Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-01-2011) 09-02-2011, n. 4710

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 20 gennaio 2010, depositata in cancelleria il primo marzo 2010, la Corte di Appello di Palermo, confermava la sentenza 21 maggio 2008 del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Palermo che, in regime di giudizio abbreviato, aveva dichiarato S.A., responsabile dei reati a lei ascritti di cui all’art. 658 c.p. (capo A) e di cui all’art. 660 c.p. (capo B), condannandola alla pena di mesi tre di arresto.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, S.A. effettuava una telefonata all’utenza del Pronto Intervento del 113 segnalando nelle prime ore del mattino che dall’abitazione di Sa.Fr.Ma. sita in (OMISSIS) (anch’essa nel medesimo stabile) provenivano rumori molesti arrecando così a quest’ultima, a causa dell’intervento delle forze dell’ordine, molestie e disturbo durante il sonno e ciò per petulanza e biasimevole motivo.

1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito nella comunicazione di notizia di reato del Commissariato, nella denuncia sporta dalla Sa., dalle annotazioni di servizio, dai precedenti penali specifici della prevenuta.

2. – Avverso tale decisione, ha personalmente, interposto tempestivo ricorso per cassazione la S. chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:

a) violazione ex art. 548 c.p.p., comma 3, artt. 178 e 179 c.p.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e);

nonostante che in primo grado la prevenuta fosse rimasta contumace non le era stato notificato l’estratto della sentenza cosa che le aveva impedito di poter elevare autonomo gravame. b) violazione degli artt. 658 e 660 c.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); il giudice non ha sottoposto ad alcun vaglio critico le risultanze di causa, in particolare se vi sia stato un lasso di tempo significativo tra la chiamata della S. e l’intervento delle forze dell’ordine cosa che avrebbe permesso quella cessazione dei rumori che era stato poi rilevata dalle forze dell’ordine. Inoltre non è ravvisabile il reato contestato ex art. 658 c.p. posto che, con la sola unica telefonata, la pervenuta non ha annunziato disastri, nè infortuni, nè pericoli, così come recita l’articolo citato. In modo analogo non è configurabile il reato di cui all’art. 660 c.p. posto che l’asserita molestia alla Sa. non è avvenuta in luogo pubblico o aperto al pubblico, nè con il mezzo del telefono. c) violazione dell’art. 47 c.p., comma 1, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); l’imputata doveva essere assolta per mancanza dell’elemento soggettivo quanto meno ai sensi dell’art. 47 c.p.; nessuna verifica ha effettuato il giudice di merito in punto di valutazione della colpevolezza; appare per vero plausibile che l’imputata sia incorsa in un errore di rappresentazione ritenendo sussistente la riunione rumorosa, in realtà inesistente, atteso peraltro che la persona denunciata altre volte si era resa protagonista di episodi rumorosi. d) violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 533 c.p.p., comma 2; la sentenza non esplicita i calcoli della pena, nè in relazione alla pena base, nè per la continuazione, nè per la diminuente del rito abbreviato, senza peraltro motivare le ragioni per le quali il giudicante ha optato per la pena detentiva piuttosto che per quella pecuniaria; inoltre non poteva essere calcolato alcun aumento per la recidiva trattandosi di reato contravvenzionale;

e) violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p.; la pena è risultata eccessiva e non motivata, così come non motivata è il diniego delle attenuanti generiche;

f) violazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); per mancata applicazione della conversione della pena pecuniaria.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti di cui in dispositivo: la sentenza impugnata va pertanto annullata.

3.1. – Il primo motivo di ricorso (eccezione ex art. 548 c.p.p., comma 3, artt. 178 e 179 c.p.p.) non è fondato e deve essere respinto. Deve per vero osservarsi, sebbene sia stata tempestivamente rilevata nel giudizio di cognizione l’eccezione attinente alla mancata notificazione all’imputato dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, che trattasi tuttavia di nullità a regime intermedio e non assoluta (Cass., Sez. 1, 18 ottobre 2007, n. 43665, Dattilo) e come tale risulta sanata dal raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 183 c.p.p., e cioè dalla proposizione dell’impugnazione da parte del difensore di fiducia. Il principio di diritto qui applicato è stato già ribadito da questa Corte di legittimità che ha considerato intervenuta la sanatoria detta quando i motivi di impugnazione, come avvenuto nella fattispecie, siano stati tempestivamente presentati e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato e il suo contenuto motivazionale, (cfr.

Cass., Sez. 1, 24 febbraio 2010, n. 10410, Italiano e altri, rv.

246504).

Deve richiamarsi sul punto anche altro orientamento di questa stessa Suprema Corte che ritiene unitaria la natura del diritto di impugnazione (Cass., Sez. 5, 18 maggio 2001, n. 25007, Sforza GG ed altri, rv. 219467) essendosi di fatto il difensore di fiducia valso di una facoltà al cui esercizio l’atto nullo era preordinato (Sez. 2, 15 ottobre 2004, n. 48302, Derosas, rv. 231274) considerata peraltro anche la presunzione (iuris tantum), giusto il vincolo fiduciario che unisce imputato e difensore, che quest’ultimo abbia agito previa consenso e consultazione dell’altro.

3.1.2. – E’ ben vero che l’art. 571 c.p.p., comma 1 prevede per l’imputato una propria facoltà autonoma di gravare il provvedimento che lo riguarda (potendo presentare da solo la propria impugnazione o in modo disgiunto dal difensore, in modo da far valere proprie personali doglianze) ma deve evidenziarsi che tale facoltà non è intesa in modo assoluto, vale a dire a prescindere dal fatto che egli sia riuscito nell’intento di impugnare altrimenti l’atto, tramite appunto il difensore fiduciario, dal momento che la ratio della norma è quella di consentire in qualche modo la rimozione dell’atto in questione. Del resto l’articolo citato (facendo uso della congiunzione coordinante di natura disgiuntiva "o") recita che "l’imputato può proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale" facendo comprendere da un lato che il gravame può (e non necessariamente deve) essere avanzato dall’imputato e dal suo procuratore speciale, ma anche che l’impugnazione del provvedimento decisorio è instaurato bastevolmente anche se presentato dall’uno o dall’altro, perchè sufficiente a ottenerne la rimozione. Se il legislatore avesse voluto prevedere la indefettibilità dell’una e dell’altra impugnazione avrebbe fatto ricorso alla congiunzione copulativa positiva "e" rimarcando una titolarità gravatoria necessaria.

3.2 – Il secondo motivo di gravame (mancato scrutinio delle risultanze di causa) è parzialmente fondato.

3.2.1. – Deve rilevarsi per vero che la telefonata a un centro operativo delle forze dell’ordine lamentando rumori molesti dovuti a una riunione e al relativo via vai di persone non può integrare il reato di cui all’art. 658 c.p. per la tipologia stessa del fatto denunciato che è tale da non poter creare allarme sociale per un imminente pericolo. La telefonata al numero di urgenza riguardava infatti immissioni rumorose indicate come provenienti da un’abitazione ma non in quanto ingeneranti allarme pubblico per un potenziale intrinseco rischio di pericolosità per l’incolumità dei soggetti che vivevano nelle vicinanze o per gli operatori, ma in quanto costituenti un mero disturbo alla quiete e al sonno notturno della chiamante.

Sulla questione deve richiamarsi una risalente decisione di questa Corte di legittimità (che ha espresso un orientamento mai però avversato) secondo cui, ai fini della ravvisabilità della sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 658 c.p., è sufficiente che l’annunzio di disastri, infortuni o pericoli inesistenti sia idoneo a suscitare allarme presso l’autorità, gli enti o le persone che esercitano un pubblico servizio. Tale deve considerarsi l’annunzio di un inesistente sequestro di persona che, per le modalità del suo contenuto, provochi l’intervento della forza pubblica con dispiegamento di mezzi (Cass., Sez. 1^, 26 maggio 1987, n. 11514, rv. 176990, Pasquinnaci). Nella fattispecie il disturbo era circoscritto, di natura privatista e di limitata rilevanza penale e comunque non in grado di perturbare l’ordine pubblico. Ne consegue che la sentenza deve essere annullata senza rinvio sul punto perchè il fatto non sussiste.

3.2.2. – Ciò posto il fatto contestato è però tale da poter arrecare comunque disturbo alla quiete delle persone (in particolare della persona denunciata dalla S. a sua volta come molesta) attesa l’ora notturna in cui ha trovato manifestazione il fatto. Per pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il reato di molestia, per sua natura non necessariamente abituale, può essere realizzato anche con una sola azione (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 1, 16 marzo 2010, n. 11514, P.G. in proc Zamò, rv. 246792) e la condotta di inviare nel cuore della notte la Polizia in un’abitazione dove gli occupanti stanno dormendo, sicuramente configura il reato in questione, realizzando "molestia" in senso giuridico posto che costringe il molestato a sottostare a un intervento delle forze dell’ordine esitato anche in un accesso nell’abitazione medesima (Sez. 1, 8 luglio 2010, n. 29933, Arena, rv. 247960). Nessun dubbio infine che l’uso del mezzo telefonico abbia nella fattispecie operato come causa scatenante, a monte, della molestia riverberatasi nella sfera privata della parte lesa.

3.2.3. – Infine la doglianza che attiene alla mancata comprovazione dei tempi di intervento delle forze dell’ordine è questione squisitamente di merito che non può trovare ingresso in questa sede ed è comunque ininfluente posto che gli operanti, come ha fatto intendere il giudicante in sentenza, non trovarono comunque alcun segno di una pregressa e recente attività degli occupanti dell’abitazione che potesse far pensare all’immissio in alienum di rumori molesti.

3.3 – Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione (censure in punto di carenza valutativa del profilo psicologico). Le sollecitazioni difensive sono meramente fattuali e ricostruttive di una valutazione congrua ed esauriente già operata dal giudice di merito. La versione ora fornita di aver potuto mal interpretare i rumori provenienti dall’abitazione della Sa. non solo è tardiva perchè proposta per la prima volta in questa sede, ma è anche non plausibile, attesa l’ora notturna (circa le 3.30 del mattino) e la estrema contiguità dei due alloggi (del denunciante e del denunciato). L’imputata non era, anche se avesse voluto, nelle circostanze specifiche di tempo e di luogo, di mal interpretare quanto stava accadendo.

3.4 – La residuale doglianza in punto di trattamento sanzionatorio è fondata e merita accoglimento. Va innanzitutto premesso che, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, nessun aumento è stato operato dal giudice di merito per la recidiva; ciò va evidenziato non solo per il fatto che la stessa aggravante non è stata formalmente contestata dalla pubblica accusa, trattandosi di reato contravvenzionale, ma anche per la circostanza che il giudicante ha fatto riferimento ai precedenti (ancorchè gli stessi non siano stati cristallizzati in una formale contestazione di recidiva) al fine di valutare quoad poenam la personalità del soggetto.

3.4.1 – Ciò posto si osserva, quanto alla determinazione dei criteri di computo della sanzione, che nella fattispecie il giudice di merito non ha provveduto ad esplicitare alcun calcolo (nè per la continuazione tra i reati – ora venuta meno -, nè per la pena base, nè per il calcolo della diminuente del rito abbreviato) impedendo così qualsivoglia controllo da parte della difensiva e di questa Corte di legittimità in relazione al rispetto dei minimi legali di aumento e riduzione della sanzione; nessuna motivazione infine è stata espressa in punto di scelta circa la pena adottata (stante la facoltà per il giudicante di optare tra la pena pecuniaria e quella detentiva).

In sede di rinvio il giudice dovrà pertanto riesaminare, anche in conseguenza della declaratoria di insussistenza del fatto di reato ex art. 658 c.p., l’intera questione attinente al trattamento sanzionatorio (riesaminando motivatamente ogni profilo che vi attiene) pervenendo altresì ad un più approfondito e analitico scrutinio delle censure avanzate sul tema dall’imputata.

4. – Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi sia dell’art. 620 c.p.p. che dell’art. 623 c.p.p. come da dispositivo.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla contravvenzione di cui all’art. 658 c.p. perchè il fatto non sussiste e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo per la determinazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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