Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-03-2011, n. 5965 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 14/5 – 23/6/07 la Corte d’Appello di Napoli rigettò l’appello proposto il 28/6/02 da T.P. avverso la sentenza emessa il 12/6/01 dal Tribunale di Benevento in funzione di giudice del lavoro, con la quale gli era stato respinto il ricorso diretto all’accertamento della inesistenza dell’obbligo di versamento dei contributi previdenziali per un importo complessivo di L. 43.617.000 addebitatogli a titolo di omesso pagamento di contributi e sanzioni in relazione ad un monte orario di 40 ore settimanali previste dal c.c.n.l. del settore edile, e verificato che la somma richiesta dall’Inps discendeva dalla corretta applicazione dei principio del minimale contributivo, di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 341, art. 29 confermò la sentenza gravata, compensando le spese del grado. La Corte partenopea addivenne a tale decisione dopo aver rilevato che la corretta applicazione del suddetto principio normativo da parte dell’ente previdenziale rendeva superflua la prova richiesta dall’appellante per la dimostrazione dell’asserita discontinuità dell’attività lavorativa, tanto più che il medesimo non poteva genericamente invocare le cause di esclusione della stessa contribuzione che non erano state dedotte specificamente nel ricorso di primo grado. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il T., affidando l’impugnazione a due motivi di censura.

Resistono con controricorso l’Inps e l’Inail. L’Inail deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1. Col primo motivo si denunzia la violazione e la falsa applicazione del D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 29 convertito nella L. 8 agosto 1995, n. 341, nonchè la violazione e la falsa applicazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 in relazione al D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389. In concreto, il ricorrente sostiene che nel caso di consensuale sospensione del rapporto di lavoro per accordo tra datore di lavoro e lavoratore, per effetto del quale non sorge alcuna obbligazione di prestare lavoro, nè quella di corrispondere la retribuzione, la L. n. 341 del 2005, art. 29 non impone alcun minimale contributivo a carico del datore di lavoro, nè alcuna obbligazione previdenziale per il detto periodo di sospensione.

2. Col secondo motivo si deducono i seguenti vizi della sentenza impugnata: omessa e carente motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 116 cod. proc. civ. per omessa ammissione e valutazione delle prove richieste dalla ditta appellante sin dal primo grado del giudizio e della prova documentale allegata al fascicolo di 1 grado; omessa o carente motivazione circa un punto decisivo della controversia – ulteriore violazione della L. n. 341 del 1995, art. 29 – contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5). In pratica il ricorrente si lamenta che la decisione impugnata non abbia considerato le circostanze che avevano determinato la sospensione dell’attività lavorativa, secondo le sue specifiche allegazioni, mancando, altresì, di spiegare le ragioni del diniego di ammissione della prova testimoniale. primi due motivi, da esaminare congiuntamente, non sono fondati. In tema di contribuzione dovuta dai datori di lavoro esercenti attività edile, il D.L. n. 244 del 1995, art. 29 convertito nella L. n. 341 del 1995, nel determinare la misura dell’obbligo contributivo previdenziale ed assistenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, prevede l’esclusione dall’obbligo contributivo di una varietà di assenze, tra di loro accomunate dal fatto che vengono in considerazione situazioni in cui è la legge ad imporre al datore di lavoro di sospendere il rapporto.

Ne consegue che, ove la sospensione del rapporto derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti, continua a permanere intatto l’obbligo retributivo, dovendosi escludere, attesa l’assenza di una identità di "ratio" tra le situazioni considerate, la possibilità di una interpretazione estensiva o, comunque, analogica, e ciò tanto più che la disposizione ha natura eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente mediante decreti interministeriali.

Nè si pongono dubbi sulla costituzionalità della disciplina sulle esclusioni, perchè le situazioni regolate diversamente non sono uguali, nè assimilabili per i motivi che sono stati evidenziati sottolineandosi la peculiarità dell’intento della norma che prevede le esclusioni (cfr. Cass. n. 21700 del 2009; n. 16601 del 2010).

Quanto alla doglianza inerente la lamentata mancata specificazione delle ragioni di esclusione della prova testimoniale diretta alla dimostrazione della causa della sospensione dell’obbligazione contributiva è agevole rilevare che, contrariamente all’assunto del ricorrente, non solo il giudice d’appello motivò il rigetto del mezzo istruttorio, ma che la relativa motivazione, vale a dire la considerazione che la questione posta concerneva esclusivamente l’esegesi della norma invocata, era assolutamente corretta, tanto più che il relativo "excursus motivazionale" ha trovato conferma attraverso la presente decisione. In conclusione il ricorso va respinto.

Le spese di giudizio si compensano in ragione della difficoltà delle principali questioni esaminate e del consolidarsi recente della giurisprudenza richiamata.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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