Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-01-2011) 09-02-2011, n. 4614 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.N. e S.G. ricorrono, a mezzo dei loro difensori avverso la sentenza 24 settembre 2008 della Corte di appello di Bari, che ha confermato la sentenza 24 novembre 1999 del Tribunale di Bari, di condanna per entrambi (per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4 e art. 80, comma 2 in relazione alla detenzione di kg 39,238 di marijuana con principio attivo pari al 2,74%), lamentando violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato.
Motivi della decisione

Con un primo motivo di impugnazione il T. deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, sotto il profilo della violazione delle norme sulla notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, notificato al difensore e non personalmente all’imputato in persona, essendo la sua residenza nota alla cancelleria del giudice procedente.

Il motivo non supera la soglia dell’ammissibilità in quanto del tutto privo di specificità in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del disposto dell’art. 157 c.p.p..

Con un secondo motivo il T. lamenta che il mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sia stato giustificato solo per il correo S. con conseguente assoluta carenza di motivazione sul punto.

Il motivo è palesemente infondato.

Invero la motivazione della corte distrettuale sul giudizio ex art. 69 c.p. ha riguardato espressamente entrambi gli imputati (modalità dei fatti, assenza di valide giustificazioni della condotta) mentre, per il solo S., il giudice estensore ha pure aggiunto la condotta illecita anteatta.

Con un terzo motivo si prospetta l’intervenuta prescrizione del delitto ritenuto.

Il motivo è palesemente infondato tenuto conto che i fatti sono del (OMISSIS); il reato ritenuto in sentenza è quello di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; la decisione in primo grado risale al 24 novembre 1999 e quella in appello è del 24 settembre 2008.

In ogni caso, l’inammissibilità del ricorso per cassazione (nella specie, per assoluta genericità delle doglianze) preclude ogni possibilità, sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., l’estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta nè rilevata da quel giudice (Cass. Pen. Sez. U, 23428/2005 Rv. 231164 Bracale).

La difesa dello S., a sua volta, con un primo motivo di impugnazione deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della mancata considerazione dell’impedimento a comparire dell’imputato per l’udienza 24 settembre 2008.

Il motivo per come proposto è inammissibile.

Questa Corte infatti, in identica fattispecie, ha ribadito la legittimità del provvedimento con cui il giudice di merito non ha accolto la richiesta di rinvio per impedimento dell’imputato a comparire, documentato da un certificato medico che si era limitato (come nella vicenda) ad attestare l’infermità (faringo tracheite) con esiti febbrili e la prognosi, senza peraltro indicare il "grado della febbre", dato essenziale per la corretta valutazione della fondatezza, serietà e gravità dell’impedimento (Cass. pen. sez. 6, 20811/2010 Rv. 247348. Conformi: N. 24398 del 2008 Rv. 240352).

Ineccepibile appare quindi sul punto la giustificazione indicata dal giudice di merito.

Con un secondo motivo si deduce il decorso del tempo necessario a prescrivere già alla data della pronuncia della sentenza della corte distrettuale.

Con un terzo motivo si prospetta vizio di motivazione in ordine al mancato giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle aggravanti contestate.

Tali due ultimi motivi seguono la sorte delle omologhe doglianze proposte dal correo e nei termini dianzi argomentati, qui aggiungendo che, per lo S., l’esito di equivalenza del giudizio di comparazione risulta ancor più argomentato attesa la sua condizione di recidivo.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma, ciascuno, in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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