Cons. Stato Sez. VI, Sent., 03-02-2011, n. 777

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. T. riferisce che con decisione in data 20 febbraio 1998 la Commissione disciplinare di prima istanza dell’ENCAT (Ente Nazionale Corse Al Trotto; in seguito UNIRE – Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine -) applicava nei suoi confronti la sanzione della radiazione da ogni attività ippica regolata dall’Ente.

La sanzione era stata applicata in relazione agli eventi occorsi in Milano in data 30 novembre 1997, allorquando era stato accertato che il cavallo trottatore iscritto sotto il nominativo "V.P." (appartenente ad una scuderia allenata dall’appellante) era in realtà stato sostituito con altro cavallo, diverso per tipologia e per età.

Nell’occasione, la Commissione aveva rilevato a carico dell’appellante l’esistenza di una condotta qualificabile come illecito sportivo, osservando altresì che "l’allenatoreguidatore T. V.P. non può che essere ritenuto responsabile quale unico ed esclusivo affidatario del cavallo, in quanto gli elementi a discolpa da questo forniti sono rimasti privi di qualsiasi riscontro probatorio; in particolare il T., data la sua comprovata esperienza, non poteva non rendersi conto, viste le sostanziali difformità riscontrate a Milano il 30.11.97, riguardanti sia l’aspetto esteriore che l’età (avente questa notevole influenza sulle prestazioni e sulla maturità agonistica del soggetto), della difformità tra i dati presenti sul certificato di identificazione ed il cavallo effettivamente guidato ed allenato".

Con decisione in data 3 giugno 1998 la Commissione disciplinare di appello dell’ENCAT respingeva il ricorso proposto in sede amministrativa, avverso la precedente decisione del novembre 1997.

Nell’occasione, la Commissione di appello osservava che l’incolpato non fosse stato in grado di fornire una prova certa e liberatoria in ordine all’insussistenza dei profili di responsabilità disciplinare a lui ascritti.

Ai fini della presente decisione è altresì rilevante osservare che, in sede di pronuncia sul "gravame amministrativo’, la Commissione ebbe a confermare anche sotto un ulteriore e diverso profilo la sanzione irrogata, osservando che – anche a prescindere dall’effettiva sussistenza di un’ipotesi di illecito sportivo – i fatti ascritti all’appellante (accertati nella loro materialità) risultavano comunque rilevanti ai sensi dell’art. 26 del vigente Regolamento delle corse, il quale ascrive in capo all’allenatore del cavallo un complesso di doveri, che non risultavano nella specie rispettati dall’incolpato.

Ad avviso della Commissione, in particolare, "il T. doveva conoscere e accertar(e), al momento opportuno, la sussistenza della corrispondenza degli elementi caratteriali del cavallo presentato alle corse per una presunzione juris tantum, per cui una discolpa ad un inadempimento a tale obbligo può verificarsi solo con una prova contraria, che non risulta essere stata portata nel giudizio di Prima Istanza e di Appello".

All’indomani della decisione della Commissione di appello, l’odierno appellante assumeva l’iniziativa di sollecitare indagini in sede penale in relazione alla sussistenza e alla configurazione giuridica dei fatti a lui addebitati.

In particolare, nel corso del 2003, il sig. T. presentava denuncia innanzi alla competente procura della Repubblica al fine dell’eventuale esercizio dell’azione penale, eventualmente anche nei suoi stessi confronti, per i reati di frode in competizione sportiva e di truffa aggravata configurabili in relazione all’ipotesi di frode sportiva posta a fondamento del provvedimento sanzionatorio del 1997.

A tal fine, l’odierno appellante dichiarava espressamente di rinunciare agli effetti della prescrizione in sede penale eventualmente maturata.

Risulta, tuttavia, agli atti che nel torno temporale successivo la magistratura requirente non provvide ad esercitare la sollecitata azione in sede penale.

A questo punto della vicenda, l’appellante proponeva ricorso per revocazione della decisione della Commissione di disciplina di appello dell’ENCAT del 3 giugno 1998, ritenendo che gli esiti del procedimento avviato in sede penale costituissero prova dell’errore di fatto revocatorio il quale aveva indotto all’erronea adozione del primo provvedimento di radiazione.

Tuttavia, con decisione in data 29 gennaio 2004 la Commissione disciplinare d’appello dell’ENCAT respingeva l’istanza di revocazione, ritenendo l’insussistenza dei relativi presupposti.

Nelle more del giudizio di revocazione in questione, il sig. T. V.P. depositava una "nota esplicativa" della prima istanza di revocazione, allegando i documenti con cui le Procure della Repubblica coinvolte avevano confermato il mancato esercizio dell’azione penale nei suoi confronti.

La Commissione di disciplina "di appello" dell’UNIRE riqualificava l’istanza in parola come nuova istanza di revocazione e, in subordine, di autoannullamento.

Nel merito, tuttavia, la Commissione (decisione in data 8 novembre 2004) respingeva l’istanza, osservando che:

a) ai sensi dell’art. 22 del nuovo regolamento di disciplina dell’UNIRE, le ipotesi in cui è possibile procedere alla revocazione di una precedente decisione sono tassative e non estensibili in via analogica;

b) le censure proposte dall’interessato non riguardavano l’esistenza di un presunto errore di fatto revocatorio, bensì un preteso errore logicogiuridico in cui sarebbero incorsi i primi Giudici, nonché il fatto storico del mancato promuovimento dell’azione penale nei suoi confronti;

c) nessuna delle circostanze dinanzi richiamate sub b) fosse idonea a supportare un pronuncia rescindente nell’ambito del giudizio di revocazione;

d) in particolare, il mancato esercizio dell’azione penale non costituiva circostanza idonea a supportare la proposta istanza di revocazione, anche perché la decisione in data 3 giugno 1998 risultava fondata non solo sul fatto di rilevanza penale (la frode sportiva), ma anche sulla grave violazione del generale dovere di diligenza, la quale era evidentemente indifferente rispetto all’esito della vicenda penale.

La pronuncia in questione veniva impugnata (col ricorso n. 5079 del 2005) dal sig. V.P.T. innanzi al T.A.R. del Lazio, il quale con la sentenza oggetto del presente gravame respingeva il ricorso.

Al riguardo, il Tribunale osservava che:

– la decisione reiettiva sull’istanza di revocazione risultasse corretta, non essendo emerso in atti alcun profilo riconducibile a un errore di fatto revocatorio, sia pure secondo la particolare declinazione di cui all’art. 22 del regolamento di disciplina dell’UNIRE;

– gli atti con cui la magistratura requirente attestava il mancato esercizio dell’azione penale nei confronti dell’odierno appellante non potevano essere valutati alla stregua di "fatti nuovi’, idonei a supportare un giudizio di revocazione;

– in ogni caso, la decisione negativa del 3 giugno 1998 non risultasse fondata unicamente sul fatto di rilevanza penale (l’illecito sportivo, concretante gli estremi della frode in competizione sportiva, nonché la truffa aggravata tentata), ma fosse altresì fondata in modo autonomo sulla grave violazione del generale dovere di diligenza di cui all’art. 26 del regolamento delle corse ippiche.

La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dal sig. T. V.P., il quale ne chiedeva l’integrale riforma articolando plurimi motivi di doglianza.

Si costituiva in giudizio l’Unione Nazionale Incremento Razze Equine (UNIRE), la quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del 16 novembre 2010, presenti i procuratori delle parti costituite come da verbale di udienza, la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da un allenatore professionale del settore ippico avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio che ha respinto il ricorso avverso la decisione della Commissione di disciplina di appello dell’UNIRE, la quale aveva a sua volta respinto un ricorso per revocazione avverso la precedente decisione di radiazione da ogni attività ippica per un grave illecito sportivo (in occasione di una competizione svoltasi nel novembre del 1997, era accaduto che un cavallo della scuderia allenata dell’appellante era stato fraudolentemente sostituito con altro animale dalle caratteristiche oggettivamente diverse).

2. Con un primo argomento di doglianza, l’appellante contesta la pronuncia del T.A.R. per la parte in cui ha affermato che la decisione di radiazione del febbraio 1998 (confermata da quella "di appello" in data 3 giugno 1998) non fosse fondata unicamente sul fatto di rilevanza penale (la frode sportiva, i cui elementi costitutivi concretano altresì fattispecie delittuose), bensì anche – ed in modo autonomo – su una grave violazione del generale dovere di diligenza, la quale assumeva di per sé rilievo ai fini disciplinari.

L’appellante contesta, altresì, l’affermazione dei primi giudici secondo cui la decisione della Commissione disciplinare d’appello del 3 giugno 1998 avesse riformato la precedente decisione del 2 febbraio 1998 (la quale aveva fondato la radiazione ritenendo fondata l’accusa di frode sportiva).

Quanto alla prima questione, l’appellante osserva – al contrario – che la decisione del giugno 1998 era fondata in modo determinante sull’accusa di frode sportiva, laddove la violazione di cui all’art. 26 del regolamento delle corse ippiche non risultava ex se idonea a supportare un provvedimento di radiazione.

Quanto alla seconda questione, l’appellante osserva che la decisione del giugno 1998 non ha in alcun modo riformato il precedente provvedimento espulsivo del febbraio 1998, ma – al contrario – lo ha puntualmente confermato.

Con un secondo argomento di doglianza, l’appellante contesta il capo della sentenza con cui si è escluso che il giudizio di revocazione sulla decisione disciplinare del giugno 1998 potesse fondarsi (non già sulla scoperta di documenti preesistenti, che la parte non aveva potuto produrre per causa di forza maggiore, bensì) su fatti e documenti sopravvenuti al giudizio oggetto di revocazione, come quelli risultanti all’esito delle indagini penali.

Sotto tale aspetto l’appellante osserva che la pronuncia in epigrafe sia meritevole di riforma per non aver considerato che l’istituto di cui all’art. 22 del regolamento di disciplina del’UNIRE (rubricato "casi di revocazione’) non sarebbe assimilabile, sotto il profilo sistematico, all’istituto della revocazione di cui all’art. 395 c.p.c. (il quale annette rilevanza, ai fini rescindenti, alla sopravvenienza di documenti successivi al giudizio), quanto – piuttosto – all’istituto della revisione di cui all’art. 630 c.p.p. (il quale annette rilevanza anche alle nuove prove sopravvenute al giudizio di condanna).

Quindi, la sentenza sarebbe errata per non aver consentito di dare ingresso nel giudizio al "fatto nuovo" (pur se successivo alla definizione del giudizio oggetto di revocazione) rappresentato dal mancato esercizio dell’azione penale.

2.1. I motivi dinanzi sinteticamente richiamati, che possono essere esaminati in modo congiunto, non sono meritevoli di accoglimento.

Come si è osservato in precedenza, l’atto di appello si fonda, essenzialmente, su due capisaldi logici: il primo relativo al fatto che il giudizio di grave negligenza espresso nella decisione disciplinare del giugno 1998 non sarebbe stato di per sé idoneo e sufficiente a supportare il provvedimento espulsivo; il secondo relativo al fatto che il mancato esercizio dell’azione penale avrebbe rappresentato una circostanza di cui l’Organo disciplinare avrebbe dovuto tenere conto, anche alla luce delle peculiarità dell’istituto della revocazione, per come disciplinato dall’art. 22 del regolamento di disciplina dell’UNIRE.

E’ evidente al riguardo che il primo dei richiamati profili assuma rilievo preliminare ed assorbente, in quanto, laddove si concludesse nel senso che l’accusa di grave negligenza fosse di per sé idonea a supportare il provvedimento espulsivo, non assumerebbe rilievo ai fini del decidere la questione relativa al se il mancato esercizio dell’azione penale per i reati di frode in competizione sportiva e di truffa aggravata dovesse essere valutato ai fini rescindenti.

Tanto premesso dal punto di vista concettuale, il Collegio ritiene che la sentenza oggetto di gravame risulti sotto tale profilo meritevole di conferma, in quanto:

– l’esame della documentazione di causa evidenzia che la decisione della Commissione di disciplina di appello del 3 giugno 1998 avesse, sì, confermato la determinazione espulsiva adottata il 20 febbraio 1998, ma l’avesse fondata non solo (e non tanto) sul fatto in quanto avesse rilevanza penale, quanto piuttosto – ed in modo autonomo – sulla grave violazione del generale canone di diligenza che l’odierno appellante aveva posto in essere per non avere adeguatamente custodito il cavallo e per non essersi avveduto delle caratteristiche palesemente diverse che il cavallo da lui guidato presentava rispetto a quello che era stato dichiarato ai fini della gara (negligenza, quest’ultima, che era assolutamente incompatibile con la condotta esigibile in capo all’appellante, dotato di una radicata conoscenza del settore ed espertissimo allenatore di cavalli);

– l’esame della decisione di appello in data 3 giugno 1998 mostra, invero, che il provvedimento disciplinare fu – appunto – confermato conferendo rilievo determinante ed autonomo alla violazione dell’art. 26 del Regolamento delle corse (in tema di obbligo di diligenza dell’allenatore professionale);

– l’esame della decisione resa in sede di giudizio di revocazione in data 8 novembre 2004 affermava in modo inequivoco che "è ininfluente (e non può costituire motivo di revocazione) depositare oggi documenti", quali i riscontri negativi della Procura della Repubblica,"peraltro non esistenti al momento della decisione del giudice di appello ma formati successivamente, che negano un fatto del quale il giudice non ha mai affermato l’esistenza, non avendo costituito – tale fatto – (responsabilità penale del Toi.) motivo della decisione disciplinare di condanna";

– conseguentemente, la decisione oggetto di gravame risulta meritevole di conferma laddove afferma: a) che il giudizio disciplinare di appello aveva fondato in modo determinante il provvedimento espulsivo sulla violazione del più volte richiamato art. 26; b) che "sia le censure dirette a contestare l’asserita colpevolezza del ricorrente nella sostituzione del cavallo al fine di alterare i risultati della corsa e di conseguire vantaggi patrimoniali diretti, sia la documentazione che prova che il ricorrente non è mai stato indagato in sede penale per gli stessi fatti sono ininfluenti ai fini del presente giudizio" (pag. 10);

– in definitiva, non è rilevante ai fini del presente giudizio interrogarsi in ordine alla ritualità della presentazione dei documenti relativi agli esiti delle indagini penali (né interrogarsi se una tale produzione fosse ammessa ai fini dell’art. art. 630, c.p.p., piuttosto che ai fini dell’art. 395, c.p.c.). Ciò, in quanto (anche nell’ipotesi in cui si ammettesse l’ingresso nel giudizio dei documenti attestanti l’irrilevanza penale dei fatti contestati), nondimeno il provvedimento espulsivo adottato nel febbraio del 1998 (e confermato con ulteriore e diversa motivazione nel giugno dello stesso anno) risultava autonomamente fondato sulla grave rilevanza disciplinare della negligenza contestata;

– non può giungersi a conclusioni diverse in relazione al fatto che l’accusa di grave negligenza non sarebbe di per sé idonea a supportare il provvedimento di radiazione, poiché, alla luce di generali princìpi relativi ai limiti del vaglio giurisdizionale sugli atti sanzionatori, il giudice non può impingere il contenuto latamente discrezionale delle valutazioni operate in sede disciplinare, se non nei casi (che qui non sussistono) in cui il giudizio disciplinare risulti affetto da profili di abnormità o travisamento dei fatti

2.2. Con un ulteriore motivo di appello, l’interessato chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui non avrebbe rilevato il vizio della decisione della Commissione di disciplina di appello, la quale non aveva ritenuto di procedere all’annullamento delle precedenti determinazioni (annullamento richiesto in via subordinata), ritenendo l’insussistenza dei relativi presupposti (illegittimità dell’atto; sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione).

2.2.1. Il motivo in questione non può trovare accoglimento, in quanto (anche a voler tralasciare la questione dell’effettiva assimilabilità delle decisioni adottate dagli organi della giustizia sportiva ad ordinari provvedimenti amministrativi), la decisione della Commissione in data 8 novembre 2004 risulta insuperabilmente scevra dai vizi rubricati, laddove ha rilevato l’insussistenza del presupposto sostanziale per l’adozione dell’invocato provvedimento di autotutela (cioè l’illegittimità della decisione sanzionatoria del giugno 1998).

Sotto tale aspetto (e rinviando sotto ogni altro profilo a quanto già rilevato infra, sub 2.1.), si ribadisce che il provvedimento espulsivo adottato nel giugno del 1998 (a conferma di quanto già statuito nel febbraio dello stesso anno) risulta esente dai rubricati profili di illegittimità, per essere stata la determinazione sanzionatoria mantenuta entro i limiti del legittimo esercizio dei poteri in subjecta materia e ragionevolmente fondata su un profilo di responsabilità disciplinare caratterizzato dalla gravità posta a base della sanzione.

2.2.2. Dalla reiezione dei motivi di appello sin qui esaminati, consegue anche la reiezione dell’ulteriore motivo di ricorso, con il quale l’appellante lamenta che il Tribunale abbia di fatto confuso il provvedimento di "grazia" adottato nei suoi confronti dal Commissario governativo alcuni anni dopo i fatti oggetto del presente giudizio e il provvedimento di "riabilitazione" (di cui è menzione nell’ambito della pronuncia gravata, ma che non è mai stato adottato nei suoi confronti).

Ed infatti, anche ad ammettere l’errore terminologico in cui sarebbero incorsi i primi giudici, in nessun modo ciò potrebbe incidere sugli esiti del presente giudizio in quanto (per le ragioni sin qui esposte) non sussistevano in concreto i presupposti per l’adozione di un provvedimento di riabilitazione per insussistenza dei fatti disciplinari posti a fondamento dell’incolpazione.

3. Per le ragioni fin qui esposte, il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Le spese del secondo grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 6143 del 2009, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese del secondo grado di lite, che liquida in complessivi euro 2.000 (duemila), oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *