Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-01-2011) 09-02-2011, n. 4613 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.V. ricorre, a mezzo del suo difensore, contro la sentenza 17 novembre 2008 della Corte di appello di Catanzaro (che ha confermato la sentenza 19 giugno 2006 del Tribunale di Vibo Valentia, di condanna alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 3.400 di multa per il delitto ex art. 56 c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73), deducendo nella decisione impugnata sia violazioni di legge che vizio di motivazione, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.
Motivi della decisione

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo dell’omessa considerazione dell’ignoranza inevitabile del precetto penale, avuto riguardo al modesto principio attivo dello stupefacente detenuto, pari a milligrammi 89 (valore sotto i limiti tabellari) ed in relazione alle informazioni di stampa correnti sul punto.

Il motivo è infondato.

Innanzitutto, quanto al dedotto mancato superamento dei limiti tabellari, va ribadita la regola che la detenzione di quantità inferiori ai limiti indicati nel D.M. richiamato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 – bis, lett. a), non costituisce un dato di per sè decisivo ai fini della esclusione della rilevanza penale della condotta.

Invero il dato oggettivo del superamento del limite tabellare fissato costituisce "uno" dei parametri normativi da valutare per l’affermazione della responsabilità e l’esclusione della destinazione della droga ad un uso strettamente personale.

La colpevolezza quindi ben può essere ritenuta dal giudice – come avvenuto nella concreta fattispecie – avuto riguardo anche ad ulteriori circostanze dell’azione, alcune delle quali sono espressamente tipizzate nella disposizione normativa sopra citata (cfr. in termini: Cass. pen. sez. 6^, 48434/2008 Rv. 242139).

Nella specie infine non appare sostenibile l’ipotesi di una ignoranza scusabile, alla stregua di quanto affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale 24 marzo 1988 n. 364 dichiarativa della parziale illegittimità dell’art. 5 c.p..

Non va infatti dimenticato che la Corte delle leggi, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 5 c.p., nella parte in cui, appunto, non scusa l’ignoranza inevitabile ed incolpevole della legge penale, si è preoccupata di affrontare anche la questione relativa all’individuazione concreta dei casi di inevitabilità dell’errore, precisando in particolare:

a) che non è possibile associare l’ignoranza del precetto penale alla realizzazione di fatti che la coscienza sociale considera, in ogni tempo ed in ogni luogo, antigiuridici (ad es. reati contro la persona, contro il patrimonio, contro la famiglia, etc.);

b) che l’ignoranza non può mai dirsi inevitabile quando l’agente versi in una situazione di dubbio, riguardo al carattere antigiuridico o meno dell’azione che si appresta a compiere: in tal caso, infatti, l’agente è tenuto ad attivarsi per risolvere il dubbio e, ove non vi riesca, deve astenersi dall’agire; in ogni caso, poi, l’inevitabilità dell’ignoranza non può essere invocata da chi, professionalmente inserito in un determinato campo di attività, non si informi delle norme che disciplinano il campo stesso e che possono essere agevolmente acquisite alla conoscenza del soggetto;

c) che per accertare la qualità inescusabile dell’ignorantia legis va fatto riferimento ad un criterio essenzialmente oggettivo: la norma deve, in sostanza, potersi definire irriconoscibile dalla generalità dei consociati: ciò non esclude che eventuali conoscenze o incapacità del soggetto rilevino al fine di escludere, nei suoi confronti, l’inevitabilità dell’errore;

d) che con riferimento alla "inconoscibilità generalizzata", essa può derivare, tra l’altro, da fattori esterni (quali una molteplicità di pronunce giurisdizionali contenenti interpretazioni tra loro contrastanti) ma anche, più semplicemente, dalla formulazione oscura e contraddittoria del testo normativo.

Ora, se questo è l’esatto contenuto della sentenza 364/88 della Consulta, riesce difficile ammettere in capo al ricorrente tale condizione soggettiva.

Infatti l’inevitabilità dell’errore su legge penale (oppure la pretesa buona fede), in base alla sentenza 364/88 della Corte Costituzionale, non può costituire una causa indiscriminata di scusabilità, ma deve derivare ed essere concretamente correlata. a particolari e specifiche situazioni in cui tale errore si ponga in termini di "ragionevole inevitabilità" ed avuto riguardo alla i "media diligenza, esigibile in subiecta materia", non potendo quindi questo essere "agganciato" a riferite, distorte e generiche, informazioni mass – mediologiche o correnti nel pubblico.

Inoltre, quanto al profilo della "illiceità percepibile della condotta" per effetto di un errore di diritto scusabile (in quanto dovuto ad ignoranza inevitabile della legge penale, nella sua esatta delimitazione e nel suo preciso significato), va ribadito che esso è configurabile soltanto in presenza di un’ oggettiva e insuperabile oscurità della norma o del complesso di norme da cui deriva il precetto penalmente sanzionato (Cass. Pen. sez. 1^, 14 ottobre – 25 novembre 1992 Zentile, Cass. Pen. sez. 3^, 9 maggio – 12 giugno 1996, Falsini).

Orbene nessuna di tali evenienze risulta essersi realizzata nella vicenda odierna nella quale, a tutto voler concedere, l’imputato versava in una condizione di "serio e consistente dubbio" che doveva imporgli il non compimento dell’azione contestatagli.

Il motivo va quindi rigettato.

Con un secondo motivo si lamenta che all’affermazione di colpevolezza siano giunti i giudici di merito senza considerare tra l’altro che lo stupefacente è stato rinvenuto a terra, senza che gli inquirenti abbiano potuto percepire alcun atto concreto di cessione, e senza valorizzare la circostanza che il D.V. era il vero spacciatore.

Con un terzo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 171 del 1991, trattandosi nella specie di una mera detenzione di stupefacente per uso esclusivamente personale, e quindi non punibile.

Con un quinto motivo si sostiene l’avvenuta violazione delle regole della valutazione della prova,posto che la decisione di responsabilità è stata fondata sulla chiamata in reità del D. V., priva di riscontri.

Tali tre motivi non superano la soglia della ammissibilità.

L’art. 606 c.p.p., infatti non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali, oppure una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori; e l’art. 606 c.p.p., lett. e), quando esige che il vizio della motivazione risulti dal testo del provvedimento impugnato, si limita a fornire solo una corretta definizione del controllo di legittimità sul vizio di motivazione (cfr. in termini: Cass. Pen. sez. 5^, sent. 39843/2007, Gatti).

In ogni caso, tali doglianze si risolvono nella sostanziale ed inaccettabile richiesta di rivisitazione degli elementi di fatto, posti a base della ragionevole decisione della Corte distrettuale, la quale, proprio perchè logicamente sostenuta e adeguatamente correlata ai dati probatori, non può essere censurata sotto il profilo della possibile prospettazione di una diversa e, per il ricorrente, più favorevole valutazione delle emergenze processuali (cfr. in termini: Cass. Penale sez. 2^, 15077/2007, Toffolo e precedenti conformi), qui comunque osservandosi che i giudici di merito hanno individuato riscontri, anche logici, più che adeguati a validare le dichiarazioni del D.V..

Con un quarto motivo il ricorso prospetta l’ipotizzabilità di un uso di gruppo.

Tale ultimo motivo non risulta proposto nell’atto di appello ed è comunque palesemente privo di fondamento, a prescindere dalle questioni indotte con la novella n. 49 del 21 febbraio 2006, pubblicata nella G.U. 27 febbraio 2006 n. 48.

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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