Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-03-2011, n. 5952 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La controversia ha ad oggetto la richiesta di condanna al risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale riportati a seguito dell’allagamento dell’azienda, proposta dal titolare della medesima T.M. nei confronti, tra gli altri, della Regione Molise, ritenendo il movimento franoso e la conseguente esondazione del fiume (OMISSIS) riconducibili ad attività commissiva ed omissiva della Regione e degli altri enti convenuti in giudizio in primo grado.

Il Tribunale adito – all’esito degli accertamenti tecnici compiuti – accoglieva la domanda, ritenendo responsabile la sola Regione;, risultando la sua totale inerzia, perchè, pur a conoscenza della situazione della frana e potendone prevedere i verosimili sviluppi, poi verificatisi, aveva omesso ogni intervento idoneo ad evitare o limitare l’evento dannoso.

La Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza depositata il 24.11.07, confermava le statuizioni relative alla responsabilità della Regione e si limitava a compensare le spese del primo grado.

Propone ricorso per cassazione la Regione sulla base di cinque motivi; resiste il T. con controricorso, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Con il primo motivo, la Regione lamenta violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 140, comma 1, lett. "e", e, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 103 Cost., riproponendo, sotto i due profili, l’eccezione di difetto di giurisdizione respinta dai giudici di merito.

La trattazione di questi motivi, prospettanti questione di giurisdizione, da parte di questa Sezione semplice è stata autorizzata con provvedimento della Prima Presidenza del 26.1.2011.

Le censure – che possono trattarsi congiuntamente data l’intima connessione – sono manifestamente prive di pregio. Invero, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, le domande di risarcimento danni proposte nei confronti della Pubblica amministrazione in base all’art. 2043 c.c., in materia di acque pubbliche (R.D. 11 dicembre 1933, n. 1715, art. 140, lett. e)) sono devolute alla competenza dei Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche solo nel caso in cui vengano coinvolti apprezzamenti circa la delibera, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o, comunque, scelte dell’amministrazione per la tutela di interessi generali correlati al regime delle acque (Cass. S.U. nn. 1066 del 2006; Cass., sez. 1^, n. 3755 del 2006, 8536 del 2005 e 19286 del 2004; Cass., sez. 3^, n. 368 del 2007 e 9026 del 2009). Sono, invece, riservate al giudice ordinario le domande che si ricollegano a fatti connessi solo in via meramente occasionale con le vicende relative al governo delle acque, come le controversie in cui si deduca la violazione delle comuni regole di prudenza e diligenza che, dovendo essere osservate per evitare lesioni all’altrui diritto, non richiedono valutazioni ed apprezzamenti tecnici, restando nell’ambito di un’attività doverosa per evitare pericoli a terzi. Tanto premesso in linea generale, con riferimento alla domanda proposta dal T. deve concludersi che la soluzione della controversia non implica la valutazione di scelte discrezionali collegate al regime delle acque, essendo stato ascritto il danno, con la citazione introduttiva, all’inosservanza, da parte della Regione, delle regole tecniche ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza nell’ambito delle attività di sistemazione e manutenzione idrogeologica del territorio, e in particolare dell’alveo del fiume (OMISSIS). Ciò dimostra che la decisione ha correttamente individuato l’organo dotato di giurisdizione anche sotto il profilo della causa petendi.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 2043 c.c., in combinato disposto al D.P.R. n. 616 del 1977, art. 69, e agli artt. 63 e 64, n. 523/1904, per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto la Regione unica responsabile, senza considerare gli obblighi e gli oneri ricadenti sui proprietari dei fondi, per riconoscerne un concorso di colpa, data la loro inerzia nel predisporre le opere di scolo normativamente previste.

La sentenza resiste alla censura mossa, la quale viene formulata, peraltro, senza dare conto di quanto affermato dalla Corte territoriale sul punto: "la costante e sempre più accentuata, nel corso degli anni, erosione degli argini del (OMISSIS) prescinde da singoli interventi sulla proprietà frazionata, come tali del tutto inorganici e privi di collegamento unitario". Aggiungevano i giudici di appello che "l’eccezione evidenziava un’ulteriore lacuna dell’attività della Regione poichè, se erano possibili ed utili singoli interventi a carico dei proprietari, doveva la Regione con i suoi poteri autoritativi imporre la conservazione della proprietà fondiaria, così svolgendo fra l’altro la suddetta necessaria attività di coordinamento delle singole opere dei privati". Tale ragionamento, peraltro non specificamente censurato nelle sue decisive articolazioni, è immune da vizi logici e giuridici ed è conforme alla "ripartizione" dei doveri tra Regione e proprietari frontisti desumibile dalla giurisprudenza di questa S.C., secondo cui i proprietari di fondi latistanti ad un torrente sono obbligati ( R.D. 25 luglio 1904, n. 523, ex art. 12) solo alla costruzione delle opere a difesa dei loro beni, mentre spetta all’Autorità amministrativa (ex art. 2, R.D. cit.) provvedere al mantenimento delle condizioni di regolarità dei ripari e degli argini o di qualunque altra opera fatta entro gli alvei e contro le sponde, sicchè fa carico alla Regione, alla quale sono state trasferite le competenze amministrative in materia di opere idrauliche, provvedere alla manutenzione dell’argine di un torrente, sito al di là della proprietà privata ed appartenente al demanio, con conseguente responsabilità della stessa (ex art. 2051 c.c.) per i danni derivati dall’omissione di tale manutenzione salvo che l’estensione e la configurazione del bene non rendano praticamente impossibile l’esercizio di un controllo che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi (Cass., S.U., n. 9502 e 8588/97).

Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2043 c.c., in combinato disposto all’art. 2697 c.c., e, con il quinto motivo, insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, deducendo che la sentenza impugnata avrebbe violato i principi che governano l’onere probatorio, non avendo ritenuto necessario che il creditore producesse le prove idonee a dimostrare l’elemento soggettivo della colpa e, comunque, genericamente motivando riferendosi solo a "numerosi solleciti" e "richieste d’intervento". La censura – ancorchè inammissibile, non puntualizzando con quali illegittime o inadeguate affermazioni la Corte territoriale abbia violato le regole sull’onere probatorio o come risulti viziata la motivazione sul relativo punto – non coglie nel segno, posto che la Corte d’Appello, con congrua e corretta motivazione ha motivato che non poteva dirsi che il fenomeno fosse improvviso o inopinabile, perchè – sulla base degli elementi di fatto risultati anche dalla c.t.u. – era naturale conseguenza della mancanza di qualsiasi opera di risanamento delle sponde, lasciate per anni in una fase di pre – rottura, che aveva preparato la successiva frana; mentre la Regione non aveva allegato nessun intervento compiuto in riscontro sulle ripetute segnalazioni degli smottamenti e della progressiva erosione del territorio.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00, per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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