Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-01-2011) 09-02-2011, n. 4763 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 7.5.2010 il GIP del Tribunale di Forlì, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la richiesta presentata da S.M. di riconoscere la sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati di cui alle condanne pronunciate con le sentenze 18.9.2008 e 23.9.2009, entrambe dal GUP di Forlì.

Osservava il giudice dell’esecuzione che la rilevanza giuridica del medesimo disegno criminoso trova la sua ragion d’essere nel minor disvalore sociale di più reati che non scaturiscano da altrettanti progetti ma da uno solo, il quale avvinca tutte le singole violazioni della legge penale. Esso può, quindi, essere ravvisato solo se la decisione di commettere i vari reati sia stata presa dall’agente in un momento precedente alla consumazione del primo e si sia estesa, poi, a tutti gli altri, già programmati, nelle loro linee generali;

Escludeva, pertano, che nel caso esaminato ricorresse tale circostanza poichè il S. è stato condannato per spaccio una prima volta con sentenza 13.2.1991 del GIP di Forlì e tale attività lo ha accompagnato, nell’arco di quasi 20 anni, come risulta dal certificato penale e i suoi reati sono, pertanto, mera espressione di una abitualità, di un costume di vita, che certo non è caratterizzato da quel minor disvalore sociale per il quale il legislatore ha ipotizzato il regime di pena più favorevole delineato dall’art. 81, cpv, c.p..

1.2.- Propone ricorso per Cassazione il difensore di S.M. adducendo: inosservanza o erronea applicazione della legge penale art. 606 c.p.p., lett. b); manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ex art. 606 c.p.p., lett. e).

Lamenta il ricorrente che il giudice dell’esecuzione non abbia fatto alcuna valutazione in merito alla condizione di tossicodipendenza del S., bollando come abitualità e costume di vita quelle condotte derivanti dalla necessità di reperire il denaro quale mezzo per soddisfare i suoi bisogni di tossicodipendente. La nuova formulazione dell’art. 671, come modificato dalla L. n. 49 del 2006, art. 4 vicies, impone che lo stato di tossicodipendenza sia elemento del quale deve tenersi conto nel valutare la ricorrenza dell’unitarietà del disegno criminoso, trattandosi poi di istituto di diritto sostanziale, il giudice deve applicare la disciplina più favorevole al reo.

1.2.- Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione in favore della Cassa delle ammende.

2.- Il ricorso è inammissibile.

Secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1^, 12.5.2006, n. 35797) la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo, almeno a grandi linee, nella loro specificità, situazione che va tenuta distinta dalla mera inclinazione, da parte del reo medesimo, a reiterare nel tempo reati della stessa specie anche quando tale propensione alla reiterazione sia dovuta ad una scelta di vita deviante. Tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso devono essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le circostanze di tempo e di luogo.

Qualora sussista anche solo taluno di detti indici il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni.

Quando, come nel caso in esame, l’applicazione della disciplina del reato continuato sia domandata ex art. 671 c.p.p., la cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra i vari reati va eseguita sulla base del raffronto del contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite alle azioni od omissioni che si assumono essere "in continuazione" (Cass. Sez. 1^, 16.1.2009, n. 3747, RV 242537).

La decisione del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità quando la sua motivazione, a mente di quanto dedotto dall’istante, dia atto dell’avvenuto raffronto del contenuto delle sentenze in termini di verifica degli indicatori, sia singoli che ricavabili dalle evidenze relative alla personalità del soggetto, dai quali possa essere desunta, ovvero esclusa, quella unicità del disegno criminoso che costituisce il presupposto per l’applicazione della disciplina della continuazione.

Nell’ordinanza impugnata il giudice, vagliato il contenuto delle due sentenze di condanna entrambe pronunciate per delitti di spaccio di stupefacenti, con motivazione essenziale ma completa e conferente rispetto a quanto dedotto dall’istante, ha escluso che sussistessero le condizioni per l’affermazione della unitarietà del disegno criminoso.

Nè può dolersi il ricorrente che la condizione di tossicodipendenza, prospettata solo nel presente ricorso, non sia entrata a far parte del percorso di raffronto sopra detto posto che essa non è stata, a suo tempo, sottoposta al vaglio del giudice dell’esecuzione. La tossicodipendenza, inoltre, non costituisce di per sè elemento unico e decisivo per fondare la esistenza della continuazione tra reati (Cass. Sez. 1^, 12.5.2006, n. 35797; Cass. Sez. 1^, 7.11.2006, n. 39704; Cass. Sez. 1^, 14.2.2007 n 7190; Cass. Sez. 2^, 6.11.2007, n. 41214; Cass. Sez. 4^, 8.7.2008 n. 33011; Cass. Sez. 1^, 29.5.2009, n. 30310), ma deve, quando allegata, dato il tenore della novella introdotta nell’art. 671 c.p.p., comma 1, per effetto della L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 4 vicies, entrare a far parte del percorso di raffronto tra tutti gli altri elementi concreti, ricavabili dal contenuto delle decisioni esaminate per, eventualmente, contribuire ad individuare la esistenza di un programma ideato sin dall’origine, sia pure a grandi linee, nella mente del soggetto.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e della somma alla cassa delle ammende ex art. 616 c.p.p., ma risultando assenza di colpa della proposizione del ricorso (vedi Corte Cost. sent. n. 186/2000).
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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