Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-03-2011, n. 5964 Assegno di invalidità Assicurazioni sociali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9/2 – 17/2/07 la Corte d’Appello di Firenze rigettò l’appello proposto il 2/5/06 da G.A. avverso la sentenza emessa il 26.4/3.5.2005 dal Tribunale di Grosseto in funzione di giudice del lavoro, con la quale gli era stato respinto il ricorso diretto al conseguimento dell’assegno ordinario di invalidità sulla scorta della relazione medico – legale d’ufficio a lui sfavorevole, e per l’effetto confermò la sentenza gravata e compensò le spese processuali.

La Corte fiorentina addivenne a tale decisione dopo aver ritenuto di poter condividere l’obiettività delle conclusioni peritali di prime cure che avevano consentito di appurare che il G., una volta abbandonata sin dal 1999 l’attività di carpentiere per quella di tipografo o di addetto a compiti di utilizzo di fotocopiatrici e ciclostili, era ancora in grado di svolgere un gran numero di mansioni esecutive e d’ordine nel settore degli uffici e dei servizi in genere, non avendo perso la relativa capacità di lavoro in misura superiore ai 2/3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il G., il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso l’Inps.
Motivi della decisione

1. Col primo motivo il ricorrente adduce che la sentenza impugnata è viziata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ( L. n. 222 del 1984, art. 1), in quanto la Corte d’appello di Firenze ha riconosciuto come attitudini valutabili ai fini dell’accertamento della riduzione della capacità lavorativa quelle da lui svolte gratuitamente al di fuori di un vero e proprio rapporto di lavoro o di un’attività di impresa, con conseguente mancanza di riferimento ad attività lavorative proficue.

A conclusione del motivo viene posto il seguente quesito di diritto:

"Voglia la Corte di Cassazione riconoscere e dichiarare che, in relazione alla L. n. 222 del 1984, art. 1 la valutazione della riduzione della capacità lavorativa dell’assicurato deve essere fatta relativamente alle attività lavorative esercitate dal ricorrente e che hanno dato luogo alla posizione assicurativa dello stesso, ovvero a quelle diverse, esercitate successivamente, purchè non usuranti, e che possano essere considerate come attività lavorative ritenute espressione di un lavoro proficuo e non già espressione di un qualsiasi lavoro, confermando sul punto l’orientamento già espresso dalla Suprema Corte con varie sentenze(Cass. Lav. 11656/90 e 6185/84)". 2. Col secondo motivo il ricorrente si duole, invece, del fatto che la sentenza della Corte d’Appello di Firenze è viziata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in quanto affetta da una serie di errori, inerenti il luogo di lavoro ed il tipo di prestazione lavorativa svolta, influenti sul percorso logico-motivazionale della decisione impugnata.

Al riguardo il ricorrente pone il seguente quesito: "Voglia la Corte di Cassazione riconoscere e dichiarare l’insufficienza e l’erroneità di motivazione della sentenza della Corte d’appello di Firenze, consistente nella indicazione di una cooperativa agricola in luogo della Comunità di Nomadelfia, nella quale il ricorrente, G. A., è andato a vivere ed ha svolto attività lavorativa gratuita, facendo occasionalmente uso di fotocopiatrice e di ciclostile, precisando la Suprema Corte che lo svolgimento di tale attività gratuita e occasionale, non può essere configurata come ipotesi di attività lavorativa da prendere in considerazione per affermare la non riduzione a meno di un terzo della capacità lavorativa del ricorrente, essendo tenuto il giudice ad operare tale valutazione solo in presenza di un’attività lavorativa svolta dall’assicurato in forma effettiva, costante e stabile, come già affermato dalla Suprema Corte (Cas. Lav. 27/3/90, n. 2449) e non già con riferimento ad ipotesi astratte ed immaginarie".

Anzitutto, corre obbligo rilevare che i precedenti giurisprudenziali richiamati nei quesiti, vale a dire le massime n. 11656/90 e n. 2449/90 della sezione lavoro di questa Corte, attengono alla diversa ipotesi della pensione di inabilità che presuppone l’inabilità totale al lavoro, mentre il precedente indicato col n. 6185/84 concerne una fattispecie civilistica assolutamente estranea al presente tema di indagine, per cui tali precedenti si rivelano inconferenti rispetto alla questione oggi trattata dell’assegno ordinario di invalidità di cui alla L. n. 222 del 1984. 1.1. Ciò premesso si rileva che attraverso il primo motivo il ricorrente tenta di porre in discussione l’esito a lui sfavorevole delle precedenti decisioni di merito, che all’esito della perizia d’ufficio avevano accertato il permanere di una sua residua capacità lavorativa confacente alle sue attitudini lavorative in misura non inferiore ad un terzo, col richiamo alla considerazione che in effetti tale giudizio non era stato espresso con riferimento a quelle che erano le sue reali attitudini lavorative precedenti, bensì con riguardo all’attività meno impegnativa di volontariato da lui svolta gratuitamente presso una comunità. Orbene, premesso che a quest’ultimo riguardo correttamente il giudice d’appello ha chiarito che ai fini dell’accertamento del diritto all’assegno ordinario di invalidità l’oggetto del tema di indagine non poteva essere spostato dalla verifica della capacità lavorativa residua utile a quella di guadagno, non può non rilevarsi che nella sentenza impugnata è chiaramente spiegato che la circostanza per la quale fin dal 1999, una volta abbandonato il lavoro di carpentiere, il G. fosse stato in grado di svolgere attività di tipografo, secondo le sue stesse dichiarazioni rese in sede amministrativa, e che si fosse, comunque, occupato di compiti comportanti l’uso di fotocopiatrici e ciclostile (come emerso dalla anamnesi raccolta dal ctu) equivaleva ad una implicita conferma di quanto emerso dalla obiettività clinica e cioè che egli era in grado di svolgere una residua attività lavorativa, senza usura e danno, in mansioni che non richiedevano sforzo fisico da compiersi con gli arti superiori, per cui egli era ancora in grado di eseguire un gran numero di mansioni esecutive e d’ordine nel settore degli uffici e dei servizi in genere, in maniera del tutto confacente al suo grado di scolarità dell’obbligo.

1.2. Invero, non può non evidenziarsi che la capacità di lavoro dell’assicurato, alla quale fa riferimento la L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1 ai fini della valutazione della sussistenza del requisito sanitario richiesto per l’attribuzione della prestazione previdenziale dell’assegno di invalidità, consiste nella idoneità a svolgere, in primo luogo, il lavoro di fatto esplicato (capacità specifica), ed inoltre tutti i lavori che l’assicurato per condizioni fisiche, preparazione culturale ed esperienze professionali sia in grado di svolgere (capacità generica), i quali vengono in considerazione soltanto in caso di accertata inidoneità dell’assicurato allo svolgimento del lavoro proprio.

In tal senso si è già espressa in precedenza questa Corte (Cass. sez. lav. n. 3519 del 9/3/2001) che, tra l’altro, ha anche avuto modo di aggiungere che ove la capacità dell’assicurato di svolgere il lavoro di fatto esplicato si sia ridotta, ma senza raggiungere la soglia, normativamente rilevante, della riduzione a meno di un terzo, il giudice non ha l’obbligo – prima di escludere il diritto alle richieste prestazioni previdenziali – di accertare anche l’incapacità dell’assicurato di svolgere altre attività lavorative, compatibili con le sue capacità ed attitudini. In ogni caso è costante l’orientamento della Corte in base al quale ove nel giudizio in materia di invalidità pensionabile, nel caso in cui il giudice del merito si basi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè i lamentati errori e lacune della consulenza tecnica determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciabile in cassazione, è necessario che stano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche, o affermazioni illogiche o scientificamente errate, e non già semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e quella della parte.

Pertanto, quando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese.

1.3. D’altra parte, la riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, di cui alla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1 va verificata in riferimento non solo alle attività lavorative sostanzialmente identiche a quelle precedentemente svolte dall’assicurato (e nel corso delle quali si è manifestato il quadro patologico invalidante), ma anche a tutte quelle occupazioni che, pur diverse, non presentano una rilevante divaricazione rispetto al lavoro precedente, in quanto costituiscono una naturale estrinsecazione delle attitudini dell’assicurato medesimo, tenuto conto di età, sesso, formazione professionale e di ogni altra circostanza emergente nella concreta fattispecie, che faccia ragionevolmente presumere l’adattabilità professionale al nuovo lavoro, senza esporre l’assicurato ad ulteriore danno per la salute, (v. Cass. sez. lav. n. 15265 del 6/7/2007 e n. 8101 del 15/6/2001).

In effetti, nel caso di specie risulta che con argomentazione congrua ed aderente agli esiti istruttori, come tale immune da vizi logici e giuridici, il giudice d’appello ha tenuto conto, nella valutazione della capacità lavorativa generica dell’assistito, sia del tipo di mansioni che egli poteva ancora svolgere, senza sforzo fisico, con gli arti superiori, sia del suo grado di formazione professionale, per cui il primo motivo di doglianza è infondato.

2.1. Egualmente infondato è il secondo motivo col quale, oltre alla ripetizione di alcuni dei concetti esposti in occasione della prima censura, si imputano presunti errori valutativi di diverso genere sia alla relazione del Ctu che alla motivazione della sentenza che ne ha recepito gli esiti, unitamente al mancato esperimento di un rinnovo delle operazioni peritali.

Invero, non può sottacersi, come già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007), che " il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse".

Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito della relazione peritale, così come emersi dal contraddittorio delle parti e dalle loro rispettive allegazioni, per cui le stesse non meritano affatto le censure di insufficiente disamina mosse col presente ricorso.

2.2. Non va, infatti, dimenticato che la citata norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (ex plurimis v. Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/2004). Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1500,00 per onorario, oltre esborsi nella misura di Euro 10,00 nonchè spese generali, ICA e CPA ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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