Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-03-2011, n. 5947 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La controversia ha ad oggetto la richiesta di condanna al risarcimento dei danni da responsabilità extracontrattuale, proposta da L.V.A.C. ed M.E., madri esercenti la potestà genitoriale sui rispettivi figli minori R.V. e M.S., entrambi a bordo del ciclomotore condotto dal R., danneggiati nella collisione avvenuta in (OMISSIS) il 14.11.1993, con l’autobus della linea 33 condotto da I. S., nei confronti del predetto conducente, dell’Azienda Municipale Trasporti, proprietaria del veicolo e della società assicuratrice. Si costituivano l’Azienda e l’Assitalia, la quale indicava di aver versato l’intero massimale (L. 700.000.000) alla L. V..

Deceduto R.V., la L.V., all’udienza del 23 aprile 1999, in proprio e per conto degli altri figli minori, si costituiva e chiedeva di accertare se la morte del loro congiunto poteva valutarsi quale conseguenza certa del sinistro e, nell’affermativa, riconoscersi iure hereditatis il risarcimento dei danni subiti dal de cuius, detratta l’anticipazione percepita e, iure proprio, il risarcimento del danno morale conseguente alla morte del loro congiunto.

Il Tribunale adito affermava che l’incidente si era verificato per colpa esclusiva dell’autista dell’autobus, estrometteva dal giudizio la compagnia assicuratrice per aver versato l’intero (massimale, e, quanto agli eredi del R., rigettava la domanda per i danni "iure hereditatis", essendo stata versata in vita al soggetto una somma maggiore di quella poi dovuta;accoglieva, invece, la domanda relativa al danno morale, ponendo il relativo risarcimento a carico solidalmente dell’Azienda trasporti e dell’ I..

Con la sentenza impugnata, depositata il 29.12.2007, la Corte di Appello di Catania respingeva l’appello proposto dall’Azienda, la quale propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso i congiunti del R. e la compagnia assicuratrice, deducendo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle censure. Resiste con controricorso anche l’ I., il quale propone contestualmente ricorso incidentale sulla base di cinque motivi, sostanzialmente corrispondenti a quelli proposti dall’A.M.T. Catania ed illustrati con memoria.

Con il primo motivo del ricorso dell’Azienda e con il terzo ed il quarto del ricorso incidentale dell’ I., sotto i profili sia della violazione di legge che della nullità della sentenza d’appello, si chiede alla Corte di verificare se violi l’art. 291 c.p.c., la sentenza di merito che non ha rilevato la nullità del procedimento per nullità della domanda formulata in corso di causa dagli eredi dell’attore, volta alla condanna dei convenuti anche al danno subito iure proprio oltre che iure hereditatis, qualora questa non sia stata notificata al convenuto contumace.

La censura non coglie nel segno, sotto tutti i profili. Anzitutto, la questione non poteva essere dedotta in appello dall’Azienda (nè può esserlo, quindi, in questa sede), poichè la previsione di una serie di atti che devono essere obbligatoriamente notificati al contumace a pena di nullità, inserita nell’art. 292 c.p.c., è dettata nell’esclusivo interesse del contumace stesso, con la conseguenza che l’omessa notifica di uno di questi atti (nel caso di specie: l’atto di prosecuzione del giudizio da parte degli eredi del R. con relativa domanda nuova rispetto a quella introduttiva) determina una nullità relativa, che può essere rilevata soltanto da quest’ultimo e non anche da una delle altre parti del giudizio (Cassa. n. 16958/08; 10411/02). Tuttavia, neanche l’ I. può ritualmente dolersi in questa sede dell’omessa notifica della domanda nuova proposta nel corso del giudizio di primo grado, poichè si tratta di un’ipotesi di nullità relativa, prevista nell’esclusivo interesse della parte contumace, sicchè non può essere rilevato d’ufficio dal giudice, ma deve essere dedotto dallo stesso contumace all’atto della sua eventuale successiva costituzione o mediante impugnazione della sentenza che abbia pronunziato sul merito della domanda nuova non notificata (Cass. n. 7790/10; 3817/04; 16101/03; 574/01; 7767/99;

8160/97).

Con il secondo motivo del ricorso dell’Azienda e con il primo ed il secondo del ricorso dell’ I., sotto i profili sia della violazione di legge che della nullità della sentenza d’appello (l’Azienda on un unico motivo ed anche sotto il profilo dell’omissione di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5), si chiede alla Corte di verificare se violi gli artt. 163 e 164 c.p.c., comma 4 la sentenza che ha ritenuto affetta da nullità insanabile la notificazione dell’atto di appello privo dei requisiti di cui all’art. 163 c.p.c., n. 7, nei confronti di una delle parti appellate, qualora quest’ultima si sia costituita tempestivamente in giudizio deducendo detto vizio, ma prendendo posizione nel merito delle domande proposte dall’appellato.

Nel corpo della prima censura dell’Azienda e nella seconda dell’ I., si deduce che il fatto controverso in ordine all’asserita omissione di motivazione è rappresentato dall’ambito della garanzia assicurativa (se il massimale si riferisca al sinistro nel suo complesso o ad ogni singolo danneggiato), perchè il generico riferimento alla "inconsistenza delle censure" sarebbe inidoneo a giustificare la conferma dell’estromissione dell’Assitalia per assenza di argomentazioni al riguardo.

Sul punto, la Corte di Appello – dopo aver affermato che non avevano alcuna consistenza le censure relative alla disposta estromissione dell’Assitalia dal giudizio di primo grado riteneva sussistente l’eccepita nullità dell’appello nei confronti di detta compagnia, mancando del tutto la sua indicazione nominativa nell’atto di citazione e, atteso l’espresso rifiuto della società di accettare il contraddittorio malgrado la notifica del gravame, considerava non instaurato nei suoi confronti il giudizio di appello.

I motivi in esame non sono ammissibili. La rilevabilità in questa sede dell’assunta "sanabilità" dell’omessa indicazione dell’appellata Assitalia (peraltro nei motivi si lamenta che la Corte territoriale avrebbe affermato la nullità relativamente al n. 7 dell’art. 163, mentre la sentenza sembra fare riferimento all’indicazione della parte) presuppone l’interesse all’impugnazione, che, nella specie, può considerarsi sussistente solo ove – oltre al punto dell’asserita sanatoria dell’instaurazione del contraddittorio in appello nei confronti dell’Assitalia – risulti correttamente impugnata anche la questione relativa all’asserita erronea estromissione della stessa da parte dei giudici di primo grado. In mancanza, non vi sarebbe alcun interesse concreto ad annullare la sentenza impugnata, perchè il ripristino del contraddittorio in secondo grado con l’Assitalia non potrebbe", comunque, condurre ad un nuovo esame di motivi di gravame di merito nei confronti della stessa.

Orbene, nella specie, la questione dell’estromissione della compagnia è preclusa per "novità" nella parte in cui viene proposta nel corpo del primo motivo del ricorso dell’ I., perchè questi, essendo contumace (volontario) fin dal primo grado del giudizio, avrebbe dovuto impugnare la sentenza del Tribunale sull’indicato punto.

La medesima censura, proposta dall’Azienda nel corpo del secondo motivo, si rivela anch’essa inammissibile, per violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stato specificato nel motivo se e come la questione della riferibilità del massimale non al sinistro nel suo complesso ma al risarcimento di ogni danneggiato sia stata proposta in primo grado e se sia stata formulata, in sede di merito, tempestiva domanda di manleva sul punto nei confronti della società assicurativa. Ne deriva che non risultano validamente proposte dall’Azienda censure che consentano un riesame nel merito del gravame dell’Azienda stessa nei confronti della compagnia assicuratrice, con conseguente difetto d’interesse, come si è detto, a far valere l’indicata nullità della citazione in appello.

Con il terzo motivo del ricorso dell’Azienda ed il quarto di quello dell’ I. viene denunziata nullità della sentenza per omessa pronuncia su punto decisivo, in violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, chiedendo alla Corte di verificare se sia nulla la sentenza d’appello che ometta di pronunciare sul motivo di appello, proposto dall’Azienda circa la mancata interruzione del giudizio di primo grado in esito al decesso di parte attrice non seguita da rituale e tempestiva prosecuzione da parte degli aventi causa.

La censura non coglie nel segno, poichè l’omessa pronuncia rileva come motivo di cassazione solo in quanto "possa conseguirne una statuizione che affermi il dovere del giudice di esaminare la domanda nel merito". Non rileva nemmeno come motivo di cassazione l’omessa pronuncia su una domanda inammissibile, perchè alla proposizione di una tale domanda non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Cass., sez. 2^, 5 marzo 2010, n. 5435; Cass., sez. 1^, 25 giugno 2006 n. 12412; Cass., sez. L, 7 agosto 2003, n. 11933, m.

565754, Cass., sez. 1^, 14 febbraio 2001, n. 2080, m. 543827, Cass., sez. L, 20 novembre 2002, n. 16386, m. 558628). Nel caso in esame, il motivo di appello, proposto dall’Azienda, era intrinsecamente inammissibile, per difetto d’interesse, in quanto solo gli eredi della parte deceduta erano legittimati ad invocare la nullità conseguente all’assunta omessa interruzione del processo. Deve ribadirsi, invero, che l’irritualità della continuazione del processo, per la sua mancata interruzione a seguito della morte della parte può essere fatta valere soltanto dagli eredi della stessa, vale a dire dalla stessa parte colpita dall’evento interruttivo, essendo l’interruzione del processo preordinata alla tutela di quest’ultima (Cass. n. 2340/96; 815/83; 708/77; v. anche 15249/05;

15948/05; 24025/09). Le norme sull’interruzione del processo per morte o perdita di capacita della parte, o per morte o impedimento del procuratore, sono – infatti – rivolte a tutelare la parte nei cui confronti tali eventi si siano verificati; pertanto è legittimata a dolersi dell’omessa pronunzia di interruzione del processo soltanto la parte che dall’evento può essere pregiudicata, e gli eredi di essa, non le altre parti le quali nessun pregiudizio hanno risentito dalla irrituale prosecuzione del processo e, quindi, non possono far valere la detta omissione come motivo di nullità della sentenza che ciò nonostante sia stata pronunziata.

Con il quarto motivo del ricorso principale, l’azienda lamenta violazione dell’art. 1241 c.c.; erronea applicazione del principio dell’estinzione dell’obbligazione per compensazione ed omissione di motivazione,in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5 e chiede ala Corte "se viola o meno l’art. 1241 c.c. la decisione della Corte d’Appello che ha ritenuto di non dover procedere alla compensazione tra quanto riconosciuto in sentenza alla R. n. q. di esercente la paria potestà per le lesioni subite dal figlio minore R. e quanto versato dalla compagnia assicurativa a titolo di massimale".

Il motivo si rivela inammissibile per inidoneità del quesito, come emerge chiaramente dal tenore dello stesso.

I quesiti di diritto, come noto, non possono consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura (o alla violazione in astratto di una determinata disposizione), ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4, – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2 008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

Non si rivela, pertanto, idoneo il quesito formulato alla fine del descritto motivo, dato che non contiene adeguati riferimenti alla questione in fatto, nè espone chiaramente quali statuizioni della sentenza impugnata integrerebbero le regole di diritto erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, si esaurisce in un’enunciazione di carattere generale che, in quanto priva di idonea indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consente di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420).

Del resto, i quesiti di diritto non possono risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta entrambi i ricorsi. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del presente giudizio, che liquida per ciascuna delle parti costituite in Euro 5.000=, di cui Euro 4.800 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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