Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-01-2011) 09-02-2011, n. 4777 Trattamento penitenziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende.
Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 8 aprile 2010, depositata in cancelleria il 14 aprile 2010, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo avanzato nell’interesse di S.F. avverso il decreto ministeriale di proroga del regime previsto dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41 bis.

1.1 – Veniva rilevato nella decisione che tale regime era giustificato per l’inserimento del condannato in una organizzazione di stampo mafioso in posizione apicale nella cosca della ‘ndrangheta del cosiddetto clan dei casalesi, per aver riportato numerose condanne per associazione mafiosa e di essere tuttora punto di riferimento all’esterno per gli affiliati, come emerso da recenti indagini della DDA e DNA, stante l’attuale operatività dell’organizzazione criminale cui fa riferimento. Sussistevano quindi tutti gli elementi per ritenere in concreto la consistenza di tali collegamenti ai sensi della sentenza n. 417 del 2004 della Corte Costituzionale.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione S.F. chiedendone l’annullamento per violazione di legge essendo la decisione improntata a criteri applicativi della nuova normativa non costituzionalmente orientati ritenendo altresì rilevanti e non manifestamente infondate le proposte eccezioni di legittimità costituzionale.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1 – Giova premettere che il ricorso in esame trova la sua disciplina nella L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41 bis, comma 2 sexies, il quale dispone, come è noto, che l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che abbia deciso sul reclamo proposto avverso il Decreto Ministeriale di cui all’art. 41 bis, comma 2 bis è ricorribile in cassazione "per violazione di legge". Nel caso di specie il ricorrente ha sostanzialmente prospettato tale vizio di legittimità sub specie del grave difetto di motivazione, giacchè, secondo prospettazione difensiva, il giudice a quo avrebbe motivato in termini apparenti in ordine alla sussistenza della pericolosità sociale, della sua attualità, nonchè in ordine ad ogni altro requisito richiesto dalla norma per l’adozione del grave provvedimento impugnato, in particolare in ordine ai collegamenti del detenuto con un’associazione criminale. Orbene, secondo costante e risalente insegnamento di questa Corte (Sez. 6, 13 marzo 1992, n. 7441, p.c. in proc. Bonati ed altri, rv. 190883) la violazione di legge concernente la motivazione trova il suo fondamento nella disciplina costituzionale di cui all’art. 111, commi 6 e 7 e consiste nella omissione totale della motivazione stessa ovvero allorchè ricorrano le ipotesi di motivazione fittizia o contraddittoria, che si configurano, la prima, allorchè il giudicante utilizza espressioni di stile e stereotipate, e la seconda quando si riscontri un argomentare fondato sulla contrapposizione di argomentazioni decisive di segno opposto. Rimangono escluse dalla nozione di violazione di legge connessa al difetto di motivazione tutte le rimanenti ipotesi nelle quali la motivazione stessa si dipani in modo insufficiente e non del tutto puntuale rispetto alle prospettazioni censorie.

Di tali principi generali ha fatto buon uso la Corte di legittimità delibando il vizio in parola in ipotesi di impugnativa dinanzi ad essa dell’ordinanza di rigetto L. n. 354 del 1975, ex art. 41 bis, comma 2 sexies. Secondo quanto stabilito in un orientamento consolidato e condiviso da questo Collegio (Cass., Sez. 1, 9 gennaio 2004, n. 449; 14 novembre 2003 n. 5338; 9 novembre 2004, n. 48494) in tema di regime carcerario differenziato, nella nozione di violazione di legge per cui è soltanto proponibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza – L. n. 354 del 1975, art. 41 bis, comma 2 sexies, – deve farsi rientrare anche la mancanza di motivazione, alla quale vanno ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano così scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (anche Cass., Sez. 1, 9 maggio 2006, n. 19093). Non è pertanto censurabile il profilo della pretesa illogicità o contraddittorietà della motivazione, ma solo la carenza totale o la mera apparenza della stessa.

3.2. – Tale grave deficit motivazionale del provvedimento gravato non si è in alcun modo verificato nella fattispecie avendo il giudice dato conto, con motivazione scevra da vizi logici e giuridici delle ragioni del proprio decidere. Il Tribunale di Sorveglianza ha espresso infatti argomentazioni congrue e esaustive circa la sussistenza delle condizioni e dei presupposti per il mantenimento dello speciale regime imposto anche e soprattutto con riferimento alle indicazioni di cui alla recente legge n. 94 del 15 luglio 2009 che, novellando la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41 bis, ha previsto che la proroga (ora per la durata di anni due) sia disposta quando emerga non essere venuta meno la capacità del sottoposto di mantenere collegamenti con il gruppo criminale di provenienza, tenuto conto del suo profilo criminale, del ruolo coperto nell’associazione, della perdurante operatività del sodalizio, della sopravvenienza di nuove incriminazioni, dell’esito del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari. A tali fini sono state per vero menzionate dal Tribunale di Sorveglianza le asseverazioni documentali in atti da cui risulta non solo la persistente vitalità della associazione criminale di riferimento, ma anche il mantenimento con la stessa da parte del sottoposto di contatti fattivi e concreti anche in forza della sua imponente ed eclatante biografia delinquenziale oltre che per il ruolo apicale rivestito in seno alla stessa; è stata altresì ricordata l’iscrizione a suo carico di gravissime condanne ricomprese nella L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis e di ulteriori procedimenti a suo carico di cui alle ordinanze di custodia cautelare del 2004, 2006 e 2008 per associazione di stampo mafioso con l’aggravante della direzione sino al 2005 e la significativa carenza di segnali significativi di dissociazione o quanto meno di affievolimento dei vincoli associativi.

3.3. – Il ricorso, dal suo canto, più che individuare singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura, tende a provocare una nuova valutazione del merito, operazione preclusa come si è detto davanti a questa Corte. Corretta, pertanto, si appalesa la conclusione giuridica tratta dal giudice territoriale il quale, sulle sintetizzate premesse, ha considerato, in applicazione coerente del dettato normativo di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41 bis, comma 2 bis, che nel caso di specie risulta accertata l’elevata possibilità che, in mancanza delle restrizioni connesse alla sottoposizione al regime detentivo differenziato, il ricorrente potrebbe riprendere contatti col gruppo criminale di provenienza (Cass., Sez. 1, 29 settembre 2005, n. 39760, Emanuello).

3.4. – Manifestamente infondate, secondo le linee argomentative tracciate dal provvedimento gravato in modo esauriente, sono infine le sollevate eccezioni di incostituzionalità, riproposte in ricorso in via pedissequa.

4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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