Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-01-2011) 09-02-2011, n. 4783 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il Tribunale di Gela con sentenza del 13 ottobre 2004, dichiarava l’imputato colpevole del reato di violazione di domicilio e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia. La Corte di Appello di Caltanissetta, pronunciatasi sull’appello avanzato dal prevenuto, confermava con sentenza del 29 gennaio 2009 quanto deciso in prime cure.

La difesa del M. interponeva quindi ricorso per cassazione, che, con sentenza 16 dicembre 2009, della Sezione quinta di questa Corte, lo riteneva infondato.

Propone ricorso ex art. 625 bis c.p.p. il M., chiedendo di annullare la impugnata sentenza nella parte relativa alla omessa disamina sulla sussistenza di elementi che avrebbero permesso di dichiarare la estinzione dei reati, per intervenuta prescrizione, con la emissione dei conseguenti provvedimenti di correzione.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1. – Come ha già avuto modo di precisare questa Corte di legittimità, in punto di accesso alla procedura e ai fini dell’ammissibilità del ricorso straordinario per errore di fatto, è necessario che sia denunciato o un errore meramente materiale ovvero una disattenzione di ordine meramente percettivo, causata da una svista o da un equivoco, la cui presenza sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso, e che abbia determinato una decisione diversa da quella adottata, dovendosi escludere che il rimedio in oggetto possa essere utilizzato al fine di denunciare un errore di valutazione (Sez. 6, Sentenza n. 27035 del 19 febbraio 2008, rv. 240973, Di Bari).

Inoltre, presupposto indefettibile per l’accoglimento del ricorso ex art. 625 bis c.p.p. è altresì quello della decisività del presunto errore (v. al riguardo Sez. un., 27 marzo 2002, n. 16103, Basile, rv.

221280) che si trovi cioè in rapporto di derivazione causale necessaria con la decisione adottata risolvendosi in un’incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento.

Inoltre, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio (rv. 221280 citata) e tale errore esula dal campo di applicazione dell’art. 625 bis c.p.p., atteso che il ricorso straordinario non è un ulteriore grado di giurisdizione, ma ha il solo scopo di porre rimedio a sviste o ad errori di percezione nei quali fosse incorso il giudice di legittimità (Sez. 5, 5 aprile 2005 n. 37725 rv. 232313).

E’ bene quindi chiarire che, mentre con l’errore materiale il giudice valuta correttamente un fatto ma lo estrinseca in modo errato di talchè la volontà rappresentata è diversa da quella voluta (perchè erroneamente comunicata), nell’errore di fatto si verifica l’esatto contrario, in quanto la volontà rappresentata è proprio quella voluta dal giudice ma è inesatta per difetto di rappresentazione (perchè erroneamente percepita a livello sensoriale): il giudice in quest’ultimo caso vizia la propria volontà per essersi mal rappresentato il fatto (o l’atto) sottoposto alla sua attenzione ovvero per non averlo valutato per mera dimenticanza.

Perchè l’errore di fatto non si risolva in un errore di giudizio (sottratto come si è accennato all’area delibativa del ricorso ex art. 625 bis c.p.p.) occorre quindi che lo sbaglio ricada su un fatto di per sè già fruibile dal giudicante nel suo processo decisorio (come lo può essere una svista nella lettura degli atti, cfr. Cass., Sez. 1, 13 ottobre 2009, n. 4061, Boccioni, rv. 245569) trattandosi di un dato che non necessita cioè per il suo utilizzo di una sua ulteriore elaborazione, magari in concatenazione con altri parametri di giudizio o normativi: non deve in altri termini costituire solo la base di partenza per una valutazione complessa ancora da effettuare ma sia già presente nell’atto e sia di immediata valorizzazione.

Legittima quindi, per esempio, la proposizione di ricorso straordinario per errore di fatto (cfr. Cass., Sez. 1, 7 ottobre 2009, n. 41918, Lako, rv. 245058) la mancata rilevazione, non della prescrizione in sè, bensì della deduzione difensiva di avvenuta prescrizione del reato nel precedente giudizio di cassazione (nella specie, maturata dopo la sentenza di appello) non conclusosi con dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

3.3. – Ciò posto, si rileva, per quanto concerne il profilo di censura mosso dal ricorrente (mancato esame da parte del giudice di legittimità della questione attinente alla prescrizione del reato non dedotta) che l’eventuale intervenuta perenzione non è immediatamente rilevabile dalla lettura degli atti (in assenza peraltro di qualsivoglia eccezione sul punto da parte del M. sia nel gravame di merito che in quello di legittimità) e richiederebbe in ogni caso da parte del giudice, in modo inammissibile, di poter accedere allo scrutinio delle carte processuali onde reperire tutto quell’insieme di dati indispensabili per operare l’esame prescrittivo.

Questo Collegio è ben consapevole di porsi in contrasto con altra decisione di questa stessa Corte che ha ritenuto invece integrare errore di fatto di natura percettiva, che legittima la proposizione del ricorso straordinario previsto dall’art. 625 bis c.p.p., l’omesso esame, da parte della Corte di cassazione, della questione della prescrizione del reato, causato dalla mancata rilevazione del "tempus commissi delicti" (Cass., Sez. 3, 11 marzo 2010, n. 15683, P.G. in proc. Gargiulo, rv. 246963) pur tuttavia ritiene che in realtà lo scrutinio che attiene alla valutazione di maturata prescrizione non possa esaurirsi nel mero prender atto di un dato fattuale altrimenti ignorato (appunto il "tempus commissi delicti") ma richieda piuttosto un giudizio complesso di valore implicante a sua volta l’esame di un insieme di parametri anche normativi nell’apprezzamento a volte anche della successione nel tempo delle norme applicabili. Occorre per vero verificare non solo la data di contestazione del reato e il relativo decorso del tempo ai fini di poter applicare l’art. 157 c.p., ma anche e soprattutto la mancanza di validi fatti sospensivi eventualmente maturati nel corso del giudizio di cognizione che rinvia necessariamente alla consultazione degli atti; occorre poi tener conto del fatto, in base alla normativa applicabile in concreto, se nel giudizio di cognizione sia stato o meno operato l’abbattimento delle circostanze aggravanti ai sensi dell’art. 69 c.p. (il che richiede l’esame delle sentenze di merito), per quanto poteva aver incidenza prima dell’entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251.

Ne discende che l’errore in cui è incorsa la Corte di Cassazione con la decisione impugnata è d’ordine valutativo, di diritto (sebbene incidente sul contenuto del provvedimento) implicando un esame cartolare non suscettibile di essere oggetto, in quanto tale, di ricorso straordinario per quanto sopra evidenziato.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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