Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-01-2011) 09-02-2011, n. 4769 Esecuzione di pene detentive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 25.2.2010 il giudice monocratico del Tribunale di Modena, in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava la nullità dell’ordine di carcerazione con contestuale sospensione dell’esecuzione emesso dal Procuratore della Repubblica presso il medesimo tribunale in data 5.8.2008 nei confronti di C.W., nonchè, degli atti conseguenti, atteso che, in mancanza della traduzione dell’atto nella lingua araba, il predetto non era stato messo in condizione di esercitare le facoltà previste dall’art. 656 c.p.p., comma 5, e, conseguentemente, era stata data esecuzione al provvedimento di carcerazione.

Evidenziava, in specie, il giudice che doveva ritenersi certo che il predetto condannato non comprendeva la lingua italiana, atteso che nel processo era stato costantemente assistito dall’interprete di lingua araba sul presupposto della impossibilità di parlare e comprendere la lingua italiana come attestato sin dal momento dell’arresto.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso detto giudice che motivava il gravame deducendo che non sussiste alcun onere per il pubblico ministero in sede di esecuzione di accertare se dagli atti del procedimento di cognizione, estranei al fascicolo esecutivo stante l’autonomia tra la fase cognitiva e quella esecutiva, emerga l’ignoranza della lingua italiana da parte del condannato, se dal contenuto del titolo da eseguire non si possa rilevare tale circostanza. Nel caso di specie il titolo esecutivo è redatto in italiano e nessun altro atto della fase esecutiva faceva rilevare la mancata conoscenza della lingua; pertanto, legittimamente l’ordine di esecuzione non era stato tradotto.
Motivi della decisione

Il ricorso, infondato, deve essere rigettato.

Ed invero – come si afferma nello stesso ricorso – è principio generale indiscutibile che gli atti processuali, significativi al fine di esercitare diritti difensivi, debbano essere tradotti all’imputato, o condannato, alloglotta che non conosca la lingua italiana.

L’effettiva capacità dello straniero di conoscere a sufficienza la lingua italiana è, in concreto, questione di fatto rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e, quindi, non deducibile in questa sede di legittimità ove sorretto da motivazione congrua e coerente (S.U. n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216258;

Sez. 1, n. 20275, del 06/05/2010, rv. 247212). Orbene, nel caso di specie è del tutto evidente che la motivazione del giudice dell’esecuzione risulta adeguata, facendo riferimento ad atti del processo dai quali risultava accertato che il C. non aveva sufficiente capacità di comprendere la lingua italiana.

L’argomento posto a fondamento del ricorso al fine di asserire che – premesso che il dato dell’ignoranza della lingua italiana deve emergere positivamente dagli atti del procedimento – stante l’autonomia del procedimento di esecuzione da quello di cognizione, l’ordine di carcerazione non deve essere tradotto se dagli atti del procedimento di esecuzione, diversi da quelli di cognizione, non emerge l’ignoranza della lingua italiana da parte del condannato, si pone in contrasto con I principi di diritto enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo di traduzione degli atti ritenuti essenziali ai fini di garantire l’effettivo esercizio del fondamentale diritto di difesa, in specie, avuto riguardo a quegli atti che immediatamente incidono sulla libertà personale.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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