Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-01-2011) 09-02-2011, n. 4767 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 29.12.2009 il GIP del Tribunale di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la richiesta presentata da R.L. di riconoscere la sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati di cui alle condanne pronunciate con le sentenze 5.3.1993 del Tribunale di Ferrara e 24.6.1994 della Corte d’Appello di Bologna, che confermava quella pronunciata il 14.3.1993 dal GIP del Tribunale di Bologna. Osservava il giudice dell’esecuzione che i fatti oggetto delle due condanne sono analoghi, entrambe attengono alla violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, in materia di detenzione e cessione illecita di sostanze stupefacenti e sono stati commessi a distanza di oltre due anni uno dall’altro, dato temporale che poco si concilia con l’applicazione della disciplina dell’art. 81, cpv c.p.; l’istituto della continuazione presuppone l’ideazione di uno scopo unitario, tale da dare n senso ad un programma complessivo nel quale si collocano le diverse condotte considerate, successivamente commesse, di volta in volta, con singole determinazioni sul piano volitivo. La iniziale rappresentazione dell’agente deve ricomprendere tuta la serie degli illeciti che si inquadrano nel programma, pur definito nelle sue linee essenziali, e il programma stesso deve essere prefigurato sin dalla prima violazione. Deve quindi sussistere la prova certa che le singole azioni delittuose furono tutte deliberate e volute, almeno a grandi linee, fin dal momento in cui l’agente decise di dare inizio alla sua attività illecita programmandone la durata, la portata e l’esecuzione.

1.2.- Propone ricorso per Cassazione il difensore di R.L. adducendo: mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione; inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 81 c.p., art. 606 c.p.p., lett. e).

Premette il ricorrente che nell’istanza erano stati evidenziati:

l’omogeneità delle violazioni, la sistematicità dei reati, la realizzazione degli stessi in uno stesso contesto spaziale, l’eguale tipologia dei beni giuridici offesi, la commissione dei reati in un lasso di tempo non incongruo rispetto alla loro riconducibilità ad un disegno unitario. Tutti indici sulla base dei quali, se valutati congiuntamente alla situazione di tossicodipendenza del R., ben si potevano configurare i presupposti per l’applicazione della invocata continuazione. Il giudice dell’esecuzione, dopo una premessa circa il lasso di tempo, di oltre due anni intercorso tra la commissione dei due reati, ritenuto poco conciliabile con l’applicazione del richiesto istituto, sembrerebbe invece privilegiare l’esame dell’elemento soggettivo costituito dalla sussistenza del medesimo disegno criminoso, inteso quale volizione di uno scopo unitario in cui le condotte costituiscono un programma complessivo, per poi concludere, in via generale ed astratta e senza riferimento alcuno al caso di specie, che deve sussistere prova certa della unitarietà del disegno criminoso.

1.3.- Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione in favore della Cassa delle ammende.

2.- Il ricorso è inammissibile.

Secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1^, 12.5.2006, n. 35797) la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo, almeno a grandi linee, nella loro specificità, situazione che va tenuta distinta dalla mera inclinazione, da parte del reo medesimo, a reiterare nel tempo reati della stessa specie anche quando tale propensione alla reiterazione sia dovuta ad una scelta di vita deviante. Tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso devono essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le circostanze di tempo e di luogo.

Qualora sussista anche solo taluno di detti indici il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni.

Quando, come nel caso in esame, l’applicazione della disciplina del reato continuato sia domandata ex art. 671 c.p.p., la cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita sulla base del raffronto del contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumono essere "in continuazione" (Cass. Sez. 1^, 16.1.2009, n. 3747, RV 242537).

La decisione del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità quando la sua motivazione, a mente di quanto dedotto dall’istante, dia atto dell’avvenuto raffronto del contenuto delle sentenze in termini di verifica di tutti quegli indicatori (distanza cronologica tra i fatti, modalità della condotta, tipologia dei reati, bene protetto, omogeneità delle violazioni, causale, circostanze di tempo e di luogo, elemento soggettivo) dai quali possa essere desunta, ovvero esclusa, quella unicità del disegno criminoso presupposto per l’applicazione della disciplina della continuazione.

Nell’ordinanza impugnata il giudice, vagliato il contenuto delle sentenze di condanna, con motivazione essenziale ma completa e conferente rispetto a quanto dedotto dall’istante, ha escluso alla stregua del tempo intercorso e della attitudine soggettiva del condannato, quale risultante dai provvedimenti esaminati, che sussistessero le condizioni per l’affermazione della unitarietà del disegno criminoso.

Nè può dolersi il ricorrente che la condizione di tossicodipendenza, prospettata solo nel presente ricorso, non sia entrata a far parte del percorso di raffronto sopra detto posto essa non è stata, a suo tempo, sottoposta al vaglio del giudice dell’esecuzione. La tossicodipendenza, inoltre, non costituisce di per sè elemento unico e decisivo per fondare la esistenza della continuazione tra reati (Cass. Sez. 1^, 12.5.2006, n. 35797; Cass. Sez. 1^, 7.11.2006, n. 39704; Cass. Sez. 1^, 14.2.2007 n 7190; Cass. Sez. 2^, 6.11.2007, n. 41214; Cass. Sez. 4^, 8.7.2008 n. 33011; Cass. Sez. 1^, 29.5.2009, n. 30310), ma deve, quando allegata, dato il tenore della novella introdotta nell’art. 671 c.p.p., comma 1, per effetto della L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 4 vicies, entrare a far parte del percorso di raffronto tra gli elementi concreti ricavabili dal contenuto delle decisioni esaminate per, eventualmente, contribuire ad individuare la esistenza di un programma delineato ab inizio, sia pure a grandi linee, nella mente del soggetto. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma alla Cassa delle ammende ex art. 616 c.p.p., non ricorrendo assenza di colpa del ricorrente nella proposizione del ricorso (Corte Cost. sent. 186/2000).
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *