Cons. Stato Sez. VI, Sent., 03-02-2011, n. 784 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Attraverso il ricorso per ottemperanza in esame, notificato al Comune di Piombino il 12.11.2010 e depositato il 17.11.2010, si chiede la declaratoria di nullità del diniego di condono edilizio (n. prot. 21618) e del conseguente ordine di demolizione (n. prot. 21622), emessi il 9.8.2010 con riferimento ad alcuni manufatti e ad un ampliamento, ubicati in località Baratti del Comune di Piombino.

Quanto sopra, poiché gli atti in questione risulterebbero emessi in contrasto con il giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 460/08 del 12.2. febbraio 2008, con la quale veniva disposto l’annullamento di precedenti ordini di demolizione dei medesimi manufatti, per omessa esplicitazione delle "ragioni dell’insufficienza della misura pecuniaria alla luce delle specifiche caratteristiche costruttive, degli insediamenti insistenti sull’area e dei concreti profili di vulnerazione del contesto paesaggistico tutelato".

La predetta richiesta risulta ammissibile – anche in presenza di una pronuncia in astratto autoesecutiva, come quella di cui si discute – a norma dell’art. 21septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, come integrata dalla legge 23 novembre 2005, n. 15, secondo cui "E’ nullo il provvedimento amministrativo….adottato in violazione o elusione del giudicato": in base a tale norma deve infatti ammettersi che il soggetto interessato eccepisca anche in sede di ottemperanza l’inefficacia di provvedimenti, la cui prospettata elusività non può che essere rimessa alla valutazione del giudice dell’esecuzione. Nel merito, tuttavia, il Collegio ritiene che il ricorso non possa trovare accoglimento, dovendo valutarsi nella presente sede non qualsiasi vizio di legittimità dei citati provvedimenti in data 9.8.2010, ma solo l’avvenuta emanazione dei medesimi in contrasto con le statuizioni del giudicato, o allo scopo di eluderne le conseguenze (cfr. anche, per il principio, Cons. Stato, V, 13 marzo 2000, n. 1328 e 24 settembre 2003, n. 5455; IV, 8 maggio 2002, n. 2505; 6 aprile 2004, n. 1845). Nella situazione in esame l’annullamento, in sede giurisdizionale, dei precedenti ordini di demolizione non solo non escludeva, ma espressamente prevedeva ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, tali da superare le carenze motivazionali riscontrate, nei termini già sopra sintetizzati. La medesima Amministrazione pertanto – al dichiarato fine di seguire le prescrizioni del giudicato – emetteva il diniego di condono (nonché il consequenziale ordine di demolizione) con ampia disamina della ravvisata incompatibilità delle opere di cui trattasi con i valori ambientali tutelati, nei termini di seguito riportati: "l’area di intervento risulta essere di particolare pregio ambientale, naturalistico, paesaggistico e archeologico…identificata come area di parco dallo strumento urbanistico generale…attualmente candidata come sito UNESCO…I manufatti realizzati sono di scarsissima qualità architettonica, costruiti con materiali scadenti e pericolosi per la presenza di amianto e non rispettano le norme igienicosanitarie, costituendo un’immagine di degrado tale, da configurarsi come una vera e propria "baraccopoli"; la realizzazione del servizio igienico ha prodotto scarichi che non risultano essere regimati e che pertanto minacciano il territorio anche dal punto di vista ambientale".

Attraverso tale decisa valutazione di incompatibilità – che non risulta affetta da evidenti errori di fatto o incongruità logica – appare in effetti assorbita, ad avviso del Collegio, la necessità di motivare la scelta fra sanzione di tipo ripristinatorio o pecuniario, avendo l’Amministrazione stessa esposto ragioni di negativo impatto sul territorio, tali da rendere congrua soltanto la misura sanzionatoria, consistente nella rimessa in pristino dei luoghi, con carattere pleonastico di qualsiasi ulteriore precisazione.

Per dette ragioni i provvedimenti in esame non appaiono contrastanti col giudicato né elusivi del medesimo, con conseguente infondatezza del ricorso; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto dei lunghissimi tempi di svolgimento dell’azione amministrativa.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge il ricorso per ottemperanza specificato in epigrafe; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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