoltà di applicare aliquote inferiori e giammai superiori a tale soglia.

La deliberazione impugnata, nel determinare la predetta forma di ristoro, avrebbe dovuto tenere conto di quanto il comune di Massafra già percepiva, sempre a titolo di ristoro ambientale, in relazione all’impianto di discarica.

Si era, infatti, duplicato il ristoro ambientale in favore del comune, dal momento che l’atto impugnato aveva direttamente applicato l’aliquota massima, senza tenere conto di quanto già percepito, ai sensi della legge reg. n. 13/1996 (c.d. subtariffa rifiuti in discarica di soccorso), all’interno dei costi di esercizio.

In altre parole, poiché l’aliquota del 10% prevista dal decreto n. 296/2002 assorbiva quello di 1,03 euro/t. definito con la cit. legge reg. n. 13/1996, l’A.a.t.o. avrebbe dovuto detrarre dall’importo riconosciuto al comune quello del ristoro ambientale già incorporato nella tariffa, per effetto della richiamata disposizione regionale.

Veniva poi condiviso anche il dedotto difetto di motivazione, non essendo state in ogni caso esplicitate le ragioni per cui si era ritenuto di applicare l’aliquota massima consentita e ciò soprattutto in considerazione del notevole impatto che la stessa avrebbe potuto provocare nella sfera di cittadini ed imprese.

Veniva, dunque, annullata la deliberazione n. 3 del 7 febbraio 2008 dell’A.a.t.o. Taranto 1.

D) – Il comune di Massafra impugnava detta sentenza, eccependo la tardiva (in data 12 aprile 2008) notificazione del ricorso introduttivo a se medesimo e la mancata notificazione all’A.a.t.o. Taranto 1; la violazione del decreto commissariale n. 296/2002; infine, il vizio di motivazione dell’impugnata pronuncia, quanto al fraintendimento delle discusse percentuali di ristoro ambientale.

L’Associazione consumatori organizzati si costituiva in giudizio e resisteva all’appello.

Con ordinanza interlocutoria n. 206/2010 questa sezione V disponeva incombenti istruttori, dopo l’accoglimento di un appello cautelare con ordinanza n. 4577/2008 (riformante quella di accoglimento della domanda cautelare spiegata in prime cure e, dunque, respinta in appello).

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione.
Motivi della decisione

I) – Il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Puglia è disciplinato, in particolare, dalla legge regionale n.17/1993, come modificata dalla legge regionale n.13/1996 e dalla normativa contenuta nei decreti del commissario delegato per l’emergenza ambientale in detta regione, rispettivamente n. 296 del 30 settembre 2002 e n. 187 del 9 dicembre 2005.

Più esattamente, la legge regionale stabilisce quanto segue.

Il comune, nel cui territorio è stabilita la localizzazione dell’impianto, è tenuto a rendere disponibile l’impianto a servizio di tutti i comuni compresi nel relativo bacino di utenza. I costi di smaltimento sono ripartiti tra i comuni interessati in proporzione all’entità dei rifiuti conferiti all’impianto da ciascun comune….. I costi di gestione degli impianti dovranno indicare le modalità di revisione delle tariffe di smaltimento.

Il quadro economico di cui al comma 2 dovrà esplicitare i costi relativi alla gestione e quelli relativi agli ammortamenti. Dei costi relativi alla gestione fanno parte quelli per le attività di sensibilizzazione ed educazione ambientale, con particolare riguardo al perseguimento degli obiettivi di riduzione della quantità dei rifiuti prodotti e della raccolta separata degli stessi. Tra i costi di gestione occorrerà tener conto dei costi socioambientali connessi con la gestione dell’impianto. Detti costi, determinati sulla base delle quantità di rifiuti conferiti, confluiranno in un apposito fondo del comune sede di impianto e sarà destinato alla bonifica e riqualificazione di siti inquinati, ivi comprese le aree industriali dismesse, al recupero delle aree degradate, alla realizzazione di centri di socializzazione e di attrezzature per lo sport e il tempo libero. L’incidenza del costo non potrà superare due lire per ogni chilogrammo di rifiuto conferito.

L’art. 7, legge regionale n.13/1996, consente poi l’assegnazione di un contributo da erogarsi secondo criteri stabiliti dalla Giunta regionale ed attraverso i fondi pervenuti alla regione, ai sensi del comma 27 dell’art. 3 della legge 28 dicembre 1995 n. 549. destinati tra l’altro a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia, con priorità per i soggetti realizzanti sistemi di smaltimento alternativi alle discariche, nonché a far luogo alla bonifica dei suoli inquinati, ivi comprese le aree industriali dimesse.

II) – La normativa commissariale stabilisce poi in particolare (v. decreto n. 296/2002, capitolo 8, recante criteri di determinazione della tariffa per il conferimento in discarica controllata dei rifiuti urbani) che:

– la tariffa di conferimento dei rifiuti, è composta dalla sommatoria di quattro voci: a) costi di ammortamento; b) costi di esercizio; c) spese di chiusura; d) utile di gestione, spese amministrative e ristoro ambientale;

– il ristoro ambientale in favore del comune sede di impianto è determinato nella misura del 10% calcolato sulla sommatoria di tre delle quattro voci concorronti a determinare la tariffa di conferimento, ossia i costi per ammortamenti, gestione e chiusura, con esclusione dunque della parte riservata agli utili, salve diverse valutazioni e determinazioni dell’Autorità unica di gestione dei rifiuti urbani del relativo bacino;

– la tariffa potrà essere incrementata del 10% al massimo per i comuni che conferiscano da fuori bacino….

Il successivo capitolo 9, recante criteri per la determinazione della tariffa unica di gestione unica dei c.d. impianti complessi del ciclo dei rifiuti urbani, prevede una tariffa di conferimento assorbente le tariffe delle singole fasi operative, ivi comprese quelle della discarica.

III) – Osserva il collegio che l’odierna vicenda contenziosa riguardava la legittimità dei criteri di calcolo adottati per la determinazione del ristoro ambientale dovuto al comune sede della discarica controllata (in riferimento, quindi, alla tariffa di discarica e non dell’impianto complessivo) alla luce del capitolo 8, punto 8.3, medesimo decreto.

Il comune, a questo proposito, sosteneva che, dopo gli aumenti tariffari (euro 83,72/tonn., anziché 59,44/tonn.), conseguenti alla decisione n. 1757/2008 di questa stessa sezione, ove pure si fosse applicata la percentuale massima del 10%, si sarebbe determinato per il ristoro ambientale un valore di circa 7,70 euro, superiore ai vigenti 6,60 euro).

Ma il comune di Massafra non aveva evidenziato in concreto, con qualche argomentazione, i motivi per i quali la soprarichiamata pronuncia del giudice di appello avrebbe dovuto riflettersi sull’odierno contenzioso, determinandone la sopravvenuta carenza d’interesse, venendo in rilievo la diversa modalità di calcolo del ristoro ambientale e, quindi, un contrasto che, ove non definito nel merito, avrebbe potuto perpetuarsi indipendentemente dall’entità della tariffa dovuta al concessionario.

Analoghe considerazioni dovevano valere quanto al "contributo chiarificatore del commissario delegato per la emergenza ambientale che in data 12.5.2008 specificava che il contributo relativo al ristoro ambientale non era compreso nella tariffa rifiuti".

Ma la portata di tale chiarimento (diretto a quanto sembra a sottolineare la distinzione della tariffa da erogarsi al concessionario, rispetto al contributo relativo al ristoro ambientale da corrispondersi al comune) non avrebbe potuto determinare alcuna conseguenza diretta sul provvedimento impugnato, pur sempre produttivo dei suoi effetti giuridici, così escludendosi ogni ipotizzabile improcedibilità.

Secondo il comune, "il 10% previsto per il ristoro ambientale.. è un parametro statico non suscettibile di diversa applicazione se non attraverso successive diverse valutazioni. L’assemblea A.a.t.o. si è limitata a recepire il dato normativo, senza esercitare la propria attività discrezionale in ordine al quantum della percentuale".

A parte il fatto che la censura non argomentava in alcun modo in ordine all’errore asseritamente compiuto dal primo giudice, secondo cui non avrebbe potuto ammettersi che i comuni collocati all’interno dello stesso bacino venissero sottoposti ad un trattamento deteriore rispetto a quelli posti fuori di esso, in ogni caso la censura appare infondata in quanto dal suo accoglimento deriverebbe la possibilità d’imporre ai comuni di bacino qualunque contributo ambientale senza alcun limite, in spregio a principi di ragionevolezza e proporzionalità del trattamento loro riservato rispetto ai comuni fuori ambito.

IV) – Peraltro, il procedimento seguito dal comune per giungere all’importo di 7,70 euro per tonnellata muoveva dall’erroneo presupposto di dover calcolare il contributo per ristoro ambientale nel 10% della somma delle prime tre voci di costo dell’impianto complesso, costi diversi da quelli della discarica.

Da quanto sopra discendeva l’impossibilità logicogiuridica di calcolare il ristoro ambientale sulla base di componenti diverse e maggiori dell’impianto complesso, mentre la più ampia tariffa di quest’ultimo non contempla in alcuna sua parte i costi di chiusura, con palese impossibilità di calcolare il ristoro ambientale sulla base di siffatta tariffa.

Non poteva che risultare, quindi, erronea l’affermazione A.a.t.o. di voler determinare il contributo nella misura del 10% di tutte le voci concorrenti all’intera tariffa di riferimento atteso che, invece, il contributo andava calcolato solo sulle prime tre voci di costo della tariffa della discarica: ossia sul 10% della somma tra i costi di ammortamento, esercizio e smaltimento.

Secondo il comune, inoltre, l’A.a.t.o. non avrebbe potuto imporre il ristoro ambientale a carico dei comuni interni al bacino, non avendo fatto altrettanto a carico di quelli esterni ad esso.

Ma il decreto n. 296/2002, al punto 8.3, prevedeva un ristoro ambientale come indennizzo per la collettività convivente con un impianto di smaltimento di rifiuti e, se il quantum di tale ristoro ambientale è rimesso alle determinazioni dell’A.a.t.o., non certo lo è l’an, essendo indubbia la debenza del contributo da parte del comune ospitante per la presenza e lo smaltimento dei rifiuti nel suo ambito.

In tale situazione non è configurabile alcuna disparità di trattamento, in quanto la normativa di riferimento prevede il ristoro sia a carico dei comuni di bacino che di quelli fuori bacino, non esonerati dal pagamento.

Il fatto che l’A.a.t.o., nella deliberazione impugnata avesse determinato, allo stato, il ristoro per i soli comuni interni non poteva apparire significativo e non poteva viziare per ciò solo la determinazione, non emergendo da ciò l’esonero per quelli esterni dal pagamento del ristoro ambientale, mentre non potrebbe comunque ammettersi che i comuni interni vengano sottoposti ad un trattamento deteriore rispetto a quelli esterni, con l’effetto che il 10%, da calcolare sulle tre voci di ristoro ambientale computate per la sola discarica, deve essere inteso come aliquota massima.

In conclusione, deve essere respinto l’appello, con salvezza dell’impugnata sentenza (pur più accuratamente motivata), mentre le spese e gli onorari del secondo grado di giudizio possono interamente compensarsi per giusti motivi tra le parti ivi costituite, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e della natura della vertenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, respinge l’appello e compensa interamente spese ed onorari del giudizio di secondo grado tra le parti costituitevi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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