Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-01-2011) 09-02-2011, n. 4711

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 1 luglio 2010, depositata in cancelleria il 6 luglio 2010, la Corte di Appello di Napoli, sezione Minorenni, confermava la sentenza 25 febbraio 2010 del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Napoli, sempre sezione Minorenni, che aveva dichiarato R.R., responsabile del reato di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 1, e, applicate le attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. e la diminuente della minore età giudicate prevalenti sulla contestata aggravante, applicata altresì la diminuente del rito abbreviato, lo condannava alla pena di anni dodici e mesi otto di reclusione.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, T.G., verso le ore 22 del (OMISSIS), si trovava alla guida della propria vettura ferma al semaforo, unitamente ai suoi compagni M.C., C.M., P.L. e Pa.Fr., quando nasceva una discussione tra il C. e alcuni giovani a piedi, che si accompagnavano con alcune ragazze. Uno di questi giovani pedoni ( Ca.) ritenutosi chiamato in causa per presunti apprezzamenti non lusinghieri fatti alle compagne del proprio gruppo, decideva di avvicinarsi alla vettura nel punto in cui si trovava seduto il C., brandendo un coltello comprato quella mattina a (OMISSIS) e cominciando a minacciarlo. Nel frattempo, il conducente l’auto, il T., sceso dal mezzo, si dirigeva verso l’esagitato Ca., mentre il Pa., uscito anche lui dal mezzo (occupava il sedile anteriore destro) si poneva a fronteggiare un sodale del Ca., B., che, staccatosi da R.R. rimasto solo con le ragazze, era intervenuto in aiuto del Ca.. Mentre erano in atto queste due colluttazioni, il terzo giovane del gruppo dei giovani pedoni (il nominato R.) veniva in soccorso del Ca., che stava per soccombere nella lotta con il T., tenendo fermo quest’ultimo nel mentre l’amico lo colpiva con un fendente a una coscia recidendogli l’arteria femorale sinistra. I giovani aggressori infine fuggivano e il T., trasportato in ospedale, decedeva per shock emorragico.

1.2. – Il giudice di merito di secondo grado richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalle dichiarazioni dei testimoni escussi, appartenenti sia al gruppo del prevenuto che della vittima e dall’accertamento autoptico eseguito. Quest’ultimo, in particolare, evidenziava che il T. era stato attinto con strumento da punta e da taglio, probabilmente a lama bitagliente, da sei coltellate che avevano cagionato cinque ferite superficiali (all’ipocondrio sinistro, altezza milza, alla coscia sinistra, alle ginocchia sinistra e destra e alla gamba destra) e una profonda di almeno 4 centimetri, che recideva l’arteria femorale sinistra con esiti letali.

2. – Avverso tale decisione, tramite il proprio difensore avv. Giuseppe Ricciulli, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il i.chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:

a) mancanza di motivazione risultante dal testo del provvedimento, motivazione apparente e travisamento delle prove; illogicità e contraddittorietà della motivazione; violazione di legge, in particolare degli artt. 110, 575 e 118 c.p., art. 61 c.p., n. 1, artt. 70 e 133 c.p.; veniva rilevato che, in punto di dolo, la prima sentenza aveva indicato la natura dei colpi capovolgendo l’esito della consulenza autoptica non motivando sulla non significatività dei colpi superficiali e alle ginocchia; il giudice aveva altresì confuso, in relazione alle ferite al torace, la mera possibilità che potessero essere stati attinti punti vitali con l’effettiva intenzione di attingerli; è stata ritenuta inoltre la letalità dell’ultima ferita sulla base della posizione dei contendenti, della profondità e dell’evento-morte derivatone, senza motivare sulla effettiva previsione dell’evento stesso, tenuto conto che, di per sè, la coscia non è una zona vitale del corpo a meno di non conoscere l’esatto punto in cui passa l’arteria femorale; è stato ritenuto inoltre dallo stesso primo giudice, in modo contrad- dittorio, che l’aver il Ca. tirato colpi alla cieca potesse essere indicativo di una volontà omicida, quando in realtà non vi è una regola di esperienza in tal senso; lo stesso fatto che i colpi fossero stati inferti alla cieca è poi una mera congettura del giudice in quanto non deducibile da alcun elemento probatorio;

fantasioso e non supportato da alcun elemento di prova è altresì il fatto che i colpi potessero essere stati più di sei e che il coltello potesse essere potenzialmente micidiale, quando, trattandosi di un oggetto tipo "souvenir", non poteva rivestire tale qualità, tenuto conto che la caratteristica di lama bitagliente sarebbe dovuta essere valutata dal giudicante, come indicato nell’accertamento autoptico, con prudenza. La seconda sentenza era incorsa infine in vizi motivazionali in relazione alla causale dell’omicidio che avrebbe tratto origine da un litigio avvenuto tra gli stessi gruppi sin dal mattino, senza mettere in luce quali fossero state le pulsioni omicidiarie e senza chiarire al di là della mera presunzione il collegamento tra il primo litigio e lo scontro successivo;

b) violazione di legge e vizi motivazionali per apparenza, illogicità e travisamento in relazione al dolo del R.; la prima sentenza ha dedotto tale profilo soggettivo dall’aver questo assistito alla scena durante la quale il Ca. si avventò con rabbia sulla vettura del T. impugnando il coltello, desumendo una condivisione di intenti che non andava invece al di là della mera prevedibilità di quanto sarebbe accaduto, utile tutt’al più alla configurazione del concorso anomalo ex art. 116 c.p.;

inoltre il giudice di primo grado erra nel legare la responsabilità del R. al solo effetto causale del colpo inferto dal Ca. e non all’elemento psicologico, senza peraltro sufficientemente motivare sul punto. Inoltre vi è assoluta carenza di motivazione in relazione al fatto che il Ri. avesse un’arma e non l’abbia in concreto utilizzata. Anche la sentenza di secondo grado sul punto del concorso anomalo risulta essere viziata, essendo stata la sua esclusione, oggetto di alcuna giustificazione. Manifesto è poi il travisamento di fatto in relazione al momento in cui è intervenuto il R.; la ricostruzione da parte di entrambi i giudici di merito contrasta con le dichiarazioni dei testi e con la dinamica effettiva dei fatti. Sbaglia inoltre il giudice nel ritenere la sussistenza della condivisione del dolo sulla base della sola stretta ‘fratellanzà tra il Ca. e il R., circostanza che non legittima alcuna presunzione;

c) vizio di motivazione per apparenza e contraddittorietà e violazione di legge in relazione alla sussistenza dell’aggravante dei futili motivi; sbaglia il giudice nell’aver ritenuto estensibile al R. l’aggravante del futile motivo quando la stessa era propria del solo Ca. che voleva difendere le ragazze. Vi è dunque violazione dell’art. 118 c.p., in relazione all’art. 61 c.p., n. 1 e art. 70 c.p. poichè l’aggravante è di natura soggettiva e il giudice non ha esplicitato le ragioni per le quali vi dovesse essere una condivisione di intenti. Ed è illogica altresì la motivazione che si appoggia alla massima di esperienza inesistente secondo cui uno stretto vincolo di amicizia implicherebbe l’automatica condivisione delle scelte comuni;

d) vizi motivazionali in relazione al quantum di pena, per apparenza, contraddittorietà, illogicità e violazione di legge. Le valutazioni del giudice sono contraddittorie posto che, pur valorizzando alcuni elementi della personalità del prefato, poi non utilizza le stesse valutazioni per argomentare il discostamento dal minimo di pena; la motivazione che attiene alla abbiettezza del motivo per giustificare la pena non è legittima per quanto già censurato, mentre le ragioni di strumentalità del comportamento processuale non è sorretto da alcuna valida prova e, quand’anche il "calcolo defensionale" fosse stato dell’avvocato difensore, non potrebbe essere esteso al minore.

Quanto alla valutazione negativa della personalità la Corte travisa, disconosce e inventa quanto riportato dalle relazioni personologiche.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1 – Deve premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, di talchè – sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte – deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscindibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, Ballan ed altri e, da ultimo, Sez. 1, ai marzo 1997, Greco ed altri;

Sez. 1, 4 aprile 1997, Proietti ed altri). In quest’ottica è pertanto non condivisibile il ricorso dal punto di vista metodologico allorquando separare le due decisioni di merito, come fossero entità distinte (e come se la rima decisione fosse autonomamente appellabile, quando per contro si è trasfusa nel secondo provvedimento) non trattandole, come avrebbe dovuto per contro fare, in modo unitario.

3.1.1. – Tanto rilevato occorre osservare che il giudice di merito, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, non ha in alcun modo travisato l’accertamento autoptico, avendo per vero dedotto con sufficiente chiarezza la sussistenza del dolo, non solo dalla dinamica della vicenda nel suo complesso, ma anche dalla natura dei colpi inferti dal Ca. ancorchè gli stessi fossero stati tutti superficiali e uno solo penetrante. In altre parole le numerose sedi corporee attinte, anche nella parte bassa della figura, comprovavano appunto una particolare aggressività del Ca., che intendeva colpire l’avversario, così come ha fatto, senza porsi il problema di cosa avrebbe potuto attingere, anche a costo di ledere parti vitali.

3.1.2. – Nessuna contraddittorietà è ravvisabile in relazione alla valutazione del dolo con riferimento all’insieme dei colpi inferti, atteso che è proprio la considerazione complessiva degli stessi, come implicitamente valutato dal giudice di merito, che impedisce una valutazione che non sia unitaria, nell’ambito della quale perdono di valore, per la forte ed assorbente significatività quantomeno del fendente penetrante (senza contare i colpi diretti al torace in distretti corporei sede di organi vitali) le ferite risultate superficiali e (in forza anche delle deviazioni dovute alla concitata difesa del T. che si difendeva da un coltello a mani nude e alla dinamicità della lotta) dirette altrove.

3.1.3. – Parimenti nessuna confusione nell’apparato logico argomentativo del primo giudice è dato cogliere in relazione ai colpi inferti al torace. Dal tenore della parte motivazionale si evince con chiarezza il pensiero del giudicante teso a sottolineare come i colpi inferti alla cieca, in particolare quelli rivolti al torace, costituivano un obbiettivo potenzialmente letale, lo si ribadisce, per la sede degli organi ivi ubicati, segno evidente, a sua volta, di una intenzione dolosa volta a uccidere.

3.1.4. – Nessuna carenza motivazionale in sentenza è ravvisabile neppure in relazione alla ferita alla coscia posto che deve ritenersi vitale qualsivoglia sede corporea che, una volta aggredita, possa mettere in pericolo la vita di un essere umano, quale appunto è quella interessata nella fattispecie ove scorre l’arteria femorale.

L’aver attinto in profondità detta zona con un coltello avente le caratteristiche di quello utilizzato è indicativo della volontà omicidiaria dell’aggressore non rilevando, come per tutte le altre zone vitali del corpo, la mancanza di conoscenza dell’anatomia umana da parte dell’aggressore, la cui ignoranza anzi, se provata, valorizzerebbe al contrario l’accettazione del rischio indistinto per la commissione dell’evento anche esiziale.

3.1.5. – Non vi è contraddizione nell’affermazione del giudice di aver dedotto dai colpi alla cieca una volontà di natura omicida piuttosto che quella di meramente ledere. E’ evidente infatti che il mancato controllo degli obbiettivi di attingimento connota in senso peggiorativo la volontà dell’aggressore, che colpisce anche a costo di interessare punti vitali. E questo atteggiamento psicologico concreta certamente un dolo di tipo eventuale.

3.1.6. – Del tutto infondato è il rilievo difensivo secondo cui si tratterebbe di una mera congettura quella del giudice che i colpi inferti sarebbero stati alla cieca. Trattasi per vero, quella difensiva, di una mera rilettura di un dato valutativo già scrutinato esaurientemente dal primo giudicante che ha dedotto la modalità di colpi dalle sedi corporee plurime e non omogenee attinte, ma anche dalle specifiche modalità dell’aggressione quali risultanti dalle testimonianze raccolte.

3.1.7. – Del tutto irrilevante (e inammissibile in questa sede di legittimità trattandosi di una mera rivisitazione del dato probatorio già esaustivamente esaminato) è la censura difensiva relativa al numero dei colpi diretti al corpo della vittima ritenuti dal giudice superiori a sei senza un apporto probatorio significativo. Deve per vero osservarsi che, ai fini valutativi del dolo, è del tutto ininfluente che il numero dei colpi fossero stati in numero di sei o maggiori di tale numero, giusta la loro già bastevole quantità tale da reputarsi comunque di per sè apprezzabile a mettere in luce la perseveranza della carica aggressiva dell’agente in uno con l’intensità del dolo; il giudicante ha comunque argomentato in modo congruo e non contraddittorio che il profilo soggettivo dell’aggressore era desumibile dalla tipologia stessa dell’azione lesiva posta in essere essendosi sostanziata in un "a corpo a corpo" in costanza di una difesa approntata da persona con maggior prestanza dell’aggressore.

3.1.8. – Nessuna insufficienza motivazionale o contraddittorietà o travisamento è inoltre ravvisabile in relazione al coltello usato che il giudice ha ritenuto di natura ‘micidialè. L’autopsia ha per vero concluso che i quattro centimetri di profondità non necessariamente corrispondevano alla lunghezza effettiva del coltello che avrebbe potuto avere una lama anche di ben maggiore lunghezza (tenendo altresì conto che, se per contro la lama fosse stata effettivamente di soli quattro centimetri, ciò non poteva allora che significare che l’aggressore l’aveva affondata nella sua interezza con una ricaduta evidente sul tipo di dolo intervenuto). Inoltre in relazione al possibile doppio taglio del coltello, anche a voler accedere all’invito del perito ad essere prudenti nella relativa valutazione, occorre evidenziare che trattavasi (il doppio taglio) di una qualità non esclusa dell’arma sicchè doveva costituire giocoforza un elemento che il giudicante doveva considerare come possibile (così come ha fatto) nello scrutinio complessivo dei dati disponibili.

3.1.9. – Di poco momento è poi la censura attinente ai vizi motivazionali concernenti l’antefatto omicidiario, posto che la Corte territoriale ha correttamente posto in sinergia, con sufficiente e congrua motivazione, il primo litigio tra i giovani con il successivo scontro; avrebbe infatti potuto altrimenti rimanere senza causale significativa il conflitto violento sfociato nel ferimento mortale del T. (anche ai fini qualificativi dell’azione offensiva) se non letto, appunto, in collegamento eziologico con il primo alterco e ancor più se non connesso, come invece ha fatto il giudice, con l’acquisto nel pomeriggio da parte del Ca. e del R. di un coltello per ciascuno di essi (l’altro ragazzo in loro compagnia, il B., non ne aveva infatti bisogno essendone già in possesso come evidenziato in sentenza). La stretta connessione degli episodi in questione era dunque doverosa e obbligatoria per il significato che il fatto di sangue ha poi assunto alla luce degli antefatti, anche in punto di dolo e della sua intensità, e il giudice di merito non si è sottratto a ciò facendone anzi oggetto di analisi argomentativa stringente e puntuale.

3.2 – Anche il secondo motivo di gravame è privo di pregio e va rigettato.

3.2.1. – Secondo il ricorrente il primo giudice avrebbe inoltre desunto il concorso ex art. 110 c.p. dal solo aver assistito il R. al momento in cui il Ca., munito di coltello, si è diretto, rabbioso, verso la macchina del T.. La doglianza è del tutto priva di fondamento. Il giudice di merito ha per contro tratto il convincimento motivato del concorso volontario dell’imputato dalla valutazione complessiva e unitaria della vicenda.

Non solo cioè dalla specifica circostanza che l’amico si fosse diretto verso il gruppo avversario, con palesi intenzioni aggressive e lesive, munito di uno di quegli stessi coltelli che avevano comprato insieme la mattina con finalità di riscatto per lo sgarbo patito, ma anche dal fattivo e successivo intervento del medesimo R. in aiuto del sodale che consistette nell’ostacolare la difesa del T. mentre cercava di difendersi dal Ca., in modo che quest’ultimo potesse far uso del coltello, in realizzazione del comune proposito di rivincita.

La valutazione della condotta concorsuale da parte del giudice non è stata quindi frammentata nelle singole fasi dell’azione lesiva (l’attesa di intervento da parte del R., la decisione di intervenire a colluttazione iniziata tra Ca. e T., l’aiuto concreto prestato al sodale, la fuga successivamente al ferimento esiziale) ma ha abbracciate correttamente tutta intera la dinamica del fatto; è stato per vero evidenziato tra l’altro che fu proprio lo specifico intervento del R. a far sì che l’amico potesse essere in grado di infliggere la prima, tra le sei coltellate, che fosse davvero significativa e letale. In altre parole, come evidenzia il giudicante, prima dell’aiuto del R., i colpi del Ca., per la strenua difesa opposta dal più prestante T., erano andati a vuoto o schivati a mani nude verso altre parti del corpo mentre, con l’intervento del R., che neutralizzava ovvero ostacolava seriamente la difesa del T., il sodale era finalmente libero di colpire come voleva il suo obbiettivo.

La circostanza che l’autopsia abbia dimostrato che il T. sia stato colpito da chi gli stava di fronte, dimostra ancor più, come ha ravvisato il primo giudice, che il R. scelse di aiutare il Ca. tenendogli fermo l’avversario, rendendo così la vittima facile preda di chi aveva il coltello in mano affinchè avesse finalmente il sopravvento.

3.2.2. – Inoltre il giudice di merito ha rammentato come le prove dichiarative raccolte avessero messo in luce il fatto che il coltello brandito dal Ca. fosse ben visibile a tutti, non solo quando quest’ultimo si è direzionato verso il gruppo avversario, ma anche e soprattutto allorquando, battendo sul finestrino dove si trovava il C., cercò di farlo scendere minacciandolo. Ma ancor più il coltello doveva essere visibile al R., come implicitamente fatto valere del giudice di merito, allorchè il prefato, a pochi centimetri dal Ca., lo aiutava concretamente nella aggressione, tenendo fermo la vittima e rendendo vane le sue difese. Del resto, come lascia intendere la Corte territoriale, se il Ca. avesse solo picchiato il T., il R. si sarebbe messo anche lui a colpire l’avversario per fare la differenza nella colluttazione, mentre nella fattispecie scelse per contro di prendere alle spalle il T. per bloccarlo, che è di per sè un comportamento indicativo della consapevolezza dell’utilizzo da parte del sodale di un’arma con cui avrebbe potuto infatti facilmente interferire se si fosse posto di fronte all’avversario come stava facendo il Ca..

Per contrastare le sollecitazioni difensive il giudice di merito ha evidenziato inoltre la quasi contemporaneità delle diverse fasi dell’aggressione, dove l’entrata in scena prima del Ca., poi del B. e quindi del R., ha significato il rapido estendersi del conflitto, dimostrando così come, nel gruppo del Ca., vi fosse una comune e condivisa volontà di sopraffazione e di punizione degli avversari. Se si fosse trattata per vero di una motivazione meramente personale del Ca. a conflittare con il solo C., i compagni del Ca.

( B. e R.) non si sarebbero sentiti in dovere di partecipare al violento alterco, ma si sarebbero limitatati ad assistere alla scena.

Non solo, ma come focalizzato dalla Corte territoriale, il R. avrebbe avuto la piena possibilità di autodeterminarsi in modo del tutto diverso da quanto poi invece ritenne di fare. Poteva rimanere in compagnia delle ragazze, poteva intervenire come paciere, poteva fuggire, poteva intervenire a favore del solo B. oppure, come per contro ha scelto scientemente di fare, poteva aiutare il Ca. per sopraffare il suo avversario, decidendo di intervenire non come ulteriore avversario diretto del T., cosa che non sarebbe stato significativo per la sua giovane età e modesta corporatura, ma in modo strategicamente orientato, prendendo alle spalle l’avversario in modo subdolo e inaspettato (tanto da essere emerso in dibattimento che appunto nessuno si avvide di quello che fece il R.) onde neutralizzarlo in modo efficace, come in effetti gli riuscì. 3.2.3. – Non è dunque da ritenersi corretto affermare, così come vien fatto in gravame, che il giudice di merito non abbia sondato l’elemento psicologico del R.. In tema di omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino "ictu oculi l’animus necandi", la valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario, in concorso, può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi (Cass., Sez. 1, 8 giugno 2007, n. 28175, rv. 237177, Marin), quale la valutazione circa l’efficienza causale della propria condotta in concatenazione degli sviluppi possibili dell’evento in corso, la consapevolezza della esistenza e dell’utilizzo di armi da parte di altri sodali, la valutazione strategica delle forze in gioco. Tutti questi elementi sono stati tenuti presenti dal giudice che ne ha tratto congrua ed esaustiva argomentazione come sopra esposto. Sotto questo specifico profilo, dunque, non era affatto necessaria alcuna giustificazione per la non trattazione del concorso anomalo, la cui esclusione si imponeva a contrariis per quanto in precedenza argomentato dalla Corte territoriale.

3.2.4. – Parimenti nessun travisamento del fatto è stato commesso dal giudice in relazione alla ricostruzione della dinamica della vicenda. Appoggiandosi anzi alle dichiarazioni dei testi, è stata evidenziata dal giudicante l’intervento del R. in "chiusura" (come ultimo cioè) dei soggetti intervenuti nel conflitto, ancorchè sia stata sottolineata la particolare esiguità dei tempi di commissione come emerso anche dalle riprese delle telecamere all’esterno dell’Hotel (OMISSIS). La circostanza rilevata dalla difesa secondo cui il R. era pressochè rimasto in disparte, tanto da non essere pressochè notato da nessuno (ma si è evidenziato come tale aspetto abbia giocato a favore del R. che è riuscito a sorprendere il T.), è del tutto avversato dalla lettura argomentata da parte del giudice di merito del compendio di prova che assegna in modo pacifico al prefato un inequivoco apporto causale determinante a dispetto proprio del fatto che non sia stato particolarmente notato. Anzi, l’intervento del R., come sottolineato dal giudice territoriale, è stato risolutivo, decisivo, per le sorti del conflitto, facendo, in ultima analisi, la differenza nel rapporto delle forze in gioco, squilibrandole in modo irreversibile a favore del proprio gruppo, uscito vincente.

3.2.5. – Inammissibili sono comunque tutte le altre sollecitazioni difensive tese a delineare una diversa ricostruzione del fatto.

Trattasi di valutazioni non proponibili in questa sede a fronte di argomentazioni del giudice della cognizione immuni da vizi logici e giuridici. Non tiene per vero conto il ricorrente, ai fini della condivisione del dolo, di quanto fatto emergere dal giudice della cognizione, secondo cui il R. aveva in comune con gli altri lo spirito coesivo del gruppo cui apparteneva e dunque una condivisione dello spirito protettivo. E non solo perchè era legato da una amicizia profonda e particolare con il Ca. che, per difendere le proprie ‘donnè (una era la sorella I., l’altra, I.G., la sua fidanzata), ma anche perchè tra le ragazze "offese" vi era anche A.F., sua personale amica, fatto questo che ancor più direttamente coinvolgeva il R. in prima persona e non solo ad adiuvandum del suo sodale.

3.3 – Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione.

3.3.1 – La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha chiarito che, ai fini della sussistenza dell’aggravante dei motivi futili deve intendersi l’antecedente psichico della condotta, ossia l’impulso che ha indotto il soggetto a delinquere, e che il motivo deve qualificarsi futile quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da poter considerarsi, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale (Cass., Sez. 1, 8 aprile 2009, Same U Ullah); Sez. 1, 22 maggio 2008, n. 24683, Sez. 1, 11 febbraio 2000, Dolce; Sez. 1,19 gennaio 1999, P.M. in proc. Zumbo ed altri;

Sez. 6, 3 giugno 1998, Rova). La circostanza aggravante ha, quindi, natura prettamente soggettiva, dovendosene individuare la ragione giustificatrice nel fatto che la futilità del motivo a delinquere è indice univoco di un istinto criminale più spiccato e della più grave pericolosità del soggetto che legittima l’applicazione di un più severo trattamento punitivo (Cass., Sez. 1, 20 ottobre 1997, Trovato).

3.3.2 – Applicando questi principi al caso in esame, va osservato che la prospettiva difensiva è errata per quanto sovra esposto al punto.

3.2.5. Il R. condivideva con gli altri sodali non solo uno spirito di solidarietà, ma anche una cointeressenza protettiva, nei confronti di almeno una delle ragazze ritenute "offese". 3.4 – Il quarto motivo di ricorso è altresì infondato manifestamente privo di fondatezza.

3.4.1 – La Corte di merito ha per vero motivato la congruità del trattamento sanzionatorio, da un lato, rilevando l’assenza in atti di ulteriori elementi suscettibili di positiva valutazione a tali fini, attese le risultanze, non positive delle relazioni personologiche degli assistenti sociali che lo riguardano, e ciò dopo una attenta analisi delle componenti oggettive e soggettive del fatto e delle sue specifiche modalità. E poichè la statuizione in ordine all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e del suo quantum deve fondarsi sulla globale valutazione della gravità del fatto e della capacità a delinquere del colpevole ed è censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi in cui essa appaia frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico, deve convenirsi sulla congruità dell’argomentare della Corte di Appello di Napoli, sezione Minorenni che è privo di vizi logico – giuridici, in linea con i principi enunciati in materia da questa Corte e aderente alle norme di legge.

4. – Nessuna statuizione va presa infine sulle spese di giudizio. La declaratoria di rigetto o di inammissibilità del ricorso presentato nell’interesse di persona minore degli anni diciotto al momento in cui ha commesso il fatto non comporta infatti l’obbligo del pagamento delle spese processuali ai sensi del D.L. 28 luglio 1989, n. 272, art. 29 (norme di attuazione sul decreto del Presidente della Repubblica sui procedimenti penali per i minori).
P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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