Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-03-2011, n. 5929

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Pe.Fr., figlio ed unico erede di V.L., citò innanzi al Tribunale di Acqui terme V.D. (fu Gi.);

P.A.; V.M.; V.D. (fu G.); Z.A.W.; P.D. e P.S., chiedendo che fosse accertato e dichiarato il proprio diritto di proprietà su un ulteriore loculo, oltre a quelli già occupati dalle salme dei propri genitori, nell’edicola funeraria ubicata in (OMISSIS), intestata alla famiglia V. e composta di 15 loculi. Si costituirono i soli V.M., V.D. (fu G.), V.D. (fu Gi.) ed Z.A., contestando che il Pe., in quanto nipote ex sorore dei costituenti il sepolcro, potesse vantare diritti alla sepoltura in foco, gli stessi spettando ai soli fratelli V..

Integrato il contraddicono con P.G. – che non si costituì – l’adito Tribunale respinse la domanda, interpretando l’azione intrapresa come diretta all’accertamento di uno jus sepulchri gentilizio, come tale insensibile alle vicende successorie, e ritenendo pertanto che il novero degli aventi diritto ad essere sepolti nella cappella fosse ristretto a quelli rientranti nella cerchia di familiari dell’intestatario del sepolcro; nel concreto il Tribunale rilevò che il sepolcro era stato fondato nel 1948 dai fratelli Gi., G. e V.L., figli di D., i quali si erano obbligati a costruire a loro spese una cappella funeraria da intestare alla famiglia V. fu D. per la sepoltura dei componenti della suddetta. Ne sarebbe derivato, secondo il Tribunale, che l’attore, pur avendo il nonno D. come stipite comune, non sarebbe disceso dai tre fratelli fondatori e quindi non avrebbe avuto diritto alla sepoltura in loco. La Corte di Appello di Torino, decidendo sull’appello del Pe. e nel contraddittorio di V.M.; V.D. (fu G.) V.D. (fu Gi.), agente anche come erede della P., deceduta nelle more, e di Z.A., essendo rimasti contumaci i P., riformò l’appellato sentenza e dichiarò il diritto del Pe. ad essere sepolto in un loculo dell’anzidetta edicola funeraria.

La Corte distrettuale pervenne a tale decisione ritenendo che l’atto di fondazione del sepolcro dovesse essere interpretato nel senso che i fondatori avessero destinato la cappella non solo alle proprie famiglie ma a quelle del capostipite comune " V. fu D.", (dunque comprendendovi anche le famiglie delle sorelle), pervenendo a tale risultato dall’analisi dell’atto fondativo in uno con l’accordo intervenuto, lo stesso giorno, tra tutti i germani V. ( Gi., G., L., L. e M.), avente ad oggetto vari atti di cessione e divisione dei beni comuni, in relazione all’eredità di V.D. fu Gi..

Contro tale sentenza hanno proposto ricorso in cassazione V. D. (fu G.); V.D. (fu Gi.) in proprio e quale erede di P.A., sulla base di due motivi; si è costituito il Pe., resistendo con controricorso:

dette parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in merito all’interpretazione della scrittura privata 21 aprile 1948, assumendo che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente dedotto che il fondatore e destinatario della cappella fosse il capostipite comune V. D. fu Gi., così determinando per derivazione il diritto del Pe..

2 – Con il secondo motivo i ricorrenti deducono l’omessa, erronea e contradditoria valutazione di prove documentali decisive per la risoluzione della controversia, lamentando l’interpretazione della Corte distrettuale delle convenzioni stipulate da tutti i germani V. lo stesso giorno dell’atto fondativo dello jus sepulchri.

3 – Entrambi i motivi – che possono essere esaminati congiuntamente- non sono fondati.

3/a – Va innanzi tutto osservato che il riferimento, contenuto nella sentenza della Corte torinese, al capostipite comune " V. fu D." come punto di riferimento per determinare la volontà dei fondatori ad estendere ai suoi discendenti lo jus sepulchri, non è affatto erroneo – come invece sostengono i ricorrenti – in quanto il verbo "essere" venne usato – nella specie – come aggettivo al ne di indicare il già avvenuto decesso della persona nominata (il fu V.D.): seguendo invece l’interpretazione dei ricorrenti – secondo la quale il passato remoto avrebbe indicato l’ascendenza paterna ( V., figlio del defunto D.) sarebbe mancata l’indicazione del nome proprio del soggetto al quale il riferimento patronimico veniva fatto.

3/b – I motivi poi sono anche infondati: 1 – perchè, a fronte di una censura di omessa o contraddittoria motivazione, non espongono le ragioni per le quali le argomentazioni del giudice di secondo grado sarebbero carenti o intrinsecamente contraddittorie nelle loro proposizioni; 2 – perchè sono diretti a sostituire alla interpretazione del giudice d’appello, sul punto sorretta da motivazione congrua e logica, una diversa, senza dedurre la violazione delle norme regolamentanti l’ermeneutica negoziale;

3 – perchè il ricorso non contiene l’esposizione della convenzione 21 aprile 1948, così violando il principio di autosufficienza.

4 – Respinto il ricorso le spese vanno ripartite secondo la soccombenza, giusta la liquidazione contenuta m dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Respinge il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 1.800,00 di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre iva, cap e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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