Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 15-03-2011, n. 6036 Indennità varie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda dei dipendenti indicati in epigrafe del Comune di Roma, proposta nei confronti del detto Comune e del Ministero della Giustizia, avente ad oggetto la condanna al pagamento dell’indennità giudiziaria maturata successivamente al 30 giugno 1998 in relazione alle mansioni di cancelliere o di collaboratore di cancelleria svolte presso gli uffici di conciliazione nonchè, per alcuni di essi, al risarcimento del danno conseguente al comportamento omissivo del Comune che non li aveva destinati a continuare il medesimo servizio, nella medesima posizione, presso l’ufficio del giudice di pace di Roma.

La predetta Corte poneva a fondamento del decisum il rilievo che le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza del 14 dicembre 1998 n. 12543, avevano sancito la non spettanza dell’indennità reclamata al personale comandato, il quale è fornito di uno stato giuridico ed economico totalmente diverso da quello del personale cui pretende equipararsi.

Avverso tale sentenza i nominati dipendenti ricorrono in cassazione sulla base di due censure.

Resistono con controricorso le parti intimate.
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso, deducendosi violazione e/o falsa applicazione della L. 22 giugno 1988, n. 221, art. 1 della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 62, della L. 19 febbraio 1988, n. 27, art. 3 e del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, artt. 3 e 4 viene posto, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "se in virtù del combinato disposto della L. 22 giugno 1988, n. 221, art. 1 – L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 62,- L. 19 febbraio 1988, n. 27, art. 3 – R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, artt. 3 e 4, l’indennità giudiziaria è riconosciuta al personale comunale che era distaccato presso gli uffici di conciliazione con mansioni di cancelliere o di collaboratore di cancelleria e che garantiva in concreto l’indicata funzione, indipendentemente della sua appartenenza ai ruoli dell’Amministrazione giudiziaria, perciò anche al personale comandato per lo svolgimento di mansioni proprie delle cancellerie o segreterie giudiziarie".

La censura è infondata.

Invero questa Corte, nell’esaminare una fattispecie analoga, ha sancito che l’ufficio del giudice conciliatore, anteriormente alla riforma introdotta con la L. n. 374 del 1991, istitutiva del giudice di pace, pur svolgendo funzioni giurisdizionali, aveva natura di ufficio comunale, i cui dipendenti, anche se soggetti alla dipendenza gerarchica e alla vigilanza dell’autorità giudiziaria, erano sottoposti, quanto al rapporto d’impiego, alla disciplina degli enti locali, senza che ad essi fosse attribuita l’indennità giudiziaria (poi trasformata in indennità di amministrazione), riconosciuta dalla L. n. 221 del 1988 al solo personale amministrativo delle cancellerie e segreterie giudiziarie, nonchè, per effetto della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 59, al personale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altri simili istituti presso gli uffici giudiziari con la conseguenza che, ove un dipendente comunale sia assegnato all’ufficio di conciliazione, il medesimo non si trova in posizione di comando ma è chiamate a svolgere compiti compresi nelle funzioni istituzionali del Comune, a lui affidate mediante ordini di servizio dell’amministrazione datrice di lavoro, senza che gli competa l’indennità giudiziaria (Cass. 20 gennaio 2009 n. 1398).

I compiti di nomofilachia, devoluti a questa Corte di Cassazione – che hanno trovato un rilevante riscontro nel D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che tali compiti ha provveduto a rafforzare in linea con quanto voluto dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario – inducono a ribadire anche in questa sede il principio sopra enunciato.

Ma oltre a ragioni di stretta monofilachia inducono il Collegio a ribadire il principio richiamato anche la piena condivisibilità del rilevo secondo il quale l’ufficio del giudice conciliatore, prima della riforma introdotta con la L. 21 dicembre 1991, n. 374, istitutiva del giudice di pace, svolgeva sì funzioni giurisdizionali, ma aveva in realtà natura di ufficio comunale, non compreso in quelli indicati dalle norme sull’indennità giudiziaria, nè il personale addetto operava presso un ente diverso dal datore di lavoro.

Tale personale,infatti, dal momento in cui veniva autorizzato dal presidente del Tribunale ad assumere funzioni presso l’ufficio di conciliazione, pur venendo sottoposto, per quanto riguarda le funzioni, alla dipendenza gerarchica e alla vigilanza dell’autorità giudiziaria, se era dipendente comunale restava sottoposto, per quanto attiene al rapporto di impiego, alla normativa degli enti locali e allo specifico regolamento del comune da cui dipendeva.

Conseguentemente deve ritenersi che il dipendente comunale assegnato all’ufficio di conciliazione espletava compiti compresi nelle funzioni istituzionali del comune, affidatigli mediante meri ordini di servizio dell’amministrazione datrice di lavoro.

La sentenza impugnata va pertanto sul punto confermata sia pure correggendosi, ex art. 384 c.p.c., ultimo comma, in parte qua la motivazione nel senso indicato.

Con la seconda censura si denuncia omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine al capo della domanda concernente il risarcimento dei danni – consistenti nella mancata corresponsione dell’indennità giudiziaria – conseguente alla omessa assegnazione all’Ufficio del giudice di pace.

La censura per come articolata non è esaminabile.

Infatti secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio-risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, come nella specie, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo (Cass. 27 gennaio 2006 n. 1755 e Cass., S.U., 27 ottobre 2006 n. 23071).

Peraltro, e vale la pena di sottolinearlo,vi è la considerazione che la Corte di Appello avendo negato la sussistenza di un diritto alla corresponsione dell’indennità giudiziaria relativamente al periodo concernente l’espletamento di mansioni di cancelliere o collaboratore di cancelleria presso l’ufficio di conciliazione, implicitamente si pronuncia anche in ordine al capo della domanda concernente appunto il risarcimento dei danni – consistenti nella mancata percezione dell’indennità giudiziaria – conseguente alla omessa assegnazione all’Ufficio del giudice di pace.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso pertanto va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento spese del giudizio di legittimità, liquidate, in favore di ciascun resistente, in Euro 43,00 per esborsi, oltre Euro 2.500,00 per onorari ed oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *