Cons. Stato Sez. V, Sent., 03-02-2011, n. 792 Equo indennizzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Già in servizio dal 1963 (per 27 anni), R.B.D.T. impugnava, dinanzi al T.a.r. di Perugia (deducendo censure d’incompetenza, violazione dell’art. 5bis, d.l. n. 387/1987, conv. legge n. 472/1987, eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza istruttoria, illogicità manifesta e contraddittorietà) la delib. 14 marzo 1997 n. 305, recante diniego di equo indennizzo per gravi infermità (di III categoria, misura massima, tab. A, legge n. 648/1950) riconosciute dipendenti da causa di servizio nel parere della C.m.o., ma disconosciute come tali nei pareri del C.p.p.o. e del collegio medico della competente U.s.l., che si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la tardività e l’irricevibilità del ricorso, poi respinto dai primi giudici nel merito (tralasciando l’esame di ogni questione preliminare) con sentenza prontamente impugnata dal soccombente D. T. per errore di giudizio, carente motivazione, omessa pronuncia, violazione del diritto alla prova e mancata effettuazione di c.t.u..

Si costituiva in giudizio l’U.s.l. n. 2 appellata, che resisteva al gravame, mentre l’appellante si costituiva anche con un nuovo difensore e, con memoria conclusiva, insisteva nelle sue argomentazioni difensive, richiamando pure giurisprudenza a lui asseritamente favorevole (cfr. C.S., sezione VI, dec. n. 544/2006 e dec. n. 4624/2006) in rapporto alla possibile esistenza di una concausa lavorativa scatenante l’evento acuto (nella specie: infarto del miocardio).

Con propria memoria riassuntiva, l’U.s.l. appellata riproponeva l’eccezione di tardività del ricorso introduttivo, notificato solo il 25 giugno 1997, di fronte ad una deliberazione incontrovertibilmente conosciuta dall’interessato il 5 aprile 1997, con palese violazione del termine decadenziale di 60 giorni, applicandosi quello prescrizionale decennale ai soli casi non di diniego di equo indennizzo ma di liquidazione del medesimo (cfr. C.S., sezione V, dec. n. 2783/2008), nel merito difendendo l’operato dei primi giudici.

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione.
Motivi della decisione

L’appello è infondato e va respinto (cfr. C.S., sezione VI, dec. n. 4104/2006), in base alla consolidata giurisprudenza di questa sezione, poiché la p.a. è tenuta a motivare particolareggiatamente solo nei casi in cui, in ipotesi, ritenga di non adeguarsi al parere del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (oggi: Comitato per la concessione dell’equo indennizzo).

Per consolidato orientamento giurisprudenziale (dal quale non vi è motivo di discostarsi), il parere del C.p.p.o. (anche per la variegata estrazione tecnica dei suoi componenti) fornisce a livello centrale ogni auspicabile garanzia circa l’attendibilità della determinazione da assumere in materia di equo indennizzo (nella specie, richiesto dall’interessato D. T.) o di pensione privilegiata, come è avvenuto nella specie, all’esito di apposito riesame che ha indotto il Comitato a respingere detta richiesta con argomentazioni sintetiche ma sufficienti a rendere comprensibili le ragioni del diniego, poi impugnato per il riscontrato contrasto con il parere espresso dalla competente Commissione medica ospedaliera, la cui determinazione si considera definitiva solo ai fini del rimborso delle eventuali spese di cura, ricovero e protesi di vario genere, ma non per l’ottenimento dell’equo indennizzo (cfr. art. 5bis, legge n. 472/1987), argomento rispetto al quale l’opinamento del C.p.p.o. risulta di regola determinante (nella specie, quest’ultimo non aveva riconosciuto la riconducibilità dei discussi stati morbosi – cfr. quanto descritto nella precedente narrativa in fatto – alle circostanze che li avrebbero causati ma, piuttosto, ad una predisposizione costituzionale dovuta alla presenza di fattori di rischio individuali).

Né, d’altra parte, la p.a. era tenuta ad annullare in sede di autotutela il diversificato parere della C.m.o., che conserva la sua definitiva operatività ai limitati fini di cui si è detto in precedenza, mentre la stessa amministrazione bene aveva fatto ad adottare una deliberazione denegante tale dipendenza in ossequio al parere del C.p.p.o., ritenuto determinante, secondo quanto si è rilevato in precedenza.

L’appello va, dunque, respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza, a spese ed onorari compensati per giusti motivi.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, respinge l "appello (ricorso n. 1438/1999) e compensa spese ed onorari del giudizio di secondo grado tra le parti ivi costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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